Il thrash-death-groove (definizione passibile di variazioni a seconda dei gusti e degli umori di chi ascolta) suonato dalla band di San Gavino Monreale è uno di quei generi in grado di annoiare mortalmente quando, chi lo propone, è sprovvisto di quel pizzico di creatività ma, soprattutto, del talento che i nostri invece dimostrano ampiamente di possedere.
Le prime note che si possono ascoltare non lasciano molti dubbi sulle fondamenta musicali che i Terrorway hanno utilizzato per edificare il loro album, ovvero un qualcosa in grado di far confluire il tecnicismo dei Meshuggah, la metronomica violenza dei Lamb Of God e perchè no, anche la versatilità degli Strapping Young Lad; il risultato è che Blackwaters non si rivela affatto un ascolto estenuante nonostante sia ugualmente impegnativo, proprio perché il quartetto nella propria faretra nasconde diversi tipi di freccia, non solo quindi quelle dalla punta intrise di una velenosa aggressione sonora, trademak dei maestri svedesi.
In effetti alcuni episodi che maggiormente afferiscono a questo versante compositivo hanno la tendenza ad assomigliarsi un po’ tra loro, anche se la botta che riescono ad assestare è davvero notevole, ma le variazioni sul tema alle quali si accennava prima, che si riescono ad apprezzare solo dopo diversi ascolte e non sicuramente sentendo Blackwaters in maniera distratta una o due volte, riguardano la maggior parte dei brani; va detto, inoltre, che una buona dose di groove non manca mai, rendendo più memorizzabili diversi passaggi, aspetto tutt’altro che marginale anche se troppo spesso molti paiono dimenticarsene, restando soggiogati esclusivamente dal virtuosismo esecutivo.
I Terrorway si dimostrano altra cosa rispetto ad un semplice manipolo di tetragoni musicisti in possesso di una buona tecnica e gli esempi più calzanti li troviamo particolarmente in tre occasioni: nella title-rack, dotata di un’eccellente linea melodica ed esaltata da ritmi piuttosto controllati, in Renewal, dall’andamento decisamente più schizoide e soprattutto, nella conclusiva Ruins, brano che si staglia sul resto dell’album potendosi definire a tutti gli effetti “progressive”, in virtù delle ripetute variazioni di ritmo e di atmosfere che si stemperano in uno splendido finale acustico.
Come già detto, nulla da eccepire sulla prova della band a livello strumentale, mentre l’impostazione tipicamente hardcore della voce di Valentino risulta sicuramente efficace nella sua rabbiosa aggressività anche se, per gusto personale, avrei preferito un più classico growl.
Blackwaters è un lavoro di uno spessore che va ben al di là degli angusti confini regionali o nazionali e i Terrorway dimostrano di non avere veramente alcunché da invidiare a tante delle band più celebrate che, spesso, la nostra atavica esterofilia ci porta a sopravvalutare.
Per una volta proviamo a comportarci nei confronti dei nostri musicisti analogamente a quanto facciamo, per esempio, in tema di vini: preferireste davvero bere un prodotto proveniente da uve tedesche o statunitensi piuttosto che un bel bicchiere di Cannonau ? …
Tracklist:
1. Wretched
2. Blackwaters
3. In a Swamp
4. Keep Walking Silent
5. The Inascapable Plot
6. Chained
7. Renewal
8. A Cursed Race
9. Ruins
Line-up:
Giovanni Serra Bass
Cosma Secchi Drums
Ivan Fois Guitars
Valentino Casarotti Vocals
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