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Recensione : :: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #20

Facciamo la conoscenza con i recenti album di Aortes, Kati Rán, Red Moon Architect, Svnth e Tetramorphe Impure.

Aortes, Kati Rán, Red Moon Architect, Svnth,Tetramorphe Impure

Giungiamo alla cifra tonda mentre il quarto mese dell’anno sta andando a morire, lasciando intravedere l’odiata estate che si avvicina minacciosamente. Non abbiamo, al momento, alcuna contromisura. Se non la speranza che gli Dei ribaltino la situazione, riportandoci in pieno inverno. Nell’attesa facciamo la conoscenza con i recenti album di Aortes, Kati Rán, Red Moon Architect, Svnth e Tetramorphe Impure.

Aortes – Carrion (autoprodotto)

Agli Aortes arrivano da Vilnius, Lituania. E si cimentano in un mix tra sludge e post metal che convince, e invita a proseguire l’ascolto. Il loro è un approccio sonoro che non sfocia nella cacofonia, ma resta in modalità accessibili, cadenzate e senza eccessi. “Carrion” è un album decisamente vario, che, pur restando all’interno di uno spazio ben definito e facilmente inquadrabile, mostra come si possa fare musica in modo slegato, rispetto ai canoni e ai cliché. Ma è anche un disco che mostra una band che fa dell’aggressività una delle proprie peculiarità, e che riesce a mantenere alta l’attenzione durante tutto l’ascolto.

Un album variegato, a tratti quasi meditativo, ma sostanzialmente inquadrabile come un deciso passo avanti rispetto al precedente, il debutto del 2022 “Devouring Gloom”, anch’esso autoprodotto dalla band. “Carrion” è, in estrema sintesi, un album evocativo che ci porta a contatto con il dolore, visto dalla band come l’unica conseguenza possibile delle scellerate azioni dell’uomo. Uomo che, in quando colpevole, non ha diritto alla redenzione e non merita la nostra compassione.

Kati Rán – LYS (Svart Records)

Kati Rán celebra il decennale del suo debutto con la ristampa di “LYS”, album che sancì la partenza della sua carriera musicale nel 2015. È la Svart Records a realizzare la nuova release fisica del disco, che prevede, oltre alle dieci canzoni originali, la bonus track “Vinda”, eseguita con Helsir in una inedita versione acustica. L’album è un concept che guarda alla “luce” interiore come elemento che possa guidare verso la realizzazione dei propri sogni, in un fluire di emozioni che devono essere lasciate andare, libere.

Il tutto intriso di rimandi alla mitologia nordica, alla sua ritualità, alle sue tradizioni millenarie, in cui la natura è indiscussa protagonista. Kati suona praticamente tutti gli strumenti nel disco, impreziosendolo con la presenza di ospiti quali Oliver S. Tyr dei Faun, Kristian Uhre degli Euzen, e infine Kai Uwe Faust e Maria Franz degli Heilung. La polistrumentista olandese ama perdersi in sonorità folk che guardano alla Scandinavia e alla sue tradizioni, grazie all’utilizzo di strumenti storici come la nyckelharpa svedese, la moraharpa, il dulcimer a martelletti, la kraviklyra norvegese, flauti d’osso e fischietti armonici, hurre, conchiglie, percussioni primordiali e tamburi di pelle. Ma non è tutto, anche la parte cantata ha un approccio atipico, con l’uso del norvegese, dell’inglese, del tedesco e del norreno antico.

Un sound e un album che guardano alla magia delle terre del nord con un approccio acustico seduttivo che punta all’impatto immediato, coinvolgente, caloroso. Un album malinconico che sa essere solenne e maestoso, senza cadere nei cliché. Caldo, atmosferico, incantato.

Red Moon Architect – October Decay (Noble Demon Records)

“October Decay” dei Red Moon Architect è un album che mostra sin da subito una propria dignità sonora, chiusa all’interno di un genere monolitico che garantisce un elevato pathos emozionale.

L’album si deve infatti inquadrare come uno tra quei dischi doom che si caratterizzano per una pluralità di sfumature e contrasti che contribuiscono in modo determinante ad accrescere sia il fascino che il valore assoluto del progetto. Opprimente ma mai soffocante, “October Decay” si muove agilmente proprio in questo rimando di distanze (più apparenti che effettive), in un alternarsi di sensazioni, tutte comunque riconducibili ad una seducente e deliziosa malinconia. Non è un album perfetto, questo no, ma è un buon disco, uno di quelli che ti fa capire come ci sia un potenziale enorme che deve solo essere sfruttato.

L’album è il sesto per la band finlandese, per cui dovremmo dare per scontata la personalità a questo punto, ma ciò che caratterizza i Red Moon Architect è proprio la tendenza a crescere, disco dopo disco, limando i dettagli e le imperfezioni. Un album doloroso e, come detto, malinconico, che trascina in un vortice ipnotico, da cui è difficile affrancarsi, e che ci porta un mondo oscuro, di dannazione, in cui brilla una flebile speranza, nascosta, che da tempo attende il nostro arrivo.

SVNTH – Pink Noise Youth (These Hands Melt Records)

SVNTH è l’incarnazione più recente dei Seventh Genocide, quintetto romano che negli anni ha mostrato tutto il proprio valore, andando a compiere un percorso qualitativo che li porta oggi ad essere tra le realtà più interessanti in Italia. I loro album (compreso quest ultimo “Pink Noise Youth”) raccontano di una band che non si è mai sentita a proprio agio nella staticità di una comfort zone, in cui molti, troppi, si crogiolano. I SVNTH invece hanno sempre scelto di cambiare tutte le volte che hanno raggiunto l’obiettivo che si erano prefissati, pronti per una nuova sfida.

Oggi, con “Pink Noise Youth” cantano le angosce e le paure di quella che chiamano appunto Generazione del Rumore Rosa, una generazione instabile da un punto di vista emotivo, che non ha ancora capito come muoversi. L’album mostra una band davvero a proprio agio, che non si ferma davanti a nulla e sonda il maggior numero di soluzioni sonore possibili.

Tutte con perizia e caparbietà. La band lo presenta come la seconda parte della propria “trilogia dei colori” dopo “Spring in Blue” del 2020. Non era facile dare un seguito di qualità ad un album come il precedente, qualitativamente parlando, ma dobbiamo riconoscere ai SVNTH di esserci pienamente riusciti, bravi! Riescono infatti ad essere credibili nonostante passino (con disinvoltura) tra un brano e l’altro attraverso sfumature sonore non sempre così lineari e consequenziali.

Tetramorphe Impure – The Sunset of Being (Aestethic Death Records)

Tetramorphe Impure altro non è che la nuova realtà sonora creata da Damien ex Mortuary Drape, qui al debutto discografico su Aestethic Death Records.

Quando ormai si poteva essere portati a pensare che il progetto, nato agli albori del duemila fosse da considerare archiviato, ecco arrivare, a sorpresa, dopo un ventennio di nulla o quasi, l’album che davvero nessuno pensava sarebbe mai nato. “The Sunset of Being” è un album che guarda ad un doom death metal dal chiaro piglio old style, caratterizzato da un oscuro e debordante dolore nichilista che trasuda da ogni brano.

L’album, cupo e intimista, racconta la transitorietà dell’esistenza umana. e mostra di possedere un carattere deciso, un’identità. Costruito negli anni, con un approccio che guarda al passato, e quindi alla sostanza ancor prima e ancor più che all’estetica. Come se il tempo non fosse mai trascorso. Costruito sugli stilemi di un genere che Damien dimostra di saper ottimamente padroneggiare, l’album si muove a cavallo tra atmosfere cangianti, ma sostanzialmente malinconiche, anche nei momenti più aggressivi.

Album decadente che non inventa nulla ma riporta a momenti particolarmente felici in cui l’angoscia dominava nelle nostre giornate.

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