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Recensione : :: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #28

Anfauglir, Deciduous Forest, Hexvessel, Leonov e Stomach, Cinque ragioni per sopportare l'estate, sperando che finisca il prima possibile, pur sapendo che si tratta di una speranza vana.

Anfauglir, Deciduous Forest, Hexvessel, Leonov e Stomach

Anfauglir, Deciduous Forest, Hexvessel, Leonov e Stomach.

Cinque ragioni per sopportare l’estate, sperando che finisca il prima possibile, pur sapendo che si tratta di una speranza vana. In altre parole :: acufeni 28 ::

Anfauglir – Akallabêth

Anfauglir è un duo statunitense che credevamo ormai destinato all’oblio. Dalla loro nascita, intorno al 2004, ad oggi, avevano realizzato soltanto un album, “Hymns over Anfauglith” nel 2008. Poi il silenzio. Tornano oggi a farsi sentire con “Akallabêth”, un interessantissimo album che riprende il discorso prematuramente interrotto, portandolo ad un livello qualitativo decisamente più elevato.

Al netto del fatto che si tratta dell’ennesimo album concettualmente ispirato a Tolkien, e in questo caso al Silmarillion, scelta che consideriamo ormai un cliché stucchevole, oltre che desueto, si tratta di un disco che, se spogliato di questa sua boriosa componente, mostra un duo davvero in gran forma. “Akallabêth” è un buon esempio di come il black metal sinfonico possa, spogliandosi delle sue componenti più radicali, andare verso un approccio più evocativo e maestoso. 70 minuti suddivisi in soli 4 brani, per un per un progetto decisamente ambizioso, che riesce però a mantenere alta l’attenzione, e non deraglia praticamente mai, non si spegne perdendosi in eccessivi istrionismi autocitazionisti – rischio quanto mai concreto, vista la tematica fantasy.

In sostanza si tratta di un’opera sinfonica molto ben strutturata, da guardare nell’insieme, un qualcosa da giudicare solo dopo averla assaporata in maniera totale, in un’altalenante susseguirsi di emozioni solenne e maestose, figlie di un apprezzabile e meticoloso lavoro in fase di arrangiamento, a tratti quasi – giustamente – maniacale.

Deciduous Forest – Fields of Yore

Snjór è un polistrumentista australiano. L’album di cui parliamo oggi è il debutto per Deciduous Forest, la sua più recente, e principale incarnazione.

Un album che gli permette di guardarsi dentro, attraverso un’analisi introspettiva, che, grazie ad un linguaggio sonoro di stampo atmosferico, ma dal grande impatto, arriva a destinazione in modo fragoroso. “Fields of Yore” ci trasporta in un’oscura foresta – rappresentata al meglio dalla copertina – carica di densissima nebbia, dove ci appare immediatamente chiaro quello che andremo ad ascoltare. Per una volta la componente grafica riesce ad assumere una simbiosi totale con quella sonora.

È proprio lì, nella fitta vegetazione, dove la luce non arriva mai, che troviamo l’habitat ideale per un album di questa intensità sonora, che pur senza scendere nella cacofonia o negli isterismi, riesce nel suo intento di essere di grande impatto. Veniamo quindi avvolti da un buio senza forma, e cullati da un album davvero epico, ed evocativo.

Un album doloroso, giustamente ambizioso, che arriva a segno, senza voler stravolgere nulla o inventare, ma che si propone di parlare diretto al cuore, con il suo innegabile carico sinfonico – black metal atmosferico di stampo orchestrale.

Hexvessel – Nocturne

“Nocturne” è il settimo album di Hexvessel, intrigante creatura plasmata dalla mente di Kvohst, alias Mat McNerney, polistrumentista finlandese di adozione ma inglese di nascita.

Per questa sua ultima creazione, ha scelto di avvalersi della collaborazione di ospiti di tutto riguardo, come Yusaf Vicotnik Parvez (DHG/DØDHEIMSGARD) e Juho Vanhanen degli ORANSSI PAZUZU, che, unitamente alla notevole performance vocale di Saara Nevalainen, riescono a conferire all’album un tono grandioso. “Nocturne” è un disco dal sentore decisamente epico, che si esalta nel sublimare il contrasto tra buio e luce, in un connubio con la natura silenziosa in cui regna la solitudine.

Un album che per certi versi guarda al passato attraverso uno spiccato senso progressive incastonato su di un tessuto che esula dal black metal canonico grazie ad un uso della voce atipico e centrato di Saara Nevalainen che si muove tra synth e passaggi acustici di grande apertura melodica.

Decisivo resta però l’apporto fornito dal pianoforte, elemento decisivo nel dare quel tono glaciale e coinvolgente che fa di “Nocturne” un album a cui prestare massima attenzione. Siamo alle prese con un rituale notturno a tutti gli effetti, funereo ma anche brillante, che riesce a protrarsi per quasi un’ora di etereo e malinconico misticismo.

Fino al crescendo finale che sublima ulteriormente l’intensità di un disco a cui non si può restare indifferenti.

Leonov – Shape of Ash

Gli EP hanno sempre un qualcosa di intrigante. Un fascino particolare. Riescono ad entrarti dentro, grazie ad un timing ridotto, con la conseguenza che finisci per interiorizzarli con grande velocità. Io ne soffro il fascino da sempre, soprattutto da quando mi sono (auto)convinto che, indipendente dal fatto che siano un “antipasto” di qualcosa che sta per arrivare, o che rappresentino un “una tantum” a se stante, avulsi dal percorso di una band, hanno una intrigante dignità sonora che me li fa preferire agli album.

Detto questo, anche “Shape of Ash” dei Leonov, non poteva che attirare la mia attenzione. 4 brani per una ventina di minuti. 4 brani per raccontare le asperità della vita, sempre pronta a metterti i bastoni tra le ruote a suon di avversità. 4 brani che mostrano una band in ottimo stato.

Quello dei Leonov è una sorta di doom declamato con voce eterea, malinconicamente intriso di quell’approccio deprimente a cui sono debitore consapevole. Nel disco ogni sogno, ogni speranza, ogni illusione viene sistematicamente negata, in funzione e in virtù di un’unica via percorribile, quella del sacrificio interiore che nasce soltanto dopo avere incendiato il nostro ego, e averlo letteralmente ridotto in polvere.

Intitolati ad Aleksej Leonov, il primo essere umano a camminare nello spazio, i norvegesi sono attivi da circa 15 anni e mai come ora sembrano essere vicini a quella bellezza che ricercano, segno che la consapevolezza del loro potenziale è un qualcosa che sentono dentro, e a cui hanno dedicato tutti i loro sforzi per riuscire ad ergersi con musicalità sulle macerie della vita in cui noi stiamo a piangere passivamente.

Stomach – Low Demon

Secondo album per il duo statunitense composto da John Hoffman (Weekend Nachos) e Adam Tomlinson (Sea Of Shit, Sick/Tired). Dopo due demo a cavallo tra il 2022 e il 2023, escono alla ribalta con il debut album “Parasite” (2023). Passano due anni ancora, e ce li ritroviamo, oggi, alle prese con “Low Demon”. Il disco è suddiviso in cinque momenti separati che, se sommati, raggiungono la cifra di 40 minuti di devastazione sonora. La stessa che la band chiama “depravazione”, ma che a noi piace modificare in “deprivazione”, dato che è proprio questo il senso di straniamento che ci avvolge a fine ascolto.

Detto che, dal vivo, il duo si avvale – per ovvi motivi – dell’apporto di Kirk Syrek (Sick/Tired, Exalted) al basso, diventa innegabile come il muro sonoro eretto dalla band sia un monolitico assalto che soffoca, annienta e ingloba ogni cosa che incontra sul proprio cammino.

Quella degli Stomach è una violenza che si consuma senza fretta, e che sublima un assalto verbale intriso di nichilismo, grazie ad un album decadente per una società decadente che ha corrotto ogni cosa. Alla fine di tutto che cosa resta? Niente più della consapevolezza di aver sopportato fin troppo, e che quel senso di stanchezza è quanto di più reale, ma soprattutto è esattamente quello che avevano in serbo per noi i due statunitensi.

“Low Deomon” è quindi un album che finisce in crescendo, con il brano conclusivo di 17 minuti che rappresenta al meglio l’inferno che abbiamo cercato – forse vanamente – di descrivere finora, un inferno in cui l’abisso diventa realtà, in una trasformazione che non contempla la luce, e che invece sublima l’oscurità avvolgente.

 

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