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Recensione : Arð – Untouched by Fire

Se da un lato viene meno il sempre stuzzicante effetto sorpresa, dall’altro emerge prepotentemente la soddisfazione di poter inserire nel gotha del genere un nome come quello degli Arð, con la prospettiva di poter godere anche in futuro di ulteriori lavori dalla qualità inattaccabile come Take Up My Bones e Untouched by Fire.

Arð – Untouched by Fire

Take Up My Bones è stato davvero un album sorprendente al momento della sua uscita, avvenuta poco più di due anni fa; Mark Deeks, tastierista degli ottimi Winterfylleth, ha iniziato così il percorso del suo progetto solista Arð, ottenendo riscontri unanimi sia a livello di critica che di pubblico grazie a un approccio peculiare alla materia doom, tanto che per quell’esordio è stato coniato l’appellativo monastic doom, dovuto a un approccio vocale suggestivo di canti provenienti dall’interno delle mura di un antico monastero, intrecciati con una vis melodica emozionante dalla prima all’ultima nota.

Ovviamente le attese riguardo all’annunciato seguito, intitolato Untouched by Fire, erano molto elevate e immagino che tutto ciò metta una certa pressione in chiunque si trovi nella necessità di replicare quanto fatto di buono al primo tentativo; la risposta è arrivata forte e chiara: Take Up My Bones non è stato il frutto di un’ispirazione estemporanea, perché Deeks con il nuovo full length si consacra senza dubbio alcuno come uno dei musicisti di punta del doom atmosferico di questo decennio.

Untouched by Fire, così come il suo predecessore, è strettamente connesso a livello lirico con quella Northumbria che, oltre ad aver partorito Saint Cuthbert, le cui spoglie sono state l’oggetto del lavoro d’esordio, ha dato i natali a un altro santo, in questo caso il guerriero Oswald, divenuto re della sua terra e successivamente beatificato; anche sul piano prettamente musicale è apprezzabile una continuità stilistica in cui vengono ancor più valorizzate le propensioni melodiche del sound, con la chitarra a tessere trame di grande bellezza attraendo fatalmente l’ascoltatore in un quadro atmosferico e solenne, dai ritmi sempre controllati.

Cursed to Nothing but Patience, Name Bestowed, He Saw Nine Winters e Casket of Dust sono quattro canzoni a dir poco meravigliose e che non ci si stanca mai di ascoltare, verbo questo che è una delle chiavi di lettura per apprezzare al meglio l’album, vista la crescita esponenziale che si manifesta ad ogni passaggio; come detto, riconfermarsi su livelli così elevati è sintomatico di un talento niente affatto scontato e se, da un lato, viene meno il sempre stuzzicante effetto sorpresa, dall’altro emerge prepotentemente la soddisfazione di poter inserire nel gotha del genere un nome come quello degli Arð, con la prospettiva di poter godere anche in futuro di ulteriori lavori inattaccabili come Take Up My Bones e Untouched by Fire.

2024 – Prophecy Productions

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