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Recensione : :: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #32

Questa puntata abbiamo presentato: Coded Marking, Giant Claw, Sea Mosquito, Siavash Amini, Xeeland.

Coded Marking, Giant Claw, Sea Mosquito, Siavash Amini, Xeeland

Coded Marking – Coded Marking

Debutto con album omonimo per i Coded Marking, realtà britannica che recupera il gusto per il post punk, provando a uscire dai canoni della rigidità, sempre pronti a chiudersi su loro stessi quando ci si cimenta con qualcosa che gran parte delle persone identifica con il possesso, il proprio. Siamo da sempre alla ricerca di quelle realtà che non si fanno problemi a rinverdire i fasti del passato, e siamo caduti nelle mani dei Coded Marking forse anche per questo. Ma c’è un qualcosa che stona.

Il disco suona in modo impeccabile, forse persino troppo. Rischia infatti di perdere un pò di spontaneità, di quella rabbia che un genere come il post punk dovrebbe avere insita e intorno a cui costruire tutto quanto. Chiariamoci, l’album suona in modo impeccabile, ma è proprio qui, nell’assenza di quelle sbavature che l’avrebbero reso “vero” che iniziamo a storcere il naso. Le potenzialità sono davvero notevoli, le soluzioni sonore lasciano intendere che ci possano essere ulteriori futuri sviluppi con cui stracceranno queste nostre parole.

Dispiace di dover rimandare tutto al disco seguente, quando sarebbe bastato poco per chiudere il discorso qui, mettendo a tacere ogni nostra perplessità. Alla fine che resta di “Coded Marking”? L’idea che avrebbe potuto gridare e invece è un album che sussurra.

Giant Claw – Decadent Stress Chamber

Keith Rankin, cofondatore di Orange Milk Records si cimenta musicalmente come Giant Claw. Ed è proprio dell’ultima creazione che ha realizzato con questo suo progetto che parliamo oggi. Ci sono momenti in cui realmente si percepisce un travolgente senso di libertà ascoltando un album.

Non capita di frequente ma quando mi accade paradossalmente mi sento a disagio, perché penso a quanto tempo ho speso dietro a dischi che pensavo necessari e che poi invece mi rendo conto fossero buoni solo per anestetizzare le mie alienazioni, senza andare oltre.

“Decadent Stress Chamber” va infatti in questa direzione, slegandosi da qualunque idea musicale si possa avere, portandoci in un mondo che smette di esistere nell’istante in cui spegniamo il lettore CD e torniamo alle cose di tutti i giorni. Il disco racconta di come si possa giostrare le emozioni andando avanti e indietro nella storia della musica, perché una cosa deve essere chiara in partenza, Rankin non inventa nulla, si diverte soltanto a mescolare gli ingredienti di tutto ciò ci sui si è nutrito negli anni passati, mostrando, questo sì glielo dobbiamo, un grande gusto in fatto di scelte.

Nell’album c’è veramente tutto il campionario sonoro che si può immaginare, e il bello è che funziona tutto alla perfezione, basta solo avere un minimo di senso critico, aprire la mente e godersi l’ascolto con ironia e spensieratezza. Un autentico e stranante, ma linearissimo patchwork sonoro che per un momento ci fa dimenticare quanto sia difficile vivere.

Sea Mosquito – Majestas

“Majestas” è il secondo album, (il primo con I, Voidhanger Records dopo il debutto del 2023 con Onism Productions) dopo una serie interminabile di singoli ed EP, per i Sea Mosquitos, duo britannico, londinese per la precisione, da sempre dedito ad una sperimentazione sonora che cerca di fondere psichedelia e black metal oltranzista, con un risultato decisamente soddisfacente, in grado di accontentare tutti coloro che si nutrono di estremismo sonoro.

L’album si caratterizza per un taglio oscuro, notturnamente maligno. Costituito da sei brani che si sommano per raggiungere quasi quarantacinque minuti complessivi, il disco guarda, concettualmente, alla spiritualità, con un piglio fortemente critico verso la modernità che parte e prende spunto da “Il sacro e il profano” di Mircea Eliade. Una critica serrata che verte quindi sul grande mistero dell’esistenza, e che condanna l’uomo moderno negandogli ogni tipo di futuro. Attenzione però.

Nonostante quanto detto finora non si tratta di un album sparato al massimo della velocità che travolge tutto e tutti, ma di un lavoro ragionato che attraversa differenti stati d’animo e conseguentemente si adegua da un punto di vista sonoro, che finisce per conferire un tono maestoso e ricco di atmosfera all’album.

Un album denso di misticismo, che si consacra al caos, quello primordiale ma lo fa con intelligenza e profondità, con quasi raffinata attenzione. Intelligentemente costruito, talora quasi maestoso, che ha però la pecca di non essere stato sufficientemente curato. Un album di questo tenore avrebbe meritato una produzione all’altezza delle intenzioni.

Siavash Amini – Caligo

Siavash Amini è un musicista autodidatta di Teheran, Iran.

Cresciuto con la musica tradizionale iraniana, l’unica disponibile al tempo, ha scoperto solo a cavallo tra i millenni le possibilità offerte dalla tecnologia, finendo per innamorarsi dell’ elettronica minimale, e riuscendo a farsi conoscere anche all’estero. “Caligo” è il suo ultimo album, il primo di cui ci occupiamo qui su :: acufeni :: Il caligo di cui parla Amini, non è però quello che siamo soliti ammirare in Liguria, quello che si verifica soprattutto in primavera, quando il mare ancora piuttosto freddo non è in grado di combinarsi con gli anticicloni che da Sud portano i venti caldi che viaggiano sulla superficie dell’acqua, dando vita a quella particolarissima nebbia che si alza a pochi metri di altezza e che dall’alto appare come un mare di nubi, ma quello della polvere che ricopre tutto dopo i bombardamenti, e distrugge l’armonia di un luogo, Teheran, caratterizzato da una bellezza e una vitalità senza tempo.

Nel suo “Caligo” ci sono i rumori di Teheran, le grida, la disperazione, ma anche i silenzi che seguono la devastazione, i lamenti, la rassegnazione di chi ha perso tutto, ancora una volta. Amini rimodella il suono, lo decostruisce e lo rende altro, fino alla versione definitiva, quella di un album fortemente isolazionista, monoliticamente costruito attorno a un’idea di immobilità che si slega dalle tematiche etniche a cui potremmo facilmente associarlo in modo superficiale e frettoloso, vista la sua provenienza.

La componente che si rifà alle tradizioni locali non è assente, ma resta seppellita dalla polvere, dai detriti, dal fragore della guerra che modifica il tempo e lo spazio, e affiora solo di rado, basta saperla andare a cercare. Un album toccante che fa male.

Xeeland – Master Builder

Jason Stöll è il capo supremo di God Unknown Records e ha scelto la sua etichetta anche per questa sua seconda uscita come Xeeland. “Master Builder” segue infatti a distanza di un solo anno il debutto del 2024 “Low Drones”. L’album mostra immediatamente il proprio tenore, orientandosi verso un ibrido che unisce alla profondità drone del passato un approccio che guarda al krautrock nella sua forma più psichedelica.

Un sound minimalista e oppressivo, ai limiti della ripetitività ma che si fa forza proprio di questo suo voler essere fastidiosamente incessante. Il suo è un crescendo lento, inizialmente quasi impensabile, ma che porta con sé un carico di alienazione interiore importante, che trasuda brano dopo brano.

Dal krautrock ha mutuato soprattutto l’idea di viaggiare in periferie desolate caratterizzate da atmosfere post industriali, in cui quasi si riesce a percepire il suono del silenzio e del dolore. Non c’ traccia dei field recordings che avevamo incontrato nel disco precedente, qui è tutto ricreato in studio, non c’è nulla di umano, di percepibile e catturabile altrove. Ci sono solo macchine al servizio dell’uomo. Quella di “Master Builder” è una descrizione urbana che sposa il brutalismo e il suo carico di fredda oppressione.

Si può costruire rumore in molti modi. Spesso anche solo coi silenzi. Xeeland ha scelto di affiancare le due cose realizzando un album che sancisce la nascita di quelle cattedrali asfittiche che finiranno per renderci impossibile respirare schiacciati da colate di algido cemento dentro a cui ci sentiremo falsamente al sicuro, e quindi in cerca di una via di fuga. “Master Builder” è la colonna sonora di questo folle percorso.

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