Black metal alla vecchia maniera dalle caverne tedesche, un meraviglioso tributo ai Kyuss e un immenso disco italiano di noise.
DRACULUM
“Poems of spellcraft” sulla messicana Chaos Records è il disco di debutto dei tedeschi Draculum. Il suono del gruppo è un black metal sinfonico classico e ben fatto, vicino alle prime cose dei Dimmu Borgir, le origini dei Gehenna, o i primissimi Enslaved, insomma quel black metal che trovava uno sbocco nel sinfonico, ma per meglio dire è come se la tastiera fosse dungeon synth, e il black metal quello di altra qualità dei primi anni duemila.
Questo tipo di black metal è sempre meno frequente da trovare ai giorni nostri, dato che comporta una certa ricercatezza di suono e anche un certo talento, dato che è difficile da rendere. I Draculum sono formati da veterani della scena tedesca del black metal, che hanno fondato il sodalizio per fare qualcosa di arcano e tenebroso, per far rivivere quella fiamma nera che troppo spesso viene lasciata indietro.
Il suono dei Draculum è anche molto teatrale, minimale eppure ricchissimo, dato che con poco riescono a dire moltissimo, riportandoci nelle caverne da dove è uscito il black metal per poi espandersi nel mondo, e diventate quello che è tuttora. Qui risuona forte la tradizione di questo suono oscuro, una sua interpretazione che può fare solo chi abbia una certa concezione ed un grande amore per gli albori del suono.
Non è certamente un’operazione nostalgica, è un riassaporare un gusto che ci stavamo dimenticando, e questo disco ci riporta ai fasti del black metal. Il disco non possiede una canzone sbagliata, ci sono armonie che transitano per tutto il disco e non lasciano mai l’ascoltatore, c’è una magia che ci parla in queste note ed in questi testi, e si dovrebbe ascoltarla.
Ascoltando “Poems of spellcraft” nel decorso della sua narrazione, si capisce la potenza e la nera grandezza di questo lavoro, una delle uscite più notevoli di questi ultimi mesi del 2025.
SPACESHIP LANDING A TRIBUTE TO KYUSS.
La Witching Buzz mette assieme venti gruppi da tutto il mondo per un tributo ai Kyuss intitolato “Spaceship landing”. Questo tributo non è il primo e non sarà l’ultimo omaggio sonoro ai Kyuss, ma è l’unico che fotografa fedelmente una certa angolatura della scena della musica desert stoner di questi ultimi anni, e soprattutto questo tributo ha una qualità davvero alta, i gruppi coinvolti sono notevoli, e la selezione è stata molto felice. Nel lodare questa raccolta bisogna tenere contro anche del non trascurabile fatto che le canzoni dei Kyuss sono quasi tutte pazzesche, e le ottimi composizioni si prestano ad essere rifatte bene, ma qui si va oltre. Ogni gruppo porta il suo tocco sulle tracce nate nel deserto, e non ci sono cover tali e quali anzi.
Ogni gruppo riesce a mantenere lo spirito della composizione originaria, e la trasforma in qualcosa di proprio che potrebbe benissimo entrare a far parte della loro discografia. I Kyuss sono stati uno dei migliori gruppi nella storia dell’underground e non solo mondiale, la loro eredità musicale è un qualcosa che ha cambiato la visione musicale di molti, e tantissimi sono quelli che attualmente fanno musica grazie e a causa loro.
I Kyuss hanno quel qualcosa che possiedono pochissimi gruppi, ovvero quella scintilla che si tramuta in tocco sonoro che riempe l’etere quando fuoriesce dalle casse. Venti gruppi che sono anche da scoprire al di fuori di questa raccolta, e forse è questa la cosa più importante, dato che ascoltando qui i gruppi che ancora non conoscevate, correrete a sentirli, perché ogni gruppo presente qui merita il piacere della scoperta o della riscoperta.
Non si citerà nessun gruppo dicendo che il loro rifacimento è quello migliore, tutti meritano tantissimo, e ognuno è particolare a modo suo, e proprio per questo è bello così. Nel tributo troverete gruppi già affermati a fianco di altri meno conosciuti, tutti con lo spirito di rendere omaggio nel migliore dei modi a qualcosa che ha cambiato la vita e che ha dato senso al fare musica in maniera magica e cruda, polverosa e cosmica, proprio come i Kyuss, gruppo che illumina anche quando non è la sorgente primaria del suono.
Tributo di qualità altissima che porta alla ribalta gruppi che forse avrete già letto in queste pagine, tributo che fotografa un momento assai fertile e felice della scena della musica pesante e desertica, il tutto ispirato e debitore verso un gruppo che non smette di portarci in giro fra deserto e volta stellata.
SUBMEET
A cinque anni dal loro esordio ‘Terminal’ (2020), tornano i mantovani submeet con il nuovo album ‘”codename ®’” in uscita per No Profit, Controcanti, Santa Valvola e Non Mi Piace. I submeet fanno un noise magmatico e con tantissimi rivoli incandescenti che cadono addosso a chi li ascolta. I submeet sono una fucina di rumore con inserti punk hardcore e con un tocco di elettronica, un vortice di sofferenza e vissuto messi in musica. Il disco è strutturato in dieci canzoni,che si ispirano al “Decameron” di Boccaccio, e come l’opera classica questo disco è una narrazione condivisa di dolore e vita, carne e fuoco, sangue e asfalto.
Senza gli altri siamo nulla, e ciò vale sia per la vita che per la musica, e il gruppo mantovano ci mostra in maniera molto chiara questo aspetto fondamentale.
Il ritmo di questo disco è incessante, non c’è pace o tregua, l’apparato sensoriale è sempre sotto attacco, il noise del gruppo è strutturato benissimo, come dei pistoni ben oliati il ritmo va su e giù, senza requie. Ascoltare ‘”codename ®’” è farsi un giro dentro il suono del noise più ortodosso e fatto con una prospettiva diy e realmente underground. Il sapore è quello del noise della costa est americana, ma c’è anche tantissima tradizione italiana di questo suono, ad esempio nella quarta traccia del disco intitolata “Water memory” c’è una collaborazione con Giovanna Cacciola degli Uzeda, gruppo che sguazzava nel meglio rumore, e che è ha una visione musicale molto simile a quella dei submeet, con la stessa etica underground.
Un disco che picchia durissimo dall’inizio alla fine, una gioia per chi ama il noise bello netto e contornato, chi ama bruciare dentro quando ascolta musica qui troverà un noise tecnico, molto ben composto, con ottimi inserti elettronici come nella finale “Decameron”, traccia che apre nuove prospettive sonore al gruppo.
Menzione speciale per la produzione sonora che cattura la potenza e la distorsione di questo gruppo, con una voce incredibile e finalmente una batteria che così la sentite molto raramente.










