Due volti si guardano in cagnesco in due copertine diverse. I denti digrignati, i tratti somatici deformati dalla rabbia, l’odio che diventa caricatura e gastrite nervosa.
Due dischi feroci, figli entrambi di due tradizioni che, al contrario di tutte le altre, nonostante gli anni, le evoluzioni e le commistioni, paiono sempre poco inclini a venire addomesticate dalla storicizzazione.
Ego Armando Paranoia/Odio Al Serio “Split”, 2022-Autoproduzione
Torino ha un suono, ed è il suono delle fabbriche, del traffico, delle pratiche occulte consumate in chissà quali remoti anfratti sparsi per la città. Un suono che in questo disco si conferma e nel confermarsi non si arresta ma si spinge oltre e lo fa senza pensare troppo alla forma, all’orecchio e al gusto di chi ascolta. Questa è Torino, questo il suo suono, prendere o lasciare.
Gli Ego Armando Paranoia sono figli dei Declino, come lo furono negli anni ’90 i Crunch, gli Arturo, i Rotten Brain…e se da una parte riprendono la velocità esasperata e le armonie tetre del gruppo di Eresia, dall’altra fanno propria la variante ironica e goliardica più comune alla seconda ondata e, nel fare questo, si presentano come l’anello mancante, il ponte che unisce in forma definitiva le due generazioni di Punk torinesi e crea coerenza nel divenire storico di un genere.
Velocità ai limiti del Grind, Grind ai limiti della parodia, parodia che diventa testo e, per iscritto, nero su bianco, diventa nell’insieme una delle cose più serie di questo mondo. Con un oscillatore (orpello digitale che un po’ simula un mellotron, un po’ simula effetti sonori cortoonistici) abbassano la temperatura ad un costrutto sonoro talmente violento che, se non fosse per lo strumento di cui sopra, sfuggirebbe senz’altro all’ascoltatore distratto, sfuggendo così anche all’impressione del “già tutto sentito e già tutto fatto” e facendo di sé un ascolto impegnativo.
Impegnativo perché intelligentemente ironico
Impegnativo perché terribilmente serio.
“LA LIBERTÀ È UN INCUBO” pronuncia una voce quasi strozzata a metà disco; se questo non vi pare una cosa seria, io non saprei dirvelo meglio, con argomentazioni migliori; l’estratto di cui sopra, vero slogan manifesto di questa prima porzione del disco, ci aiuta a comprendere meglio l’approccio degli EAP alla musica ma, com’è giusto che sia, anche all’esistente tutto: immediati ma anche criptici, breve durata ma ferite permanenti, parlano di libertà ma con toni opprimenti, frasi lapidarie che raccolgono sotto di sé piccole schiere politicamente empatiche:
o sei con loro o stai da un’altra parte che non necessariamente è ostile ma semplicemente è distratta, assuefatta a un concetto aleatorio di libertà, convinta che questa corrisponda a quel termine orrendo che risponde al nome di Normalità.
Gli Ego Armando Paranoia si abbattono con pezzi di breve durata, ritmiche in sedicesimi e predisposizione alla beffa e all’affondo verbale con lo spirito dei razziatori:
conquistano con la forza delle loro intenzioni e del loro impatto frontale. Non c’è scampo una volta che si è schiacciato play, non si può sfuggire e, ancora peggio (meglio), non ci si può esimere dal prendere una posizione in merito. La mia è fortemente empatica.
Degli Odio Al Serio, di queste loro canzoni, ho già scritto qui e, già al periodo, con un sei mesi di ritardo rispetto all’uscita di queste sul loro Bandcamp.
Nella sua forma iniziale, questo era un EP licenziato per raccogliere fondi per quella piccola meraviglia che è Radio Blackout, emittente nata dai primi moti punk cittadini (stiamo sempre parlando di Torino: Odio al Serio è uno spietato calembour di Orio al Serio).
Trascorso un anno e mezzo gli OAS decidono di mettere su formato fisico questa testimonianza di bravura e capacità e lo fanno insieme a dei loro compagni di lotta: in nome della cooperazione e del sostegno dal basso era partita e così è anche finita. Il Punk è fatto di questo, non si discute, e gli Odio Al Serio sono maledettamente Punk e militanti.
Potrei pure adagiarmi su quanto ho già scritto in merito, linkarvi qui di seguito la recensione di un anno fa, e buona notte al secchio…ma nulla mi è più dolce che tornare sul luogo del delitto:
Un Punk Hardcore Lo-Fi, magnetico nel suo essere così disperato e diretto; suoni sfilacciati in un incedere risoluto, una struttura che rovinosamente si sgretola di fronti ai nostri occhi e orecchi, generando onde sonore e scenari ai limiti dell’irreale.
La città ammorba, devasta la capacità di pensare, ma, per fortuna, esistono dimensioni parallele, altri mondi, raggiungibili a mezzo d’arte e di una poetica sonora che un po’ sa di vecchia scuola torinese (quella più politicizzata di Contr-Azione come quella nichilista dei Nerorgasmo) e un po’, a mezzo di certi fraseggi chitarristici, di psichedelia ruvida e impietosa.
Una tensione emotiva che non molla mai la presa, una critica all’esistente che non fa mai sconti e non conosce fronzoli, compromessi e buone maniere (non sarà pure possibile farlo nella vita di tutti giorni, facciamolo in musica per lo meno)
IL VIRUS SIAMO NOI
IL VIRUS SIETE VOI
Una riflessione lasciata un anno e mezzo fa ma che, adesso, in questo dato momento storico, acquista ancora più senso e direzione: la divisione netta, operata da una pandemia, tra chi in vita si pasce e associa la libertà ad un ristorante e chi, da tutto il periodo critico, trae l’opportunità per riflessioni acute sull’individuo e il suo rapporto con la società.
Il virus siamo noi, quando l’intenzione è insidiare il tessuto marcio di una società che si identifica con un modello fondato su consumi e una vita che si fonda sul lavoro.
Il virus siete voi, nell’idiozia e nell’assurdità di chi, per sentirsi libero, produce, consuma e crepa.
Il tema della libertà ricorre in questo pezzo di plastica anche se diviso fra due compagini diverse: un disco politico quindi, mirato ad una contestazione del presente e dell’esistente che è analitica, composta di fatti e dati.
Tutto questo , ovviamente, è reso possibile da un senso di appartenenza che è condiviso dai due gruppi e che dona loro una struttura ideologica ben precisa e ben indirizzata sia nel suono che nel verbo.
Torino ha un suono ed è il suono delle nostre certezze, indotte e inoculate dall’alto (e che quindi sentiamo come nostre anche se nostre non sono davvero mai), che vanno in frantumi.
Iena/Scalpo “Split”, 2022- Hellnation Records/Timebomb Records
Una volta, sotto le logge della pretura, qui a Pontedera, stava esposto un mezzo busto del Generale dell’Arma dei Carabinieri Carlo Alberto Della Chiesa.
Una mano birichina (vostr’onore vi giuro che non so chi sia stato, ho solo visto e riso a fatto compiuto, e soprattutto giuro che non sono stato io) vi scrisse, alla base del busto, una sola parola a pennarello “FIERO!”. Nulla di che in fin dei conti, solo una parola che poteva voler dire tutto come anche niente. Indignatissimi, i componenti dell’Associazione-Carabinieri-Dismessi-Ma-Che-Godono-Comunque-Di-Privilegi-Tipo-Parcheggi-Gratis-E-Una-Tantum-In-Pensione, rimossero subitamente la parola infame (infame secondo loro)
“Usi obbedir tacendo e tacendo passar come dei fessi”
Perché vi ho raccontato tutto questo? Perché il gesto in sé e per sé mi fece molto riflettere sull’ambiguità del termine “Fiero”. Perché un ex sbirro se la prende tanto a cuore se una mano ignota (ripeto: non sono stato io) lo scrive sotto il mezzo busto di un suo paladino eretto come esempio? La mia risposta è che, nel suo subconscio, l’ex sbirro sa che CADC tanto fiero non era, era solo un burocrate e “Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano” e, quindi, con mano un po’ impedita da una cocente indignazione, rimuove una parola che non è un’offesa ma che per lui lo è senz’altro: la Legge è una sovrastruttura creata dall’uomo per l’uomo ma che, entrando sempre più nella vita comune, è arrivata a sovrastare l’essere umano stesso che l’aveva generata, divenendo indipendente da e superiore ad esso, sostituendosi prepotentemente al comune senso di Giustizia. Chi fa le veci di questa sovrastruttura non è fiero, è solo un funzionario: questo l’ex sbirro lo sa e, cogliendo l’evidente sarcasmo di quel “Fiero!” lo rimuove senza indugi.
Ma allora cos’è che fa di una qualsiasi cosa o persona un portatore di sana fierezza?
Secondo me, e con la massima umiltà, è il senso di appartenenza a un qualcosa di vero, di umano, partito dal basso e rimasto nel basso per combattere e sopravvivere con chi, nel basso strato di questo mondo, vive e muore ogni giorno.
Questo 7” è fiero
Gli Scalpo e gli Iena sono fieri
Hellnation e Timebomb sono fieri
Fieri perché appartengono alla lotta di classe in un mondo dove chi comanda continua a ripetere che non esistono più le classi sociali; fieri perché suonano, producono e distribuiscono un suono ed una poetica che appartiene ai bassi fondi, ai cantieri dove si muore sul lavoro, alle catene di montaggio dove si perde, giorno dopo giorno, l’umanità e l’empatia; fieri perché vivono di realtà occupate ed autogestite e in esse si fondono e trovano uno slancio ed una motivazione alla loro musica, ai loro testi e alle loro autoproduzioni.
Fiero è quello che ha struttura, non sovrastruttura.
La musica, sia per gli Iena che per gli Scalpo, è roba molto semplice, talmente semplice che farla è complicato: ci vuole la strada, la militanza, nessuna buona creanza e, non a caso, tanta fierezza; stiamo parlando di Oi! e, per essere ancora più precisi, di Oi!Core: quel sottogenere del sottogenere che, piaccia o meno, vanta i suoi natali qua in Italia, nelle prime demo e nei primi singoli di Nabat e Rough (che gli Scalpo qui, oltretutto, omaggiano con una bellissima versione di “Comunicato”): enfasi, suoni sporchi, velocità, voci poderose ma corrotte da una raucedine causata da stress, mal di vivere e lavori con contratti iniqui; testi diretti, senza giri di parole, nessuna metafora o allegoria, la vita così com’è, senza peccare mai di mancata presa con la realtà: l’Oi! Core di Scalpo e Iena è la cosa più reale che si possa ascoltare.
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