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Recensione : Grey Skies Fallen – Molded by Broken Hands

I Grey Skies Fallen rispetto a molte altre band del settore possiedono una forte indole progressive e una spiccata propensione alla forma canzone, il che li rende tutto sommato abbastanza peculiari e meno inquadrabili.

Grey Skies Fallen – Molded by Broken Hands

Se nella musica, così come in tanti altri campi non solo dell’arte, le cose funzionassero in base al merito, i Grey Skies Fallen avrebbero ben altra popolarità rispetto a quella ottenuta attualmente; stiamo parlando infatti di una band attiva già alla fine dello scorso millennio e che, con questo ultimo Molded by Broken Hands, è arrivata al sesto full length di una discografia che annovera molte altre uscite di minutaggio inferiore che ne hanno inframmezzato i diversi momenti di pausa produttiva. La band è guidata fin dagli inizi dal cantante e chitarrista Rick Habeeb, al quale nel corso degli anni si è affiancato, seppure in maniera discontinua, l’altro chitarrista Joe D’Angelo, tornato ad incidere con i Grey Skies Fallen proprio in questo ultimo lavoro, dopo che la sua ultima apparizione risaliva all’ep Along Came Life del 2010.

Se è vero che, quando si parla di death doom melodico di matrice U.S.A., il primo nome che viene in mente non può che essere quello dei Daylight Dies, il gruppo newyorchese non sfigura affatto nel confronto per qualità complessiva, risultando addirittura superiore se si considera la sola longevità artistica; certo, dopo due album eccellenti come The Fate of Angels (1999) e Tomorrow’s in Doubt (2002), i successivi Two Way Mirror (2006), di matrice pressoché acustica, e The Many Sides of Truth (2014) si sono rivelati meno incisivi, complice anche una certa frammentarietà nelle uscite, prima che il convincente Cold Dead Lands (2020) inaugurasse una nuova fase della carriera.

A ben vedere, peraltro, i Grey Skies Fallen rispetto a molte altre band del settore possiedono una forte indole progressive e una spiccata propensione alla forma canzone, il che li rende tutto sommato abbastanza peculiari e meno inquadrabili; Molded by Broken Hands appare fin dalle premesse un lavoro in cui sono stati curati tutti i dettagli, a partire dalla produzione affidata a sua maestà Dan Swanö (che aveva comunque impresso le sue mani anche sul precedente full length), passando per i suoni di tastiera affidati a Colin Marston (coinvolto con nomi storici del metal estremo nordamericano come Gorguts, Krallice e Dysrhythmia) per arrivare al supporto da parte di una prestigiosa label di settore come la Profound Lore. Rick Habeeb ritrova in Joe D’angelo il suo ideale contraltare chitarristico e, supportato dall’ottima base ritmica fornita da Sal Gregory (batteria) e Tom Anderer (basso), sfrutta al meglio la propria versatilità vocale consentendo ai brani di svilupparsi in maniera mai troppo scontata.

I primi tre episodi della tracklist sono emblematici riguardo alle potenzialità di questa band proprio perché ne denotano la capacità di creare un impianto melodico di prim’ordine, pur cambiando di volta in volta registro: A Twisted Place in Time cattura subito l’attenzione per il suo potente impatto, la title track è invece molto più ariosa, mentre No Place for Sorrow, la traccia più autenticamente doom del lavoro, offre gradite reminiscenze dei mai abbastanza rimpianti Type 0 Negative epoca October Rust. Il resto dell’opera si rivela compatta e convincente preparando il terreno alla chiusura affidata a quella perla sonora intitolata Knowing That You’re There, il cui enorme potenziale evocativo la rende una delle canzoni più belle che abbia potuto ascoltare in questi primi mesi del 2024.

Quanto scritto finora enumera solo alcuni dei buoni motivi per i quali è auspicabile che questa ottima band americana ottenga gratificazioni comparabili alle capacità dimostrate in oltre un quarto di secolo d’attività.

2023 – Profound Lore Records

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