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Rossomalpaolo

La prima volta che ho interagito con Paolo aka Rossomalpaolo è stato in un periodo in cui ero curiosa di sperimentare i limiti del mio corpo.

Rossomalpaolo

La prima volta che ho interagito con Paolo aka Rossomalpaolo è stato in un periodo in cui ero curiosa di sperimentare i limiti del mio corpo.
Ritrovandomi a parlarne con lui, accadde che decidemmo di provare e vedere cosa accadeva.
Le foto hanno funzionato poco ma ho passato due giorni ospite a casa sua, dove non mi sono mai sentita né di troppo né fuori luogo (nonostante abbia fatto cose tipo annusare le ascelle per accertarmi di non puzzare), Milano non è un città che amo ma di quei giorni ho un bel ricordo, simile al tepore caldo della tazza da tè nelle giornate invernali.
Paolo è uno che a mio avviso quando qualcosa gli piace e decide di cimentarvisi, sa come farla fruttare e questo lo capirete bene nell’intervista che leggerete tra qualche riga, è uno che il culo se lo è fatto, consapevole delle proprie scelte: ciò che è riuscito a costruirsi è sicuramente merito di duro lavoro, impegno e costanza, passatemi la retorica da self-made man che ogni tanto è vera: la meritocrazia karmica funziona, a volte.
Vi lascio quindi alle parole di Paolo che meglio esplicano chi sia e cosa faccia e come di consuetudine, ho chiesto un brano da accompagnamento alla lettura.
Cheers.
Billie Holiday – Lady in Satin

Az
Ciao Paolo! Raccontaci della tua attitudine DIY alla sfera creativa: come sei passato da fare l’educatore ad essere Art Director, prima di un brand indipendente, poi di uno di streetwear e, infine, in tempi più recenti, alla fotografia?

P
: Eccoci! Partiamo subito dal presupposto che sono vecchio, quindi cresciuto prima che il world wide web, gli smartofoni e i social rendessero tutto alla portata di tutti con un click. Da pischello di paese, se volevi conoscere qualcosa dovevi sbatterti e fare ricerca vera. Ovviamente le autoproduzioni erano il modo più semplice per farsi notare, in ogni ambito: musicale, fotografico, politico, etc etc…
Ho visto tanti livelli diversi di autoproduzioni, dal cazzeggio fine a se stesso (che comunque ci sta) a strutture che rimanendo indipendenti sono diventate esempi di coerenza e successo, in ambito musicale potrei citare i Fugazi e la Dischord Records o le successive esperienze di Bad Religion con Epitaph, Nofx con Fat Wreck Chords o Rancid con Hellcat Records.
La mia evoluzione nel mondo lavorativo di conseguenza, forse ha risentito del mio stile di vita (e viceversa), i cantieri da giovanissimo, la militanza, il percorso in psichiatria dal primo livello fino a diventare educatore. Poi il cambio radicale, nato quasi per gioco, creando nel 2006 a Valencia, in Spagna il mio primo brand di abbigliamento, con una connotazione fortemente etica, fatto di abiti realizzati solo ed esclusivamente con materiali riciclati e/o di recupero. Che da autodidatta è stata la mia università: ho imparato da solo a cucire e la modellistica comprando vestiti usati, scucendoli e aprendoli. La moda è un ambiente paradossalmente lontanissimo dal mio background ma è stato amore a prima vista, facendo sempre tante cose diverse tra loro (consulenze, docenze, workshop, direttore creativo, creazione di nuovi brand, collaborazioni, etc etc…), non l’ho più abbandonata. Nella mia storia, nel mio percorso, esistono tantissime storie diverse ed ognuna di esse meriterebbe molto spazio per essere raccontata. Dal primo brand completamente indipendente (creato con l’architetta Paola Pucci), nato per gioco ed arrivato a realizzare sfilate, vincere premi, presentare le proprie collezioni agli eventi più importanti delle più importanti capitali della moda, fino al mio ultimo progetto personale ed indipendente, Coppolella Skateboarding, nato nel 2016 per il forte desiderio di tornare alle mie origini e che, quando ho deciso di far entrare nel mercato asiatico, poco prima della pandemia, è arrivato a fatturare 10 milioni di € solo nel primo anno e a vestire la nazionale cinese di skate collaborando con il loro sponsor tecnico ufficiale. Ora, non è che io voglia fare lo splendido, sul mio conto non ci sono 10 milioni di €, perché esistono anche le spese, che a quei livelli sono molte; ma è sicuramente un traguardo di cui vado fiero e che mi ha trasformato in un caso da studiare, non per niente sono diversi i fondi di investimento interessati a far parte dei miei futuri progetti.
Lo so, c’è una contraddizione apparente nel mio racconto, parto dal DIY e termino parlando di fondi di investimento. Ho 42 anni, sono figlio di operai ed ho faticato tanto, lavoro da oltre 25 anni e nessuno mi ha regalato nulla, forse solo la mia famiglia, in parte, sa quanti sforzi e rinunce ho fatto per non mollare mai, resistere e continuare a credere in me stesso. Se farò nuovi accordi in futuro non sarà certo perché mi faranno diventare ricco, quella merda non mi è mai interessata. Ma se posso avere il capitale e la libertà creativa, quindi la fiducia nei miei confronti, perché non dare il massimo cercando di fare le cose al meglio? L’esperienza e l’età mi permettono di affrontare ogni sfida (anche) con spirito imprenditoriale, che non è certo il male assoluto.
Az: Per quale motivo hai deciso di dedicarti alla fotografia?
P: La fotografia è l’ennesima avventura iniziata quasi per gioco e che col tempo è diventata un lavoro. Intanto anche qui è doverosa una premessa: più di 15 anni nel mondo della moda, su set internazionali e collaborando con fotografi pazzeschi ti danno una bella base, se sei minimamente curioso. Ed io curioso lo sono sempre stato. E appassionato. Ti racconto un aneddoto: nel 2013 ero a Beijing, l’anno prima fui invitato in Cina a rappresentare il design europeo facendo una fiera e una sfilata e da allora non ho più smesso di tornarci, sempre per lavoro. Ero a Beijing per l’appunto e Ren Hang, che non era ancora famoso e che io seguivo già da tempo, era appena stato selezionato da Ai Wei Wei per una collettiva, io mossi mari e monti per poterlo incontrare ed alla fine ci riuscii, tramite amici di amici ci incontrammo in uno studio, nel 798 District e me ne innamorai perdutamente. Della sua dolcezza, della sua gentilezza, della sua poesia; per vari impegni che non sto a raccontare non riuscii più a collaborare con lui e neanche a farmi fare un ritratto. Di lì a poco divenne famosissimo a livello internazionale, e con merito! Nel 2017, testimone la talentuosa Eleonora Sabet, che adoro come persona e come fotografa, fui, credo, il primo a dare l’annuncio, qui in Italia, della sua scomparsa. Io ed Ele stavamo lanciando una collabo con una live e mi arrivò la notizia, fu un momento tristemente surreale, in cui dovevo essere felice per la collabo e raccontarla, ma con le lacrime agli occhi e il cuore a pezzi per la perdita del più grande della sua generazione.
Invece, per rispondere alla tua domanda, posso dirti che nella primavera del 2016, uscendo da una storia estremamente tossica e che mi aveva fatto a pezzi fisicamente e moralmente, in una giornata in cui rovistavo negli scatoloni di vecchi traslochi, tirai fuori una Olympus superzoom 70g che non usavo da diversi anni, cercai di ricordare e forse l’ultima occasione fu un viaggio in Marocco nel 2004 anche se non ci metterei la mano sul fuoco. Avevo lasciato dentro la batteria e tra me e me mi dissi che ero un idiota e che me l’ero giocata… La accesi e funzionava ancora! Banalmente la sua tenacia mi convinse a darle un’altra possibilità. Cercai negozi di rullini e dove poter sviluppare qui a Milano e come per magia, vidi che c’era un laboratorio molto vicino a casa mia a cui prima di allora non avevo fatto caso. Entrai intimidito, consapevole delle mie carenze e conobbi Emma, la proprietaria di Speed Photo. Mi sembravano tutti segnali che mi portavano inequivocabilmente in un’unica direzione. Quel giorno comprai il primo di una lunghissima serie di rullini e una pila. Uscii e iniziai a smanettare e a ritrarre la qualunque senza sapere che non mi sarei più fermato. Tornai da Speed Photo qualche giorno dopo per sviluppare ed eventualmente comprare altri rullini. Era (ri)nato l’amore per quella grana che mi faceva sentire vivo. L’obiettivo di uscire di casa e documentare poi, durante l’estate, una Milano deserta, mi fece superare il dolore di quella tragicomica delusione d’amore e in qualche modo, rinascere.
Az: Cosa ricerchi con Rossomalpaolo? Per quale motivo la scelta di scattare in analogico e di non post-produrre i tuoi lavori?
P: Rossomalpaolo è il nickname che scelsi per il progetto fotografico che sarebbe poi apparso sui social. Era in realtà un soprannome vecchio legato non certo al colore dei miei capelli ma perché ero Comunista. Nella seconda metà degli anni ’90 lo scelsi come nome per la mia prima mail. Ma la mia ignoranza in materia, mi faceva pensare a @libero.it come a una cosa di sinistra e @hotmail.it come a una cosa legata al porno (rido mentre lo scrivo, credo di non averlo mai raccontato a nessuno, fortunatamente quella strana idea che si era insinuata nella mia testa durò poco).
La scelta analogica è data da diversi fattori, un po’ per comodità, come raccontato più su e un po’ perché tanta gente che rispettavo, del mondo della fotografia, era dei miei anni, se non prima, e scattava in analogico, a volte anche con compattine. Per emularli decisi che quello sarebbe sempre rimasto il mio strumento. Dopo i primi rullini, feci una piccola selezione e provai a far post produrre qualcosa a un amico più bravo di me, però mi resi subito conto che non faceva per me, che lasciarle esattamente come uscivano dalla scansione e sviluppo poteva diventare il mio punto forte, la mia cifra stilistica. Quindi da quel momento, qualunque cosa fotografassi: nudo, nudo erotico, street, campagne di moda, tutto doveva mantenere gli stessi standard per rendermi riconoscibile a prescindere dal soggetto.
Sono rimasto fedele a quello spirito se non che c’è stata un’evoluzione nella ricerca dei soggetti e nell’attrezzatura. Ora ho dignitosissime compatte e spesso per esempio, dipendendo dal lavoro, uso rullini Portra. E da circa un anno mi sono avvicinato con la stessa passione anche alla Polaroid, un po’ più scomoda da portare in giro, ma sempre presente sul set.
Az: Com’è nato il progetto “Cavie”?
P: Cavie è un collettivo di editoria indipendente, creato insieme a Milo Mussini principalmente per produrre le mie prime fanzine fotografiche. Ho la mania del controllo ma mi sono subito reso conto che non potevo guardarmi allo specchio e dirmi da solo “quanto sei bello”, “quanto sei bravo”. Avevo bisogno di feedback esterni di persone di cui mi fidassi e che sopperissero alle mie carenze. Milo era la persona giusta: appassionato, attento, colto ma anche capace di tenere i piedi per terra. Abbiamo prodotto diverso materiale mio, sia miscellanee che monotematiche, editato magazine, superato le pandemie e la mia vita parallela in Cina, trasformato la nostra pagina Ig in un contenitore di fotografia e fotografi che amiamo e piccolo spoiler per l’amicizia e il profondo rispetto che mi lega a te, posso dirti che siamo in procinto di lanciare una call per una zine collettiva dalla tematica esplosiva e lavorando sodo al mio primo libro fotografico, interamente autoprodotto e autofinanziato. Sarebbe bello che il collettivo si arricchisse con la presenza di altri membri, se ci fossero persone appassionate e con tempo da dedicare alla fotografia, si facciano avanti! 🙂

Billie Holiday – Last Recording

Az: Dato lo sviluppo tecnologico, anche in campo fotografico, di AI e in generale, con la presenza sul mercato degli NFT, ha ancora senso riportare il discorso sulle autoproduzione cartacee?
P: Io non sono un genio della tecnologia, vedo intorno a me, anche amici e persone preparate che stanno facendo una fortuna con gli NFT. E credo sia giusto che ci siano e che questo mercato venga esplorato in lungo e in largo. Ma questo non deve necessariamente far scomparire tutto il resto. O almeno spero. Esempio: uno dei motivi per cui sono sempre meno interessato a fare nudo, se non per passione, è che prima della pandemia, spesso se volevi vedere una determinata persona in determinate pose ricorrevi a noi fotografi che ti vendevamo la zine cartacea (almeno nel mio caso), o la versione digitale degli shooting (mai stato il mio caso). L’esplosione di OF a un livello estremo ha fatto sì che modelle e utenti ci bypassassero per completo. Nel mio caso che senso ha spendere soldi per rullini, non proprio economici, tempo, scansione, sviluppo se poi le modelle ricevono le foto e le caricano su OF (tra l’altro guadagnando solo loro anche col mio lavoro)? Ma anche considerando la richiesta diversa da parte degli utenti, che vogliono materiale amatoriale o personalizzato e che possono averlo direttamente dalle content creator. La risposta è che credo ci sarà sempre un pubblico appassionato che sostiene l’autoproduzione, che acquista il tuo lavoro a prezzo politico e lo apprezza anche in virtù del fatto che in futuro può diventare un oggetto di culto, specie se in edizione limitata e/o numerata. Magari un numero minore di persone, nonostante mi sembri ci sia anche una sorta di moda, oggi, nelle nuove generazioni a livello di analogico, fanzine e autoproduzioni. Quindi mi auguro ci sia spazio per tutto e tutti. Per quanto riguarda me, sono dell’idea che i miei scatti analogici debbano comunque poi finire su carta.
Az: Poniti una domanda che nessuno ti ha ancora fatto, a cui avresti voluto rispondere
P: Che consti che tu vuoi solo la domanda, non necessariamente la risposta: Paolo, parlaci del Primo Principio della Termodinamica.
Scherzi a parte, negli anni mi è sempre stato chiesto di tutto ed io sono un libro aperto.
Instagram: rossomalpaolo_04/ cavie_project
Editoriale: A Day With @plagirafe/ Contax T2 e Kodak Portra 160/ No post-produzione

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