La strada è dove alberga il mio cuore, dove ogni mio pensiero e sentire prova ad imporsi, ogni giorno, a fronte della giostra d’umane ipocrisie che vorrebbero fare della strada teatro di prosa:
rappresentazione edulcorata del reale e non più cruda realtà scevra da filtri Instagram, splendide location e personale attento e servizievole;
come se bastasse addobbare un luogo per togliergli quell’odore ferino di vissuto che, per suo diritto, emana.
Per strada ho giocato, ho inventato altri mondi, ho amato, odiato, sofferto, goduto, perso tutto, trionfato.
La strada è terra di tutti e, in quanto tale, è luogo di scambio e crescita, non di esibizione, vendita e spettacolo.
Questo non ce lo possono e non ce lo devono togliere.
Negli ultimi due anni abbiamo assistito ad un esproprio, tutt’altro che proletario, da parte delle istituzioni in favore dei privati:
ristoranti, pizzerie, bar, locali notturni; spazi pubblici concessi al consumo e negati all’aggregazione, al vivere comune.
Le nostre storie, le nostre vite, che in queste strade sono incastonate, ora vengono svendute e regalate per pratiche commerciali e di mero guadagno personale.
Dobbiamo riprenderci questi spazi e rioccuparli come esseri umani e non più come consumatori.
A questo penso mentre ascolto questo LP dei THE BLOKES , combo composto da veri eroi della strada sparsi lungo tutto il paese e che, di strada, se ne intendono e anche parecchio: ex Colonna Infame Skinhead, Gas Attack, Lenders & Raise Your Pitch. Vi bastano come credenziali?
Un inno di battaglia dall’inizio alla fine, un concentrato unico e credibile di Street Punk piuttosto melodico, arricchito da cori indimenticabili ed immediati.
Già, i cori: pratica tanto vituperata ma che, in realtà, oggi come non mai, servirebbe al fine di riconoscerci tutte e tutti sotto un’unica bandiera e nel trasporto dell’uno verso l’altra che tale pratica comporta gioco forza:
canzoni da cantare insieme, stretti in un unico abbraccio, un insieme di voci che diventano manifesto, dichiarazione di intenti e, infine, atto compiuto.
C’è bisogno di cuore e unione e niente meglio dello Street Punk e nessuno meglio dei The Blokes può incarnare la risposta a questa necessità.
Già nell’iniziale We Are Blokes si può già cogliere questo senso d’appartenenza, questa rivendicazione, questa volontà di riappropriazione
“camminando per le strade, ci sentiamo come dei giovani/vecchi, questo è il nostro suono, questo è ciò di cui abbiamo bisogno…”
una marcia inesorabile, fatta di Business e Blitz (intesi come storiche band Oi! niente uomini d’affari o sbirri, qui si parla di popolo…) e cori da osteria:
una birra tra compagni e compagne, un modo spontaneo per contarsi ed aggregarsi; quando parlare con i propri amici e amiche diventa un genuino atto politico: fare rete dal basso, a mezzo dei gesti comuni che ci definiscono e caratterizzano.
E infatti il pezzo successivo non poteva che chiamarsi “The Way I Am”: attacco alla Cockney Rejects e svolgimento da vera e propria hit di strada: sentimento, fierezza, autodeterminazione.
Per cambiare si parte da se stessi, e per partire da noi stessi bisogna conoscersi e, i The Blokes, si conoscono bene: “Le ragioni per essere punk, le ragioni per essere skinhead non hanno motivo di essere chiarite: perché il sentimento che porto dentro me viene dal mio passato…” siamo fatti di storia e luoghi e, per quanto possa sembrare poco e banale, a fronte di un mondo che sa parlare solo al presente, queste affermazioni sono importanti come un pasto caldo alla fine dello sgobbo giornaliero.
Working Class Girl è un altro inno, un altro pezzo da mandare a memoria: un inno d’amore nato dal basso, dove a fare da collante, più che l’attrazione fisica, è l’empatia nel riconoscere la propria condizione nell’altra.
Un amore che si manifesta nel rispetto che si prova per una persona, per quello che fa per vivere, per cui combatte, per come tenta di elevarsi dalla propria condizione; non certo zuccherose frasi borghesi che campeggiano nell’incarto di un qualche cioccolatino dal sapore insipido.
Our Games entra diretta sul tema esposto a inizio di questa recensione: uno street punk diretto, con tiro Hardcore, pieno di rabbia ed indignazione: una piazza tolta al quartiere, un luogo che ha visto crescere e che, di fatto, ha cresciuto generazioni di ragazzi e ragazze e che adesso, con la scusa della “pubblica sicurezza”, viene controllato dalle autorità che, in quanto tali, fanno la sola cosa che sanno fare: presidiano, militarizzano, recintano, creano il crimine con una legge perché non sanno prevenirlo…
Su Freedom si rientra in un’atmosfera da cori e fierezza: ancora i Business fanno capolino e i The Blokes consegnano un attestato di indipendenza e di libertà (appunto); una libertà fatta di strada, consapevolezza e rifiuto delle istituzioni.
Chiude il lato “Live Free or Die”, una dichiarazione senza compromessi, una volontà di superare le sovrastrutture e le paure che da esse conseguono:
liberarsi del ruolo di cittadino borghese e consumatore totalmente legato alla paura del cambiamento o che, una volta messo di fronte a qualcosa di diverso, si fa prendere dalla paura.
“io voglio decidere per me stesso” dichiarano i The Blokes in questo pezzo tirato e ben calibrato, sempre Oi!, sempre ben mirato, sempre carico di passione e vitalità.
Parte il lato B con una rabbiosa Not Dead Yet, rabbiosa ma di una rabbia che è amore per una vita che non può essere imprigionata nel lavoro, nella routine, nell’usura di gesti ripetuti meccanicamente;
amore per lo svago che da tutto questo distrae elevando la persona: bere con gli amici, innamorarsi di uno sguardo, un sorriso e ballare… giusto è provare rabbia quando vogliono toglierti tutto questo perché è in queste piccole cose che, a conti fatti, si vive e sopravvive.
Jails gira intorno ad un fraseggio di chitarra favoloso e indimenticabile: un altro inno Oi Punk fatto di prese di coscienza e conseguente volontà di liberazione. Un pezzo salvifico e uno dei migliori numeri del disco.
Impietosi i the Blokes riaffondano il coltello nelle ritmiche dritte e decise dell’hardcore in Hate Them, un pezzo che, nella sua semplicità di insieme, coinvolge e si fa quasi classico del genere (solo il tempo potrà dirlo, ma io mi azzarderei in una predizione…).
Questa Hate Them è davvero una rapida e convincente dimostrazione di bravura: breve, minimale, semplice nella struttura, capace di entusiasmare chi ascolta; se essere punk non è questo, vorrei sapere cos’altro potrebbe esserlo con altrettanta capacità.
Se questo secondo lato sembra essere più grezzo e meno anthemico rispetto al primo, ecco che arriva Self Annihilation, a smentirmi: una bel punk rock melodico, con tanto di fraseggio chitarristico e ritornello da dito alzato.
Una critica a chi si abbandona, anche nel momento dello svago, all’inutile ripetizione di gesti acquisiti, imparati scimmiottando le masse di consumatori, al solo fine di sentirsi parte di un qualcosa che non ti accetterà mai: la schiera di consumatori che vivono continuamente nella speranza che nel rituale del fine settimana locale/birra/canzonette/shopping esista una possibilità di riscatto. Nulla di più falso.
Tutto si conclude, purtroppo, con Old Story From The Streets, ma è comunque un gran bel congedarsi. Un pezzo meraviglioso, con un gran gusto armonico ed una bella melodia vocale che va a risolversi in un ritornello che si pianta nell’ippocampo e che, ormai me lo sento, sarò piacevolmente costretto a ricanticchiarmi in testa per tutta la settimana.
Un pezzo che farebbe invidia ai CockSparrer di Shock Troops, giusto per dire.
Questo è davvero un disco che vi consiglio caldamente:
È fatto e vive di tutto quello che ci spetta di diritto e che, in nome di un’economia votata allo sfruttamento e al fallimento, vogliono toglierci pretendendo anche il nostro rassegnato assenso.
Si ascolta questo disco e viene voglia di combattere, di pretendere da noi stessi qualcosa di più di quello che la società ci ha condannato ad essere: lavoratori e consumatori.
Qui dentro c’è qualcosa di più: storie passate che gettano le basi per il futuro, rispetto fatto di credibilità e credibilità fatta di vissuto, vissuto vero e inattaccabile.