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Recensione : J. MASCIS – WHAT DO WE DO NOW

J. MASCIS – WHAT DO WE DO NOW

J. Mascis è un porto sicuro in cui rifugiarsi quando si ha bisogno di certezze e si vuole scappare dalla mediocrità generale imperante e dalla musica dimmmerda che ci circonda (soprattutto in questo periodo in cui imperversa ancora l’olezzo maleodorante dell’onda lunga del pre- e post-festivàl di Sanscemo). Che pubblichi materiale come frontman dei Dinosaur Jr. (in veste più elettrica distorta) o come solista (in una dimensione più cantautoriale e intimista) sai sempre cosa aspettarti dal nostro: una formula consolidata che miscela la capacità di far piacere e rendere accattivanti alle nostre orecchie lo stile slacker, litanie miagolanti e gemiti scazzati, cantati con tono apatico e lamentoso (tipico di Neil Young) a un’incredibile abilità chitarristica che, all’interno del panorama dell’alternative rock/indie rock (americano e mondiale) hanno fatto del lungocrinito polistrumentista di Amherst (Massachusetts) una anomalia che, quasi quattro decenni fa, coi Dino, mandò in cortocircuito la scena HC punk statunitense “cooptandola” con un pot-pourri di heavy/hard rock, punk/post-punk e noise pop fatto di incredibili fraseggi e assoli alla chitarra talmente intricati e vorticosi da poterli considerare una sorta di bignami Hendrixiano frullato e sputato fuori alla velocità della luce, il tutto filtrato dal retaggio hardcore, riuscendo a creare un marchio di fabbrica trasversalmente apprezzato e aprendo una strada che contribuì a portare all’esplosione dell’universo del R’N’R underground e della sua irruzione nel mainstream nel fatidico 1991, l’anno in cui punk broke.

E così, tra un “Fuck patriarcato” e uno “Stop al genocidio” (slogan più che giusto, peccato però che provenga da chi era, solo qualche anno fa, testimonial italiano degli spot pubblicitari di una nota multinazionale statunitense del fast food/cibo spazzatura che foraggia le politiche di pulizia etnica perpetrate da decenni da un certo Stato invasore ai danni di popoli confinanti a est del Mediterraneo, ma vabbè) per fortuna abbiamo ancora il potere di spegnere la televisione e ignorare il teatrino montato ad arte delle polemiche da social network, e allora torniamo nel mondo reale e accogliamo questo nuovo album solista di J Mascis, “What do we do now“, uscito a inizio febbraio su Sub Pop Records e arrivato a sei anni di distanza da “Elastic Days“.

Il disco è stato concepito da J durante il periodo pandemico nel suo Bisquiteen studio, assemblando melodie in acustico e lavorando sulle canzoni con una dinamica differente rispetto alle composizioni create per la band madre (dove deve tenere conto delle parti di basso e batteria da assegnare a Lou Barlow e Murph) concentrandosi soltanto sulla sua sfera artistica personale ed elaborando il materiale prettamente in maniera acustica, anche se in “What do we do now” le chitarre elettriche non mancano e, senza dubbio, questo è forse il suo Lp in proprio (seppur coadiuvato dal pedal steel guitar di Matthew “Doc” Dunn, e al piano/tastiere da Ken Maiuri) che si avvicina maggiormente alle atmosfere dei Dinosaur Jr (soprattutto quelli post-Barlow dei metà Nineties di album come “Where You Been” e “Without a sound“) con parti di batteria stavolta onnipresenti e assoli chitarristici ben assestati. Mixato e masterizzato da due mostri sacri come Greg Calbi e il collaboratore di lunga data John Agnello, il full length è ben messo a fuoco, probabilmente difetta un po’ di prolissità (quasi tutti i pezzi superano i quattro minuti di durata e magari sarebbe stato meglio “asciugarne” la lunghezza) ma la sostanza c’è e si innesta, come detto in precedenza, su una impostazione acustica folk poi arricchita dalle distorsioni elettriche (con liriche che trattano di incomunicabilità, incomprensioni, alienazione dettata dalla fine di una relazione, ma c’è anche spazio per ottimismo, sogni e voglia di amare) e ne abbiamo subito dimostrazione nell’opener “Cant’ believe we’re here“, passando poi per la title track, “Right behind you“, “You don’t understand me” e “I can’t find you“, in cui influenze country-Americana si fondono con guitar solo classic rock. “Old Friends” e “It’s true” sono i momenti dell’opera che più si richiamano al feeling 90’s del Dinosauro, mentre la parte conclusiva ritorna al dualismo acustico/elettrico della matrice folk/Americana/country rock di partenza con “Set me down“, “Hangin’ out” e “End is gettin’ shaky“.

E quindi, cosa facciamo adesso? Intanto aspettiamo Mascis in Italia in tarda primavera/inizio estate in tour coi Dinosaur Jr, e poi vorrei rivolgergli una frase magari banale, ma che in fin dei conti non lo é: Grazie per esserci ancora e continuare a sfornare album per noi appassionati. A 58 anni (di cui quaranta trascorsi sulle scene) J è un musicista affermato che ha collaudato uno stile, sa in che modo vuole suonare e si è meritato sul “campo di battaglia” – su cui ha combattuto non con le armi, ma da “inattivista” con le sue chitarre e un muro di ampli – gloria e riconoscimenti “indie” (da Kurt Cobain che lo avrebbe voluto nei Nirvana, alle collaborazioni con Mark Lanegan, ai Sonic Youth che, in una canzone, avevano fantasticato su di lui come ipotetico presidente degli Stati Uniti) non ha più nulla dimostrare a nessuno ma, forse, proprio in virtù di questa consapevolezza, si potrebbe leggere il titolo del long playing anche come il segnale di un momento di incertezza che potrebbe preludere a una pausa di riflessione sulla prossima mossa da compiere: tentare nuove strade musicali o restare fedeli a se stessi, riproponendo all’infinito la “comfort zone” di un ventaglio di sonorità che tutti noi amiamo, però a costo di difettare, alla lunga, di qualità e ispirazione? Non lo sappiamo, e “WDWDN” non passerà di certo alla storia del rock ‘n’ roll come un capolavoro o una pietra miliare, ma è un lavoro solido e intanto ci prendiamo questi dieci brani e ci piacerebbe preservare il talento di questo (anti)eroe ancora per tanto tempo a venire.

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