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Recensione : Black Honey Cult – s/t

Black Honey Cult :presentato come "un'ipnotica miscela di psichedelia oscura e d'atmosfera, che trasporta gli ascoltatori su un altro pianeta, come assumere l'LSD su Marte."

Quando metti insieme due musicisti e rock ‘n’ roll animals come Jake “The Preacher” Cavaliere e Johnny Devilla, sai già che faranno scintille e puoi aspettarti tanta roba. I nostri, infatti, da decenni hanno infiammato le platee e la scena garage rock mondiale col combo garage/psych losangelino dei Lords of Altamont, e quest’anno debuttano ufficialmente col primo lavoro sulla lunga distanza di un nuovo progetto, Black Honey Cult. Un moniker che parte da lontano – 2010 – ma che solo negli ultimi tempi si è concretizzato con la formazione di un quintetto che, oltre a Cavaliere alla voce e tastiere e Devilla alla chitarra, ha arruolato anche Travis Petersen alla chitarra/voce e una sezione ritmica formata dal bassista Spencer Robinson e dal batterista Garey Snider.

Oggi, grazie alla label italiana Heavy Psych Sounds, è uscito questo long playing d’esordio omonimo, presentato come “un’ipnotica miscela di psichedelia oscura e d’atmosfera, che trasporta gli ascoltatori su un altro pianeta, come assumere l’LSD su Marte.” E, in effetti, gli otto brani che compongono questa opera prima non tradiscono le attese, già dall’opener strumentale “Operation” si viene catapultati in un vortice a tinte Kraut, fragranze motorik che copulano insieme al garage punk dei Lords of Altamont nella successiva “Golden dragon“, a cui segue l’assalto fuzz ‘n’ roll à la Jesus and Mary Chain di “Dead in me“. Sembra quasi iniziare come un omaggio alla Motown “Black eyed soul“, ma è solo un’illusione: dopo pochi secondi, il brano decolla in una sarabanda garage rock. “Side steppin’ city streets” puzza di Velvet Underground lontano un miglio, “LSD and me” è un trascinante semi-strumentale alla maniera delle compilation “Back from the grave”, “Take me down” è, a detta della stessa band, “una canzone ispirata da/a Howlin’ Wolf e Spacemen 3“. E poi che fai, una (ottima) cover di “Roller coaster” dei 13th Floor Elevators non ce la piazzi?

Un disco che non farà fatica a ritagliarsi un posto nel consueto “best of” di fine anno compilato da chi vi scrive. Promossi a pieni voti. Follow the cult!

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