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Recensione : Dark Suns – Everchild

Salutiamo con moderata soddisfazione il ritorno dei Dark Suns con un album ricco di luci ma anche di diverse ombre.

I tedeschi Dark Suns hanno una storia piuttosto lunga e variegata: nati come doom band alla fine del secolo scorso si sono spostati con il tempo verso un metal di matrice progressiva esplodendo letteralmente con la pubblicazione di un capolavoro come Existence, datato 2005, album del quale all’epoca mi innamorai perdutamente proprio per la capacità di fondere gli umori del doom e del metal di matrice estrema con un’indole progressiva della quale, però, veniva fornita un’interpretazione molto personale.

Il livello di quel disco purtroppo non venne più raggiunto, perché sia Grave Human Genuine (2008) che Orange (2011), pur essendo lavori di buona fattura erano privi degli spunti che rendevano Existence in assoluto uno dei migliori album usciti quell’anno.
I Dark Suns del 2016 hanno quasi del tutto perso il diritto di fregiarsi dell’etichetta metal associata al genere proposto, visto che l’interpretazione del progressive che troviamo su questo nuovo Everchild è chiaramente ispirata agli ultimi Porcupine Tree (sicuramente non a quelli di In Absentia, volendo fare un parallelismo con Existence), e questa inclinazione viene portata alle estreme conseguenze nella seconda parte del lavoro, quando vengono sviluppate con buona continuità suadenti e memorizzabili melodie di chiara ispirazione wilsoniana.
L’aspetto che meno convince è l’inserimento, a mio avviso forzato, di una componente jazz che caratterizza pesantemente le prime due tracce, The Only Young Ones Left e Spiders (che però gode di un bellissimo finale), facendo pensare ad un andamento dell’opera che poi, nel suo lungo decorso, si rivelerà ben differente.
Personalmente trovo la tromba uno strumento che normalmente mal si combina con certe sonorità, meglio allora il sax, con i suoi toni più caldi, se proprio si deve ricorrere ad uno strumento a fiato; in ogni caso nella sua prima parte Everchild non riesce a sedurre proprio per una suo apparente scollamento, che non significa per converso doversi attenere pedissequamente ad una linea univoca, ma neppure far sì che il sound sfugga talvolta in direzioni tra loro opposte.
Così troviamo anche episodi che provano a riportare la barra ai tempi di Existence, ma con alterno successo (la bella Escape with the Sun e l’ordinaria Codes), inframmezzati da altri che evocano i Porcupine Tree meno ispirati (una discreta Monster, dove emerge anche qualcosa del Sylvian solista, e una più opaca The Fountain Garden). Ciò che fa più specie è che, in tutte queste canzoni, nessuna esclusa, si manifestano lampi più o meno prolungati di una creatività che evidentemente non è andata perduta ma che fatica solo nel trovare degli sbocchi organici.
Unfinished People costituisce una sorta di spartiacque del lavoro, in quanto nello stesso frangente vengono messi a confronto pregi e difetti degli attuali Dark Suns: i riferimenti a certa world music in stile Gabriel, invero stucchevoli, vengono illuminati da un chorus maestoso che, però, cozza non poco con il resto del brano.
Da qui in poi si dipana oltre mezz’ora di musica ineccepibile, forse anche più prevedibile, per carità, ma volta al raggiungimento del risultato senza indulgere in passaggi troppo arzigogolati: la title track si avvale di un crescendo costante, andando a lambire più volte i livelli di evocatività della canzone più bella mai composta dai nostri, The Euphoric Sense, mentre Torn Wings riporta a toni pacati e spruzzati di jazz, ma in maniera meno dispersiva rispetto a quanto fatto in precedenza; Morning Rain, infine, è una lunga traccia malinconica e dal grande afflato melodico che va a chiudere il lavoro vero e proprio.
Resta infatti da ascoltare la buona riproposizione di Yes, Anastasia, brano di Tori Amos, altro episodio che fa riconciliare gli estimatori della prima ora dei Dark Suns, come il sottoscritto, con un album nel quale viene ampiamente dimostrato che la band di Lipsia non ha affatto ammainato le vele o smarrito l’ispirazione: resta solo il dubbio di scelte che, per gusto personale, ritengo poco vincenti, anche se, come detto, il lavoro cresce in maniera esponenziale lungo il suo percorso meritandosi un voto buono ma non eccelso, perché la zavorra rappresentata da un inizio farraginoso non può essere del tutto accantonata.
Salutiamo quindi con moderata soddisfazione il ritorno del valido gruppo tedesco, sperando di poter riascoltare in tempi più ristretti altro materiale inedito, visto che il talento necessario per riscrivere un nuovo capolavoro non è andato affatto disperso, e questa è la cosa fondamentale.

Tracklist:
Disc 1
1. The Only Young Ones Left
2. Spiders
3. Escape with the Sun
4. Monster
5. Codes
6. The Fountain Garden
7. Unfinished People
8. Everchild
9. Torn Wings
10. Morning Rain

Disc 2
1. Yes, Anastasia (Tori Amos cover)

Line-up:

Niko Knappe – Vocals
Maik Knappe – Guitars
Torsten Wenzel – Guitars
Jacob Müller – Bass
Ekkehard Meister – Piano, Organ, Synthesizer

Guests:
Dominique Ehlert – Drums
Govinda Abbott – Flugelhorn, Trumpet
Evgeny Ring – Saxophone (alto)

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