“Le monadi non hanno porte, né finestre, dalle quali qualcosa possa entrare o uscire” scriveva il filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz. Questo disco è esattamente il tentativo di rendere in forma musicale questo concetto.
Nat Cmiel, in arte Yeule, ha un passato da hikikomori: ha vissuto per un certo periodo di tempo rinchiusa tra le quattro pareti della propria cameretta, divorata da schiere di demoni interiori, incapace di affrontare il mondo esterno, e soprattutto l’orrore rappresentato dagli altri.
Questo stato di reclusione auto inferto è stato per lei, in qualche modo, catartico: le ha permesso di attingere a una dimensione dell’interiorità che non a tutti è dato toccare.
Questa ragazza si è riscoperta in quanto monade: chiusa in se stessa, ha potuto finalmente liberare la spontanea e naturale espressività della mente, autocomprendendosi come unità spirituale assoluta, libera.
La spontaneità dell’atto creativo si apre con una sorta di autoconfessione/presentazione: “my name is Nat Cmiel, i am 22 years old, i like music, dancing ballet… “ recita una voce spezzata, ansimante, distorta. È la nuda rappresentazione dell’io di fronte a se stesso, una celebrazione dell’autarchia psichica intenta a mettere in scena il teatro dell’ego. Segue una serie di canzoni di qualità davvero superiore: elettro pop, synth, dreamwave.
Melodie perfette, una voce spesso pitchata, in basso o in alto poco importa, dato che qui, tra le pieghe dell’anima, tutto si ribalta continuamente. Giochi barocchi di luci e ombre, aperture che in realtà si rivelano essere chiusure, anamorfosi, metafore, metamorfosi: dire tutto per non rivelare nulla, questo è lo scopo.
È una musica intimista, certo, espressionista, ma che non svela se non per ingannare. Anche quando i pezzi sono in tonalità maggiore, anche quando la voce ricama notine al miele, queste non sono un’ambrosia divina, una panacea per tutti i mali; al contrario, sono un distillato di oscurità, un rivelatore di profonde inquietudini interiori.
L’ultima traccia è un tappeto sonoro della durata di quasi cinque ore. E qui la monade rivela il suo fondo oscuro: sono le pieghe più profonde dell’anima, che si piegano e si ripiegano su se stesse all’infinito, in un inestricabile tutto indistinto, un magma informe ma vivo, brulicante, attivo.
Certo, in esso non riusciamo a distinguere alcunché: del lato più profondo di noi stessi non siamo in grado di comprendere nulla. Ciò nondimeno la sua presenza si sente, pesa come un macigno sulle nostre coscienze inermi, fragili e aleatorie.
Questa, credo, la lezione che Yeule vuole darci con questo disco: siamo atomi oscuri e incomprensibili, eppure così dannatamente belli.