C’era una volta, in Italia, una scena musicale che – fatto abbastanza raro – non era (troppo) derivativa da influenze esterofile e, per potenza e (bassa) qualità della proposta, non aveva nulla da invidiare alle scene omonime (ma ben più grandi, “quotate” e visibili) inglesi/europee e statunitensi.
Parliamo dell’hardcore punk, un movimento sonoro, concettuale ed etico che, agli albori degli anni Ottanta, esplose nell’underground del “Bel Paese”, dopo aver recepito e assorbito gli echi provocatori “scandalosi” (dal lato di chi lo vedeva solo come un fenomeno modaiolo di costume e cattivo gusto per reietti della società e giovani scalmanati e impertinenti) e gli input situazionisti e (musicalmente e “filosoficamente”) sovversivi del punk rock, provenienti dall’Inghilterra, ma anche dagli Stati Uniti, dai Sex Pistols ai Ramones, dai Black Flag ai D.O.A., dai Germs ai Dead Kennedys fino alla lezione musico-politica del punk anarchico dell’area Crass.
Volutamente estremista e incompromissorio, documentato e sostenuto attivamente da fanzine come – tra le tante altre – T.V.O.R. (Teste vuote ossa rotte) label indipendenti come l’Attack Punk Records e centri sociali come il Virus di Milano, il Victor Charlie di Pisa e altre realtà sotterranee (ma vive e barricadere) l’HC punk riuscì a svilupparsi attraverso una fitta rete di contatti che teneva unita tutta la scena dei collettivi lungo le Stivale (in particolare a Torino, Milano, Bologna e il Granducato Hardcore in Toscana).
E ovviamente il carburante che faceva ardere il fuoco, oltre alla rabbia sociale contro l’ordine costituito e le istituzioni borghesi, e all’attivismo politico controculturale, era rappresentato dai dischi e dai concerti che le band tenevano in giro per lo Stivale: Wretched, Raw Power, Cheetah Chrome Motherfuckers, Indigesti, Crash Box, Kina, RAF Punk, Impact, Contrazione, Underage, Contropotere, Bloody Riot, l’Oi! dei NABAT e altro magma incandescente anarcoide, antimilitarista e antiautoritario (legato all’autoproduzione e al DIY, in opposizione al business del mainstream discografico delle major) che era costretto a sanguinare e andava contro tutto e tutti, dritto contro un muro.
Un microcosmo antagonista autoctono che si guadagnò la stima e il rispetto dei punks d’oltreoceano, con la nota fanzine statunitense Maximumrocknroll che teneva una rubrica dedicata all’Italian hardcore, diventato anche fonte di ispirazione per i membri di diverse HC band americane che avevano visto in azione alcune delle “nostre” band summenzionate.
Tra quei protagonisti di quei furious years (tutto il decennio degli Eighties) che segnarono una anomalia, una voce giovanile imponente che vomitava il proprio disgusto dalle viscere dell’edonismo disimpegnato ottantiano di facciata e una scheggia impazzita (ancora oggi presente, seppure in forme diverse) nella nazione del “bel canto”, dell’opera e della musica lirica, ci sono sicuramente stati anche i torinesi Negazione e i Declino, oggi oggetto della ristampa (in formato vinilico e cassetta) di questo split tape del nastro autoprodotto, intitolato “Mucchio selvaggio“, che entrambi i gruppi registrarono nel 1984 (e che, originariamente, uscì per Ossa Rotte Tapes/Disforia Tapes in formato cassette tape e, in seguito, in vinile per l’inglese Children of the revolution records) e che quest’anno è stata rieditata per festeggiare i quarant’anni dalla sua pubblicazione, alla quale è stata affiancata una mostra fotografica, a Torino, sulla scena punk locale della Motor city (all’epoca) italiana, “Collezione di attimi“, ispirata dall’omonimo libro sull’epopea dei Negazione.
La reissue è stata curata nell’audio (rimasterizzato) nella grafica (riarrangiata da DeeMo, storico collaboratore dei Negazione) e affidata alla neonata label Rocka Tapes di Massimo Roccaforte (e distribuita da Spittle/Goodfellas) ridando furore a uno split che vedeva i due ensemble piemontesi – realtà gemelle che condividevano anche un membro, Roberto “Tax” Farano, alla chitarra coi Negazione e alla batteria coi Declino – unire le forze sia su disco, sia on the road, con l’album collaborativo uscito a ridosso del loro primo tour europeo.
Un sound dinamitardo, folle e ipercinetico (che conteneva in nuce i prodromi del grindcore, un massacro sonoro architettato dalle chitarre sanguinarie malmenate da Marzio “Mungo V.R.” Bertotti e dal succitato Farano, alias “Takkop”, senza dimenticare le sezioni ritmiche, altrettanto devastanti, sconquassate dai batteristi Michele D’Alessio e Takkop, e dai bassi martoriati da Silvio Bernelli e dal compianto Marco Mathieu) faceva da miccia per far deflagarare testi (sputati fuori da Zazzo e Sandr’Opp con una ferocia impressionante) ricolmi di invettive sociali contro il Potere, odio contro la società dei consumi perbenista e benpensante e i suoi capisaldi classisti (stato/politica ufficiale, scuola, famiglia, chiesa/religione) e l’angoscia del vivere quotidiano nei “mitici anni Ottanta” in una realtà industriale grigia (roccaforte della FIAT e del capitalismo predatorio della dinastia Agnelli) senza reali alternative per i kids e alle prese con gli ultimi fuochi della lotta armata, e già ai tempi fiaccata da disoccupazione, recessione economica, licenziamenti e tanti giovani che annullavano le proprie vite a causa dell’eroina e perdevano la loro carica rivoluzionaria diventando zombies schiavi della “roba”.
C’è dentro tutta l’acida e schizzata dirompenza del primissimo repertorio dei Negazione (dall’anthem “Tutti pazzi” a “Maggioranza/Minoranza” a “Irrazionalità sconnessa“, dei veri e propri calci nei denti all’ascoltatore, passando per “Non mi dire” e “Plastica umanità“) e il flusso sonoro ancor più nichilista e lacerante, che a tratti sconfinava nel thrash metal, dei Declino (“Intro/vittime“, “Inutile trionfo“, “Vita“, “Diritto-dovere“, “Eresia” ) che di lì a poco avrebbero gettato la spugna.
Violenza sonica orgogliosamente inascoltabile e liriche sguaiate e corrosive che si rincorrono da una band all’altra a formare un unico compatto muro di suono per una mezz’ora che, a suo modo e nel suo piccolo, ha fatto epoca e scuola. Sparatevelo a tutto volume, è passato tanto tempo ma vi farà ancora sanguinare le orecchie.
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