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Recensione : ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #2

ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #2 presenta : High Priest, Ison, Jegong, Khanate, Klidas

HIGH PRIEST, ISON, JEGONG, KHANATE, KLIDAS

Seconda razione di consigli per gli acquisti sotto la canicola estiva che parte e si sviluppa anche questa volta in ordine alfabetico, be quick or be dead…

High Priest “Invocation” (Magnetic Eye Records)

“Invocation” degli High Priest è un disco metal. Tutto il resto non conta nulla, o quasi. Ma soprattutto è un disco fatto davvero bene.

E questo conta, parecchio. Primo vero album dopo i due EP che l’hanno preceduto, il disco mostra un grande potenziale che si sostanzia nella versatilità di una proposta che si fa piacere proprio per l’eterogeneità dei suoi brani. Il tutto, unito ad una produzione di grande spessore che riesce a valorizzare ogni strumento nel momento in cui deve emergere all’interno del brano, fa di “Invocation” un album acido dall’atmosfera decadente e maledettamente rassegnata come non se ne sentivano da tempo.

Deciso e potente, ma al tempo stesso melodico quando serve alzare il livello del pathos, il disco degli High Priest sembra mettere in primo piano la chitarra, ma ad un ascolto più attento rivela una molteplicità di sfumature che non ci permettono di abbandonare l’ascolto.

Ison “Stars and Embers” (Avantgarde Music)

Ison è il progetto di Daniel Änghede (Astroqueen, Draconian). Nato come one man band, Ison giunge al terzo album, e anche questa volta, come accaduto nel disco precedente, per impreziosire il suo dark ethereal ambient chiede aiuto a Lisa Cuthbert (Draconian) e a tutta una serie di ospiti (tra cui Mikael Stanne dei Dark Tranquillity) per alzare il livello qualitativo del lavoro in studio.

Per tutti quelli che non hanno più voglia di perdersi in un riffing serratissimo fatto di continui cambi di tempo e cercano un luogo dove curare l’inquietudine della propria anima, “Stars and Embers” è il disco giusto per prendersi una pausa dalla frenesia quotidiana.

L’album scava nel profondo dei nostri sentimenti, andando a toccare quelle corde che vibrano dolorosamente dentro ognuno di noi.

Con una dichiarazione di intenti di questo tipo non poteva non essere la Avantgarde Music ad accaparrarseli. Etereo e ipnotico, “Stars and Embers” ci porta alla deriva nello spazio più profondo, aprendo uno spiraglio di luce nel buio del cosmo e nell’oscurità dei nostri cuori. Magico, incantato e poetico.

JeGong “The Complex InBetween” (Pelagic Records)

Gli JeGong tornano a far parlare di loro, e lo fanno con un album che permette loro di continuare il viaggio musicale intrapreso negli ultimi anni, a suon di krautrock, elettronica e rock sperimentale.

Il tutto, per garantire un resa sonora ancor più granitica e disturbante, mescolato ad elementi noise che hanno anche la funzione di aumentarne il fascino.

“The Complex InBetween” mostra un duo che non si vergogna di mostrare le proprie fonti di ispirazione, riuscendo ad applicarne gli esempi in modo straordinario, portandoci in un’odissea nello spazio che si muove in quell’intervallo tra il conscio e l’inconscio in cui tutto può accadere. Dahm Majuri Cipolla, batterista dei MONO (Giappone) & Watter, e Reto Mäder dei Sum Of R, questi i due viaggiatori spaziali, guardano dunque alla produzione musicale dei primi anni settanta, ricontestualizzandola al nostro tempo, cercando di rivalutare il passato guardando al futuro, attraverso un sound volutamente “datato” che esplode in un magma di creatività.

Khanate “To Be Cruel” (Sacred Bones Records)

Quando si pensava che quello di Khanate fosse un nome da ricordare con piacere, ma da archiviare con nostalgia, ecco arrivare il nuovo album “To be cruel” su Sacred Bones Records. Sono passati quindici anni, ma, non appena si preme play sul lettore, il tempo perde ogni valore ed è come se i Khanate non se ne fossero mai andati. Il dolore di un tempo è ancora qui con noi, e le cicatrici dell’anima hanno ripreso a pulsare, come mai in passato.

L’album, intriso di un crescente malessere, racconta il male che alberga dentro di noi, e che non ha mai smesso di proliferare, oggi come allora. Non ci sono grosse novità a livello sonoro, ma in fondo è esattamente quello che la maggior parte di noi chiedeva loro. Una sana dose di intransigente violenza, come da tradizione.

Per le novità guarderemo da un’altra parte. Stando a quanto dichiara direttamente Adam Dubin, l’album nasce come desiderio di vendetta per la lunga pausa che li ha congelati. Tra rumori, silenzi e saturazioni ”To be cruel” riesce nuovamente ad oltrepassare ogni limite umano e guarda dritta negli occhi l’autodistruzione.

Klidas “No Harmony” (Bird’s Robe Records)

Il progetto Klidas nasce nel 2014 con l’intenzione di portare l’esperienza personale del singolo al servizio della collettività, in modo da creare un ponte che possa riunire il background variegato dei partecipanti sotto una nuova veste, capace di spaziare dal jazz alla psichedelia, dall’alternative rock al progressive.

L’intento è quello di raggiungere un punto in cui ogni atto sonoro lasci il posto al silenzio come presupposto e pilastro imprescindibile di ogni esperienza di ascolto. Da qui il nome Klidas, parola ceca che significa “gigante del silenzio”. “No Harmony” è l’album di debutto per il quintetto marchigiano, per la cui stampa si è scomodata l’australiana Bird’s Robe Records. Un album che guarda come detto alla ricerca sonora, ma che riesce ad andare oltre, cercando di riscoprire le radici stesse della musica in senso quanto più ampio possibile. In modo da alzare quanto più possibile la qualità delle composizioni. Operazione che possiamo senz’altro considerare riuscita.

L’album è infatti un ottimo esempio di contaminazione sonora che riesce a mantenere un legame con la forma canzone, senza perdersi in virtuosismi inutili. Un disco maturo per una band che ci riserverà sicuramente altre piacevoli sorprese in futuro.

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