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Recensione : La tragedia del Korosko di Arthur Conan Doyle

In questo romanzo del 1898, Arthur Conan Doyle racconta di un gruppo di turisti occidentali che si ritrova a bordo di un battello a vapore sul Nilo – il Korosko, appunto – in attesa di una gita ricca di giri turistici e divertimenti coloniali.

“La tragedia del Korosko” di Arthur Conan Doyle, edito da Medusa

La tragedia del Korosko di Arthur Conan Doyle

In questo romanzo del 1898, l’ideatore di Sherlock Holmes racconta di un gruppo di turisti occidentali che si ritrova a bordo di un battello a vapore sul Nilo – il Korosko, appunto – in attesa di una gita ricca di giri turistici e divertimenti coloniali.

Le credenze e la sopravvivenza di questi turisti vengono messi a repentaglio quando, durante un’escursione nel deserto, vengono rapiti da un gruppo di cammellieri dervisci che pretendono di convertirli all’islam.

In “La tragedia del Korosko”, Arthur Conan Doyle ci racconta di un periodo di supremazia bianca e di egemonia culturale, ma anche di un’epoca in cui l’autorità morale delle potenze imperialiste occidentali iniziava a essere messa in discussione.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • “Amico mio, lei non conosce gli inglesi. Lei li guarda e li vede con le loro pipe e le loro facce soddisfatte e pensa “In fin dei conti sono brave persone, gente semplice che non farebbe mai male a nessuno”. Ma loro non fanno che pensare e osservare e tramare. “Bene, l’Egitto è debole”, esclamano. “Allons!” ed eccoli allora che si avventano sulla preda come un gabbiano su un pezzo di pane. “Non avete il diritto di stare lì”, dice il mondo. “Andatevene!” Ma l’Inghilterra si è già messa a riordinare le cose (…). “Tornatevene a casa!” dice il mondo. “Certo”, dice l’Inghilterra, “aspettate un momento, però, fino a quando avrò messo tutto a posto”. Allora il mondo aspetta per uno o due anni, e poi dice nuovamente “Andatevene”. “Aspettate un momento”, dice l’Inghilterra, “ci sono dei problemi a Khartum, e quando avrò messo le cose a posto sarò felicissima di andarmene”. Perciò il mondo aspetta che tutto sia finito, e di nuovo dice, “Andatevene”. “Ma come faccio ad andarmene”, dice l’Inghilterra, “se ci sono ancora disordini e rivolte un po’ ovunque? Se dovessimo andarcene, l’Egitto sarebbe travolto dal caos”. “Ma non ci sono disordini”, dice il mondo. “Ah, no?”, dice l’Inghilterra, ed ecco che, nel giro di una settimana, i giornali sono pieni di notizie di qualche nuova incursione da parte dei dervisci. Non siamo tutti ciechi (…). Sappiamo molto bene come funzionano queste cose. Qualche beduino, una piccola mancia, un po’ di cartucce a salve ed ecco – una rivolta!”
  • “Il mondo è piccolo, e diventa ogni giorno più piccolo. È un unico corpo organico, e una macchia di cancrena è sufficiente a corromperlo interamente. Non c’è spazio su questa terra per governi disonesti, tirannici, irresponsabili e che non rispettano gli impegni. La loro esistenza rappresenterà sempre una fonte di disordine e di guai. Ma vi sono razze che sembrano così incapaci di miglioramento da non lasciar sperare che possano raggiungere forme di governo accettabili. Che cosa bisogna fare, allora? Un tempo il meccanismo della Provvidenza, in casi come questo, era lo sterminio da parte di un popolo più vigoroso, un Attila o un Tamerlano giungevano a tagliar via il ramo più debole. Attualmente si ricorre a una più clemente sostituzione dei governanti o persino a suggerimenti da parte di una razza più progredita. (…) Se il lavoro va fatto, e se siamo noi i più adatti a compierlo, credo che sarebbe un atto di codardia e un crimine volersi sottrarre a esso”.

“Ma chi deve decidere se si tratta di un caso che richiede effettivamente un vostro intervento?” (…) Una nazione che abbia intenti predatori potrebbe impadronirsi del mondo intero con questo pretesto. (…) C’è una casa vicino alla nostra, sulla Back Bay, a Boston, che rovina decisamente l’intero panorama. (…) Ci sono vecchie sedie sparse sotto il portico, le tegole sono sconnesse, e il giardino incolto; ma non so se i vicini sarebbero interamente giustificati se si precipitassero lì correndo dappertutto e rimettendo tutto al suo posto”.

  • (…) possedevano una spiritualità intima, profonda, il calmo ed essenziale fatalismo che rappresenta l’ossatura più arcaica della religione, sulla cui superficie granitica crescono come effimeri licheni i freschi germogli dei dogmi.
  • Il grande sole rosso era al tramonto e metà del suo disco stava scivolando dietro la foschia violacea all’orizzonte. Era l’ora della preghiera per gli arabi. Una civiltà più antica e più erudita aveva indirizzato il proprio sguardo verso il magnifico oggetto che riempiva il cielo in lontananza e l’aveva adorato. Ma questi selvaggi figli del deserto davano più valore all’essenza rispetto ai raffinati persiani. Per loro l’ideale era più importante della materia, ed essi pregavano con la schiena al sole e il viso rivolto verso il principale santuario della loro religione. E come pregavano, questi fanatici musulmani! Rapiti, assorti, con occhi ardenti e volti accesi, alzandosi e poi piegandosi di nuovo in avanti, mentre la loro fronte toccava i tappeti di preghiera. Chi avrebbe potuto dubitare, osservando la loro strenua, coraggiosa devozione, che nel mondo esistesse un’enorme potenza vivente, reazionaria ma tremenda, composta da innumerevoli milioni, uniti da un medesimo credo da Capo Jubi sino ai confini della Cina? Se un impulso comune li travolgesse, se un grande condottiero o una guida carismatica si levasse in mezzo a loro e si servisse del materiale eccezionale a sua disposizione, chi potrà affermare che non sarà proprio questo lo strumento con il quale la Provvidenza spazzerà via il corrotto, decadente, apatico meridione d’Europa, come fece migliaia di anni fa, per fare spazio a una stirpe migliore?
  • “(…) qualsiasi cosa è meglio dell’apatia. Anche il dolore è meglio dell’apatia. Io ho appena iniziato a vivere. Finora mi sono comportato come un automa vivente. Avevo un’unica idea in testa, e un uomo così è soltanto un gradino più indietro rispetto a un morto. Soltanto adesso ho iniziato a rendermene conto. In tutti questi anni nulla mi smuoveva, non sono mai stato realmente scosso da un fremito di passione. Non ne avevo il tempo. Osservavo le emozioni negli altri, e mi chiedevo indistintamente se in me mancasse qualcosa che mi impedisse di condividere l’esperienza dei miei simili. Ma ora questi ultimi giorni mi hanno insegnato che anch’io posso vivere con grande intensità, che posso provare speranze ardenti e paure mortali, che posso odiare, e che posso… beh, che posso sentire in me tutte le passioni che l’anima è in grado di sperimentare. Sono rinato. Forse sono sull’orlo della tomba, ma almeno adesso posso dire di avere vissuto”.

“E perché la sua vita in Inghilterra era così desolante?”

“Ero ambizioso, volevo fare carriera. (…)”

  • (…) chi si trova al livello più basso della disperazione (…) non ha paura del futuro.

 

“La tragedia del Korosko” di Arthur Conan Doyle

Cos’altro dire?

Uno dei maggiori elementi di interesse in “La tragedia del Korosko” sta nell’opportunità di osservare il nostro XXI secolo attraverso il cannocchiale rovesciato del XIX, con l’integralismo islamico che già allora faceva paura.

 

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