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Recensione : The Queen Is Dead Volume 171 – Maquillage, Matt Howden Keith Howden, Calgolla

Shoegaze e post-punk dal Belgio, un altro incredibile progetto della Archaelogical Records e chiudiamo con un debutto che è un immersione nelle domande e nella musica libera. 

Maquillage, Matt Howden Keith Howden, Calgolla

Shoegaze e post-punk dal Belgio, un altro incredibile progetto della Archaelogical Records e chiudiamo con un debutto che è un immersione nelle domande e nella musica libera. 

MAQUILLAGE

“ArMOR” su Silverback Artist Collective e Shore Dive Records è il debutto dei Maquillage gruppo belga nato dall’incontro fra Gioia Podestà cantante/chitarrista ex You, Nothing. e Nick Symoens. Questi musicisti di Mechelen confezionano un disco che oscilla e riverbera fra shoegaze, post-punk e dream pop, un suono che fa sognare e porta lontano l’ascoltatore, in un calore che fa star bene nel disagio.

Il titolo è una crasi fra le parole amor e armor, che esprimono due concetti differenti ma che si integrano e si compenetrano per creare una sensazione nuova. Proprio come con queste due parole il gruppo belga usa chitarre distorte, synth dolci e lascivi, una voce femminile e una voce maschile che si integrano perfettamente, elementi noti che creano qualcosa di nuovo.

Oltre ad una massiccia dose di shoegaze e post-punk il disco ha anche un fortissimo gancio pop, in quota dream se proprio si vuole dare una definizione, un qualcosa di molto dolce, melanconico ed agrodolce. Ascoltare “ArMOR” lascia quelle sensazioni a metà distanza fra dolcezza, tristezza, desiderio e ricordo, ascoltando il disco si potrà capire meglio.

Come afferma lo stesso gruppo “Maquillage” per loro è un disco che ha in sé il concetto della trasformazione e del cambio, dei molteplici significati che una canzone può avere per noi, e le sensazioni che essa induce sono sempre cangianti, come un colore che cambia a seconda della luce, e questo disco è proprio quello, un piccolo saggio di come la musica cambi a seconda di noi e delle nostre sensazioni, la musica deve darci lo stimolo, e qui di stimoli ce ne sono tantissimi. Un disco che scalcia e riverbera, uno strascico elegantissimo di un’era musicale che non passa mai.

Musica che aiuta nell’inferno quotidiano dei rapporti e della vita normale.

MATT HOWDEN/KEITH HOWDEN

“Lanuguage for stone” su Archaelogical Records è una collaborazione di parole e suoni praticate dal poeta inglese Keith Howden e da suo figlio Matt Howden che fa la musica di questo disco. Questa collaborazione è la loro prima volta su Archaeological Records, ma è il terzo lavoro che fanno assieme.

Archaeological Records ha chiesto ai due artisti di inaugurare una serie di lavori volti alla ricerca sulle potenzialità del suono delle pietre musicali, i due artisti hanno seguito le orme dell’eccentrico gentiluomo settecentesco Peter Crosthwaite che, ispirato dai suoi viaggi in Cina, riuscì a individuare un affioramento di pietre musicali nel Lake District (Cumbria, Regno Unito) e a costruire il primo litofono europeo dei tempi moderni.

Matt Howden ha ricercato le stesse pietre e le ha trovate, con i loro suoni ha composto nove tracce, sulle quali arriva poi il lavoro poetico del padre Keith. Il risultato è qualcosa di molto atavico e di davvero archeologico come il nome di questa etichetta musicale che pratica la musica nella sua accezione più nobile e meno commerciale, ovvero la diffusione di suoni e parole altre che arrivano da altri luoghi e da altre dimensione aliene al capitalismo imperante.

Padre e figlio partono dalle pietre e arrivano a parlare di ciò che hanno visto quelle pietre, delle epoche che sono passate davanti alla loro apparente immobilità, i suoni che hanno dentro di loro e che Matt fa uscire per unirli ad altri strumenti e soprattutto alla voce del padre, un afflato poetico che suona la pietra come il figlio, per cavarne fuori il magma dell’oralità, per citare direttamente un suo verso. “Language for stone” è un titolo assai azzeccato nel senso che questo disco è la creazione di una lingua che rispecchi la pietra, parta dalla pietra e ci parli con e di essa. Lo stile musicale è il più vario, dall’ambient al folk, passando ovviamente sotto il cappello dello spoken word.

Tutto qui parla della nostra storia più antica, profonda e recondita, dell’acqua che scalfisce indomita la storia impersonata dalle pietre, e l’uomo si inserisce in questa storia con il suo bene più prezioso, l’atto creatore umano per eccellenza : la parola. Qui il logos diventa vita, storia e forza invincibile, un filo che lega il primo uomo a noi, le pietre rotolanti delle ere glaciali a noi, in un loop unicum che non è ancora finito, o forse è già ricominciato in qualche altro connubio spazio temporale.

Le parole sono dedicate al poeta al monte Skiddaw del meraviglioso Lake District in Inghilterra, uno dei luoghi più belli del nostro antico continente. Violino, pietre, synth e parole, ambient, folk e ritmi atavici che ci sono stati impressi dentro dalla natura, questo ennesimo grande disco della Archaeological Records, etichetta o meglio agitatore culturale e oggetto musicale non identificato che ci porta dentro alla nostra archeologia nel senso di ricerca e di scavo storico, un qualcosa di necessario e di doloroso a volte, ma se compiuto con lavoro come questo è fatto per farci maturare e capire maggiormente la nostra strana parabola come esseri umani.

I sassi suonano, l’uomo scrive, suona e parla, minimale ed infinito assieme. Anche la copertina è molto particolare.

CALGOLLA

“Iter” è il nuovo lavoro dei Calgolla, gruppo internazionale di stanza a Berlino. Il disco è un ‘opera multimediale, nel senso che l’ossatura del disco è composta da un poema per immagini composto dal cantante e chitarrista Emanuele Calì con l’artista visuale Giacomo Della Maria, e questa è la sua forma sonora, nove tracce che viaggiano fra post-rock, indie, alternative, spoken word e free music nel senso di musica quasi improvvisata senza steccati, libera di fluire come vuole.

I Calgolla sono un gruppo che non si riesce ad imbrigliare in un genere o in un disegno precostituito, “Iter” è il loro debutto sulla lunga distanza ed è un quaderno pieno di bellissime annotazioni musicali, si viaggia su di una frequenza particolare, libera e calda, con un filo conduttore che lega tutte le canzoni creando un senso di organicità.

Le tracce sia attraverso la musica che le parole parla di trasformazione, liberazione, catene, immigrazione, quotidianità e tanto altro, il tutto offrendo più domande che risposte, ponendoci davanti a qualcosa di comune ma anche di molto personali. I suoni sono a volte dolci, a volte aspri, sempre stimolanti, con la missione di fare musica che crea e che fa nascere qualcosa anche nell’ascoltatore. “Iter”, a partire dallo stesso titolo. è l’immersione in un viaggio in un concept album che fa del movimento la ragione stessa di vita, movimento che significa cambiamento che è perfettamente rappresentato dalle note di questo disco, dalle sue tante atmosfere e dai suoi tanti racconti.

I Calgolla sono un gruppo nomade e anche la loro stessa musica lo è, un bellissimo esempio di vivacità musicale e di varietà di note e di parole.

Un debutto che significa molto, per un gruppo nato come esperimento lo-fi e che in questo disco incide insieme per la prima volta, e che incisione.

 

 

 

 

 

 

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