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Recensione : Stoned Jesus – The Harvest

The Harvest si rivela un lavoro riuscito a metà, tanto sono eccellenti diversi momenti, quanto altri invece non lasciano segno al loro passaggio.

Hard rock settantiano, stonerizzato e dal buon groove, direttamente da Kiev, capitale dell’Ucraina.

Loro sono i Stoned Jesus, trio che in sei anni ha prodotto una marea di lavori tra demo, split e singoli e tre full length, “First Communion” del 2010, il seguente “Seven Thunders Roar” due anni dopo e questo onesto The Harvest uscito all’inizio dell’anno.
L’album parte con due canzoni toste come Here Come The Robots e Wound: il sound dell’opener si calibra su un hard rock settantiano dal buon impatto e dall’ottimo tiro, come pure la successiva Wound, altra song “traditrice” perché, archiviati questi due brani, inizia la danza sabbatica che non si fermerà più per tutta la durata dell’album.
Infatti, la sterzata stilistica è tutt’altro che dolce e la terza canzone risulta un inno doom classico dall’incedere pesante come un macigno (Rituals Of The Sun).
E i rituali continuano, sotto l’effetto di sostanze illecite, anche con la grandiosa YFS, hard stoner coi fiocchi, tra tradizione desertica statunitense (Kyuss) e digressioni vintage, che imperterrite continuano a mietere vittime con le due jam che compongono la seconda metà del disco, Silkworm Confessions e Black Church, altro monolite doom, sinceramente un po’ troppo dilatato per non rischiare di apparire una sorta di riempitivo.
Si alternano alti e bassi in questo album, l’ottima opener e la bellissima YFS si scontrano con altri brani riusciti a metà, proprio per il loro eccessivo dilungarsi che ne inficia l’incisività.
La band, ormai una realtà già affermata nel panorama underground, questa volta non riesce a tenere il passo dei lavori precedenti e, pur rimanendo su una qualità medio alta, The Harvest si rivela un lavoro riuscito a metà, tanto sono eccellenti diversi momenti, quanto altri invece non lasciano segno al loro passaggio.
Se l’album si fosse nutrito per intero delle notevoli note dei due brani citati, saremmo qui a parlare di album imperdibile, mentre ci dobbiamo limitare a consigliarlo ai soli fans del genere.

Tracklist:
1. Here Come the Robots
2. Wound
3. Rituals of the Sun
4. YFS
5. Silkworm Confessions
6. Black Church

Line-up:
Igor Sydorenko – vocals, guitars, Hammond organ, occasional keyboards and percussion
Sergii Sliusar – bass, FX, drummachine, backing vocals
Viktor Kondratov – drums, percussion, backing vocals

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