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Recensione : Smart Shoppers – Dorkwave

Quando, il 17 Giugno, comparve il video di Socket mi iniziai a chiedere, di nuovo ed ancora, se è possibile viaggiare nel tempo e come. 

Quando, il 17 Giugno, comparve il video di Socket mi iniziai a chiedere, di nuovo ed ancora, se è possibile viaggiare nel tempo e come. 

Molta letteratura e cinematografia parrebbero suggerire sempre l’utilizzo di una macchina, un marchingegno tecnologico ma, in tutta onestà, penso che questa pista sia totalmente illusoria, frutto di una mentalità che riesce a vedere solo nella tecnica la possibilità dell’impossibile.

Il pezzo dura un minuto, il video ha una fotografia approssimativa, sfocata, a metà tra il cartone animato ed una realtà vista attraverso una risoluzione tipo negativo fotografico: alterazione della percezione.

Leggendo Burroughs mi rendo conto che i viaggi nel tempo son resi possibili da un’alterazione delle proprie capacità sensoriali e percettive: 

il pezzo socket, in un minuto scarso, parte con una strofa che diventa ritornello nella seconda parte ed un ritornello che diventa un Outro: c’è stata un’alterazione della mia percezione in quel minuto scarso? Ho quindi viaggiato nel tempo senza rendermene conto? L

La musica è uno stravagante mistura di garage anni ’60, uno spirito sintetico post punk e vive più di assenze che di presenze; inverte, sovverte, rimette in gioco, lascia cadere nel vuoto, viaggia nel tempo su un piano orizzontale e non più in divenire; si, penso di aver viaggiato nel tempo. 

Aggiungo gli Smart Shoppers su Instagram, segue un mese di apprezzamenti reciproci, scopro di aspettare il loro primo LP con una certa apprensione (quasi come fosse una pubblicazione di scritti inediti di Burroughs).

Alla fine ottengo una data, il 16 Agosto, ma i brani son già disponibili sul Bandcamp; desideroso acquisto, dati anche i prezzi di spedizione piuttosto economici: riesco ad attraversare il 1976 dei Crime nell’attacco di Subscription mentre un synth sibillino disturba lo psychobilly, a.d. 1986, della Poison Ivy di A Date with Elvis nel giro successivo. Dieci anni in un minuto. Non male.

L’atmosfera sembra quella di una new wave americana a cavallo tra i ’70 e gli ’80, il gusto è garage anni ’60, lo psychobilly sembra calcare la teoria dell’eterno ritorno, utilizzato per descrivere la frenesia delle masse nei confronti del consumo: una serie di jingle pubblicitari alterati annunciatii da una voce sgrammaticata, tra il cantato e il parlato, beffarda, sgarbata, a suo modo cinica; trafugata con sapienza da un disco Punk Rock moderno (Aborted Tortoise, Gee Tee, Satanic Togas, Set Top Box…)

In Space Snakes si riesumano i Man…or Astroman?” per un surf che guarda al passato dei Surfaris per farsi proiettare su Solaris in un futuro dove si scopre che l’altrove, l’ignoto è ancora dentro di noi, sia esso situato in una stella ubicata nel tempo linea comunemente conosciuto, in una presuntuosa misurazione del tempo, come 1961 o nel 2961.
La nowave New Yorkese, dei DNA, degli Arto Lindsay e delle Bush Tetras si affaccia in intro dissonanti e un synth utilizzato in maniera monotona e naif (a volte suona una sola singola nota per tutto il pezzo). 

Un funky bianco ci conduce verso la fine del disco e ci si schianta, non senza un certo piacere, nell’universo di Simian:

il pianeta delle scimmie, un’altra volta, l’inizio, la fine, la percezione del tempo è definitivamente alterata, la linea si schianta contro il muro di un pensiero slegato da ogni sovrastruttura, da ogni convenzione: il consumatore può tornare scimmia, la scimmia può tornare pesce, il pesce può scindersi in atomi, gli atomi possono scindersi e generare un’esplosione atomica.
Da capo.

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