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Recensione : Inner Shrine – Pulsar

Il voto è una media aritmetica tra la prima e la seconda metà di Pulsar, con un giudizio però nel complesso tendenzialmente positivo, proprio in considerazione della svolta, per certi versi coraggiosa e, per quanto mi riguarda del tutto condivisibile, che questo album rappresenta per gli Inner Shrine.

Inner Shrine – Pulsar

Devo ammettere che, nonostante nell’ormai lontano 1997 fossi stato uno degli acquirenti dell’elegante digipack che racchiudeva “Nocturnal Rhymes Entangled In Silence”, negli ultimi anni avevo parzialmente smarrito le tracce dei fiorentini Inner Shrine.

Il gothic death-doom con alternanza di voci femminili e maschili all’epoca era, almeno per la nostra penisola, una formula adottata ancora da poche pionieristiche band, tra le quali appunto la band toscana che, nonostante le comprensibili ingenuità che costellano di solito un disco d’esordio, aveva mostrato numeri e potenzialità di prim’ordine.
Il seguito della carriera degli Inner Shrine si era dipanato però su questa falsariga senza che in realtà avvenisse mai quel salto di qualità che poteva essere preventivabile.
Sono stato quindi piacevolmente sorpreso nel ritrovare il combo fiorentino alle prese con una sua nuova e più moderna incarnazione che, dopo l’abbandono dell’abusato gothic con voce femminile, approda ad una forma di metal oscuro ed atmosferico, che ben si presta a fungere da colonna sonora ad un concept incentrato sulla distruzione della civiltà come quello racchiuso in Pulsar.
Il ritorno in formazione dell’originario batterista Claudio Tovagli a fare coppia con l’unico elemento presente in tutti i lavori degli Inner Shrine, Luca Liotti, in effetti coincide, non so quanto casualmente, con un ritorno a sonorità più cupe e sfrondate dai barocchismi dei precedenti lavori; inoltre, l’utilizzo di una voce maschile spesso appena accennata o filtrata conferisce all’aspetto strumentale una netta preponderanza.
Così, fin dall’iniziale Black Universe, si capisce che l’album ci condurrà, sia pure attraverso qualche passaggio più robusto, in un mondo musicale fatto di melodie oscure ed avvolgenti, in grado di spaziare tra gothic, dark, post-metal e ambient.
Al di là della condivisione o meno di questa scelta stilistica, che dipende molto dai gusti personali, l’unico problema di Pulsar è quello di snodarsi in maniera davvero eccellente soltanto fino alla title-track, grazie a una serie di brani dalla grande carica evocativa come The Last Day On Earth e The Rose In Wind, salvo poi iniziare un lento ma progressivo ripiegamento su se stesso, tra episodi anonimi (Peace Denied) ed altri decisamente di minore impatto, fino alla comunque azzeccata chiusura di matrice ambient (Between).
I ritmi piuttosto uniformi, l’utilizzo particolare della voce e la cappa di oscurità che avvolgono il lavoro, quando non vengono supportati dai summenzionati spunti melodici o da qualche dosata accelerazione, finiscono per annacquare il risultato complessivo, con l’aggravante che i momenti meno convincenti coincidono proprio con la fasce discendente del disco, quando il mantenimento dell’attenzione da parte dell’ascoltatore diviene normalmente più arduo.
Il voto è una media aritmetica tra la prima e la seconda metà di Pulsar, con un giudizio però nel complesso tendenzialmente positivo, proprio in considerazione della svolta, per certi versi coraggiosa e, per quanto mi riguarda del tutto condivisibile, che questo album rappresenta per gli Inner Shrine.

Tracklist:
01. Black Universe
02. The Last Day On Earth
03. The Rose In Wind
04. Pulsar
05. Peace Denied
06. Four Steps In Gray
07. Immortal Force
08. Between

Line-up :
Claudio Tovagli – Drums
Luca Liotti – Guitars, Vocals, Synthesizers
David Cangi – Bass
Francesco Betti – Guitar

INNER SHRINE – Fcebook

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