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Recensione : Ventotene di Alberto Jacometti

“Ventotene” di Alberto Jacometti, edito da Fratelli Frilli, quando, nel 1940, la Gestapo arresta Alberto Jacometti, resistente in Francia, Ventotene è già stata trasformata in una delle “isole del diavolo” – la più dura, riservata ai confinati politici.

“Ventotene” di Alberto Jacometti, edito da Fratelli Frilli

Ventotene di Alberto Jacometti

Quando, nel 1940, la Gestapo arresta Alberto Jacometti, resistente in Francia, Ventotene è già stata trasformata in una delle “isole del diavolo” – la più dura, riservata ai confinati politici.

Nel ’40, Jacometti ha trentotto anni e alle spalle quasi venti di milizia socialista e molti di lotta antifascista; è questo bagaglio che gli permette di affrontare l’inferno di Ventotene, un’isola di poco più di un chilometro quadrato su cui vivono, fra miserie e disagi, ottocento confinati – quasi tutti antifascisti.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • I comunisti sono di gran lunga i più numerosi. Si dicono quattrocento e anche più. In verità devono essere molto di meno. Più esattamente; sono, su per giù, quattrocento se si computano come comunisti tutti coloro che dai comunisti sono, in un modo o nell’altro, influenzati e controllati. Da questo però all’essere comunista vero ci corre. Comunque sia è, anche così, il gruppo più numeroso, più compatto. Più attivo anche. Lungo una serie d’anni è riuscito a trarre dal confino tutto quello che il confino può dare. Al mio arrivo a Ventotene esso aveva giardinieri e orticultori che coltivavano tutta la terra disponibile compresa nei limiti, aveva il pollaio, la lavanderia, e controllava tutte le grandi mense meno una. Cioè sette grandi mense. In seguito la scarsità di alimenti sopravvenendo – e la fame – fu il primo a procacciarsi della terra oltre limite ed ebbe contadini, una masseria vera e propria con vacche e vitelli; organizzò l’afflusso e la ripartizione dei pacchi. Il suo modo di organizzazione interna, se presenta per noi i difetti ben noti, gli procura vantaggi indiscussi. Quello, in primo luogo, di formare un blocco di una densità tale da rendere molto difficile la penetrazione di spie e di elementi bacati; quello di rendere la solidarietà operante; quello di ottenere una disciplina e quindi – al bisogno – un insieme d’azione veramente notevole.
  • Il gruppo socialista è, comparativamente, assai più esiguo. La maggior parte dei suoi componenti sono degli ex-fuoriusciti arrestati dai tedeschi e spediti qui dalle commissioni di confino. La stima di cui gode va attribuita in parte uguale alla sua serietà, al suo notevole spirito di decisione e al fatto di possedere, nella persona dell’avv. Pertini, il portaparola riconosciuto del confino.
  • L’anarchico è il secondo in ordine di grandezza; se non che i suoi limiti sono, per così dire, indeterminabili, le sue sfumature molteplici, le sue chiesuole in crisi frequente. È un gruppo che sta sistemandosi e decantandosi. Attualmente raccoglie ancora elementi assai disparati che vanno dal sindacalista anarchico al socialista anarchico, all’anarchico bakuniniano, all’individualista, al ribelle, fino al… Ecco, non vorrei offendere i miei amici anarchici; ce ne sono fra loro degli ottimi, ce ne sono di quelli destinati ad avere una parte nella vita futura del nostro paese, ma insomma, bisogna dire le cose come sono. C’è, ai loro margini, una massa di, come dire? Di irregolari, di insociabili a cui la teoria, ahimè! Non serve che di pretesto. Costoro sono pericolosi. Se l’animale politico, soprattutto il rivoluzionario, non ubbidisce a un forte principio morale egli diventa, facilmente, un avventuriero o un irresponsabile. La pericolosità dell’uno e dell’altro sono palesi. Se i miei amici anarchici volessero accettare da me un consiglio, darei loro questo: di espellere senza pietà dal loro seno tali residui. Sono le tossine che li avvelenano.
  • Alcuni ci vennero nel 1936, per cinque anni. Nel 1941 avevano dunque finito, dovevano andarsene. Invece sono ancora qui. Come? Semplice. Mussolini, alla fine dei cinque anni di confino abusivo, ordinò al capo della polizia di applicarne altri cinque. Così. La paura fa fare molte cose. Fa fare anche questo: fa assegnare a una dozzina di costoro una guardia del corpo. Un milite che li sorveglia dalla mattina alla sera, che li segue – a un metro di distanza (…). Nelle loro passeggiate, li aspetta davanti all’uscio delle mense o a quello dei cameroni, si mette dietro alle loro sedie se essi si siedono a studiare all’aria aperta. Difficile trovare una mostruosità maggiore. Per le vie di Ventotene li vedi andare e venire l’uno davanti l’altro di dietro, come un cane. Peggio, come l’ombra che la maledizione di un Dio ti avesse messo alle calcagna. E se il confinato corre, il milite, dietro, corre e sbuffa (…) e se piove e il confinato, maligno, munito d’ombrello va a fare un girellino, il milite, dietro, si prende la pioggia.
  • La posta è distribuita il giorno dopo l’arrivo del battello. Un agente dell’ufficio censura sale su un gradino e intorno gli si accalcano 800 uomini. Egli legge un nome su una busta; l’interpellato risponde “presente” e la lettera di mano in mano corre a raggiungerlo. È lo spettacolo di massa più curioso del confino. (…) Una mezz’ora di silenzio quasi perfetto, durante la quale non si vedono che occhi luccicanti, visi tesi, qualche mano che a dispetto di tutto trema. E anche questa è finita. Chi è rimasto senza nulla, s’avvia mogio mogio, con un sapore di cenere in bocca. I vecchi amici si scambiano le notizie di casa. Ora si tratta di rispondere; e per tutto il dì, in camerata, s’incontra gente al tavolino, rannicchiata su un angolo di cassa, appallottolata su se stessa, che scrive, scrive… Finché una circolare ministeriale non ordina di non spedire più di una cartolina e una lettera settimanalmente e questa con non più di 24 righe.
  • L’anarchico rimette sempre e tutto in discussione. Rappresenta, in certo qual modo, il dubbio umano, la scontentezza della specie. Le linee dell’universo, come dovrebbe essere, egli le ha in testa. Come farvi rotolare il mondo? Tra gli anarchici queste discussioni assumono l’asprezza di conflitti.

 

Cos’altro aggiungere? Fra i tanti compagni di prigionia di Jacometti a Ventotene, ricordo Terracini (autore della prefazione al libro), Ernesto Rossi, Spinelli, Tommaso Fiore e il già citato Pertini.

 

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