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Recensione : IL LABIRINTO DEL MOSTRO DI FIRENZE

IL LABIRINTO DEL MOSTRO DI FIRENZE: un saggio avvincente che esplora il mistero irrisolto del Mostro di Firenze, tra indagini e ombre inquietanti.

IL LABIRINTO DEL MOSTRO DI FIRENZE

“IL LABIRINTO DEL MOSTRO DI FIRENZE” di Roberto Taddeo, Lorenzo Iovino, Daniele Piccione e Stefania Ascari. Prefazione di Sigfrido Ranucci (Mimesis edizioni)

Sono passati quarant’anni dall’ultimo delitto attribuito al Mostro di Firenze, era il settembre del 1985. Da allora il silenzio, “il mostro” non fa più parlare di sé. È stato arrestato per altri motivi? È morto? O era davvero il solo Pacciani, insieme ai suoi folcloristici amici il responsabile? Queste le prime domande che ci invita a porci Roberto Taddeo, con il suo recente “Il labirinto del Mostro di Firenze” (Mimesis Edizioni), che segue, e completa la sua trilogia dello scorso anno “MDF. La storia del Mostro di Firenze”.

Se il Mostro di Firenze (o i mostri, come capirete leggendo) scompare dai radar, e tutto nel Granducato torna alla tranquillità (apparente), non si sono mai arrestate le indagini, anche a distanza di quasi mezzo secolo se ne continua a parlare. E non potrebbe essere altrimenti perché non dobbiamo scordarci che siamo alle prese con un caso ancora aperto, con condanne parziali, morti sospette, suicidi se possibile ancora più sospetti. Ma ancora, muri di gomma che puntualmente si presentano nel momento in cui sembra arrivare l’atteso punto di svolta, e che, invece ci rimandano indietro. Con, sullo sfondo, il dubbio, (che può trasformarsi in convinzione) che le indagini abbiano scoperto solo quello che era possibile (e concesso) portare alla luce. Il resto, il sommerso, era e deve restare nascosto, nell’ombra.

“Il labirinto del Mostro di Firenze” deve essere visto come un saggio, che ci consegna tutta quella serie di conclusioni (oggettive, questo deve essere chiaro sin da subito) che, per motivi di spazio, non era stato possibile includere in coda alla corposa trilogia. Conclusioni su cui gli autori non vogliono prendere posizione, lasciando a noi lettori la possibilità di farci la nostra idea in merito. Loro riportano solo i fatti, in modo capillare, e sempre attenendosi a verbali di polizia giudiziaria e agli atti dei processi. Non aggiungono nulla di proprio.

Oltre seicento pagine in cui non c’è nulla lasciato al caso, e in cui traspare tutta la complessità di un percorso di documentazione e analisi che sta alla base del libro. E che, riflette tutte le difficoltà incontrate dagli inquirenti in quegli anni durante le indagini. Informazioni fiume, in un italiano a volte stentato, contrastanti tra loro, imprecise, depistanti, fasulle, parziali, scarsamente attendibili. È successo di tutto in quegli anni. L’idea che ci siamo fatti, avendo anche la “fortuna” di vivere in loco, è che al tempo tutti sapessero tutto di tutti, perché ci si conosceva tutti, sia a Firenze che nei paesi limitrofi. Ma che, proprio per questo, nessuno avesse il coraggio di parlare, ben consapevole di ciò a cui sarebbe andato incontro se lo avesse fatto. Per cui ci si dovette accontentare, ben lontani dalla tecnologia odierna, di tutto quel fiorire di segnalazioni anonime, che, oltre a non aver risparmiato quasi nessuno, tra amici, colleghi, conoscenti e persino famigliari, hanno confuso e spesso rallentato le indagini, con e senza dolo. Forse.

Firenze e il suo circondario in quel periodo erano caratterizzati da un quadro sociale di estrema povertà, sia economica, che, soprattutto morale. Un mondo in cui il sesso era al centro di tutto. Si consumavano festini a base di alcool, orge con sesso di gruppo, e rituali esoterici.

Un quadro inquietante, per certi versi quasi impensabile al giorno d’oggi, ma allora perfettamente contestuale a tutte quelle dinamiche che sembrano uscite da un film di bassa qualità ma grande fantasia, che purtroppo però erano l’esatta fotografia di un’Italia che stava cambiando forse troppo in fretta. Per cui un viavai di maghi, santoni, guaritori, prostituzione domestica, abusi sessuali, violenze gratuite, piccola criminalità. Tutto il campionario di un’Italia nascosta, che cercava la trasgressione in quei contesti in cui regnava un livello culturale al di sotto del livello minimo accettabile. In un crescendo di disgustosi episodi che vedevano spesso come protagonisti ritardati mentali, analfabeti, gli immancabili nostalgici neofascisti. Il tutto condito da un’atavica, e immotivata paura del giudizio altrui. E con l’immancabile Massoneria sempre a guardare tutto in silenzio, come a voler dare la propria benedizione.

Un mondo mondo patriarcale in cui, se nascevi donna, eri condannata come minimo a violenze e abusi in famiglia, se non alla prostituzione. Un mondo ancestrale, misogino, caratterizzato da suggestioni sovrannaturali, e quindi particolarmente animalesco e scatologico.

Il racconto di Taddeo riporta in vita tutti quei particolari di chi, come me vive qui a ridosso dei luoghi che hanno visto le tragiche imprese dei “compagni di merende” e dei loro collaboratori e mandanti, non ha mai dimenticato. Impossibile transitando in zona, impedire alla mente di focalizzare i luoghi con le coppie uccise, ricordare le croci di legno e le lapidi improvvisate a bordo strada, il terrore di chi, appartato in auto, cercava intimità al riparo dagli sguardi invadenti della città, e invece trovava l’amico dell’amico appiccicato al vetro della macchina con la bava alla bocca.

Sono ricordi che fanno ancora paura. Qui “il mostro” è come se fosse ancora vivo. Non ci se ne stacca, nemmeno a distanza di quasi mezzo secolo. L’isteria collettiva di quegli anni, ben documentata sia nella trilogia che in questo compendio finale, era tangibile, non si parlava d’altro, e tutti si guardavano intorno, consapevoli che il mostro poteva essere chiunque, anche la persona che stava prendendo il caffè al bancone del bar in quel momento, e che sembrava stesse fissando una ragazza seduta al tavolo. Il fenomeno del voyeurismo negli anni è andato a morire. La pornografia è stata sdoganata, e “i contenuti per adulti” sono diventati appannaggio di chiunque, anche dei più emarginati. Tutto quello squallido mondo, torbido all’inverosimile, di cui tutti erano al corrente, e impossibile da sradicare, se oggi fa meno paura, continua però a fare schifo. Anche solo a parlarne.

Taddeo non ha problemi a ricordarci, tramite anche la voce dei protagonisti che per ultimi hanno indagato, come si sia, probabilmente, scoperto solo il margine più esterno del mondo dei “mostri di Firenze”. Quello più facilmente accessibile, quello della bassa manovalanza, che però al tempo stesso era, per le alte sfere quello più pericoloso, e quindi più difficile da gestire. In virtù di un’affidabilità tutta da dimostrare, causa appunto l’inconsistenza morale e intellettiva dei suoi protagonisti. E, in questo senso, non può essere casuale il fatto che tutti quelli che, a vario titolo, nelle vicende, anche quelle considerate (erroneamente) più marginali, siano stati fatti scomparire, dando in pasto a giornali e televisioni solo quelli mediaticamente più vendibili, più istrionici, più folcloristici.

Un vero e proprio labirinto, come giustamente anticipa il titolo, di cui ancora oggi non si riesce a vedere l’uscita. Per certi versi possiamo pensarlo come a un trattato di sociologia o di storia recente, che racconta usi e costumi, pregi e difetti, di una nazione in un contesto storico particolarmente delicato, e instabile. Quello che deve restare chiaro, nel momento in cui approcciamo la lettura, è che si tratta di una guida, e che come tale deve essere inquadrata. È stata definita la “guida definitiva” non perché porti in dote conclusioni definitive, ma perché, ad oggi, è il testo più completo, più particolareggiato, più ricco tra i tanti usciti sull’argomento.

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