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Recensione : Latinoamericana di Ernesto “Che” Guevara

“Latinoamericana” di Ernesto “Che” Guevara: In questo libro, Che non intende esaltare la figura di un guerrigliero ma illustrare una visione politica, economica e sociale.

“Latinoamericana” di Ernesto “Che” Guevara, edito da Feltrinelli

Latinoamericana di Ernesto “Che” Guevara

Questo diario è il resoconto del lungo viaggio in moto attraverso l’America Latina intrapreso dal “Che” – ancora studente della facoltà di medicina – con il suo amico e compagno di studi Alberto Granado, tra il ‘51 e il ‘52.

Osservando la miseria del popolo latino-americano, il giovane protagonista inizierà ad analizzare i nefasti effetti dei sistemi economici vigenti, scoprendo l’esigenza di un mondo più equo: “Quel vagare senza meta per la nostra “Maiuscola America” mi ha cambiato più di quanto credessi.”

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • La poveretta faceva pena, nella sua stanza si respirava quell’odore acre di sudore rappreso e piedi sporchi, mescolato alla polvere di certe poltrone che erano l’unico arredamento della casa. Allo stato asmatico si aggiungeva un lieve scompenso cardiaco. Questo è uno di quei casi in cui il medico, cosciente della propria assoluta impotenza di fronte alla situazione, sente il desiderio di un cambiamento radicale, qualcosa che sopprima l’ingiustizia che ha imposto alla povera vecchia di fare la serva fino al mese prima per guadagnarsi da vivere, affannandosi e soffrendo, ma tenendo fronte alla vita con fierezza. Il problema è che l’adattarsi alla situazione fa sì che nelle famiglie povere il soggetto inabile a guadagnarsi il sostentamento si veda circondato da un’atmosfera di acredine a malapena dissimulata; da quel momento si cessa di essere padre, madre o fratello per trasformarsi in un fattore negativo nella lotta per la vita e, come tale, bersaglio del rancore della comunità sana che finisce col considerare la sua infermità come un insulto personale verso coloro che devono mantenerlo. Lì, in quegli ultimi istanti per gente il cui orizzonte più lontano è sempre stato arrivare a domani, è dove si coglie la profonda tragedia che condensa la vita del proletariato di tutto il mondo; c’è in quegli occhi moribondi una sommessa richiesta di perdono e anche, molte volte, una disperata richiesta di consolazione che si perde nel vuoto (…).
  • (…) è ora che i governanti dedichino meno tempo alla propaganda delle qualità del loro regime e più denaro, moltissimo denaro in più, per la realizzazione di opere di utilità sociale.
  • Quella coppia infreddolita, nella notte del deserto, accoccolati uno contro l’altro, era una viva rappresentazione del proletariato di ogni parte del mondo. Non avevano neppure una misera coperta con cui scaldarsi, così abbiamo dato loro una delle nostre e noi due ci siamo arrangiati alla meglio con l’altra. Fu quella una delle volte in cui ho sofferto di più il freddo, ma anche quella in cui mi sono sentito un po’ più affratellato con questa, per me strana, specie umana… Alle otto del mattino abbiamo trovato un camion che ci avrebbe portato fino al villaggio di Chuquicamata e ci siamo separati dalla coppia che stava per andarsene alle miniere di zolfo sulla Cordigliera; un luogo dove il clima è dei peggiori e le condizioni di vita così difficili che nessuno chiede il libretto di lavoro né quali siano le idee politiche. L’unica cosa che conta è l’entusiasmo con cui l’operaio si va a rovinare la vita in cambio delle briciole che gli permettono di sopravvivere.
  • (…) il Cile offre possibilità economiche a qualsiasi persona di buona volontà che non appartenga al proletariato, vale a dire che unisca al lavoro una certa dose di cultura o preparazione tecnica. Il territorio può facilmente garantire una quantità di allevamenti sufficienti al suo fabbisogno (soprattutto nella produzione di lana), cereali in quantità approssimativamente necessaria e ricchezze del sottosuolo tali da trasformarlo in una potenza industriale, possedendo miniere di ferro, rame, carbone, stagno, oro, argento, manganese, salnitro. Lo sforzo maggiore che deve compiere è scrollarsi lo scomodo amico yankee dalle spalle e tale impresa risulta, almeno per il momento, ciclopica, data la quantità di dollari investiti da questi e la facilità con la quale possono esercitare un’efficace pressione economica nel momento in cui vedano i propri interessi minacciati.
  • Anche se il cibo è migliore e le zanzare meno fitte in prima classe, chissà se davvero abbiamo guadagnato nel cambio. Il nostro carattere è molto più in sintonia con i semplici marinai che con questi rappresentanti dei ceti medi che, ricchi o no, conservano troppo da vicino il ricordo di ciò che erano per permettersi il lusso di guardare due viaggiatori indigenti. Hanno la stessa ignoranza crassa degli altri, ma il piccolo successo conseguito nella vita ha dato loro la testa, e le semplici opinioni che esprimono vanno sostenute dalla garanzia rappresentata dal fatto che sono loro a esprimerle.
  • (…) entro pochi giorni lasceremo il territorio peruviano e per questo le mie parole prendono il valore secondario di un commiato, nel quale metto tutto il mio impegno nell’esprimere il nostro riconoscimento all’intero popolo di questo paese, che ininterrottamente ci ha colmato di attenzioni, fin dalla nostra entrata attraverso Tacna. Voglio sottolineare qualcosa ancora, un poco al margine del tema di questo brindisi: nonostante l’esiguo spessore delle nostre personalità ci impedisca di essere i portavoce di tale causa, crediamo, e dopo questo viaggio più fermamente di prima, che la divisione dell’America in nazionalità incerte e illusorie sia completamente fittizia. Costituiamo una sola razza meticcia che dal Messico fino allo stretto di Magellano presenta notevoli similitudini etniche. Per questo, cercando di spogliarmi da qualsiasi vacuo provincialismo, brindo al Perù e all’America Unita.
  • Dopo le abituali domande inutili, maneggiando e palpando il passaporto, e gli sguardi inquisitori distribuiti con la solita diffidenza tipica della polizia, l’ufficiale stampò un timbro enorme con la data di uscita, 14 luglio; ci avviammo quindi a piedi sul ponte che unisce e separa le due nazioni. Un soldato venezuelano, con la stessa arrogante insolenza dei suoi colleghi colombiani – caratteristica, a quanto pare, comune all’intera congrega militare – ci perquisì i bagagli e ritenne opportuno sottometterci a un ulteriore interrogatorio, come per dimostrarci che stavamo parlando con una “autorità”.

 

 

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