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If Six Was Nine

If Six Was Nine: Se il rock era in passato la bandiera di qualcosa che pulsava in favore di altro, dalle ragazze alla libertà, dalla prot...

If Six Was Nine

Se il rock era in passato la bandiera di qualcosa che pulsava in favore di altro, dalle ragazze alla libertà, dalla protesta al ballabile, dai paradisi artificiali alla trasgressione, dall’aggregazione free al nichilismo… oggidì non serve uno scenario specifico, non crea una visione. È musica che tende alla chiusura, non tanto degli attori che lo suonano, il rock, quanto nel pubblico che ha cambiato quei parametri di espressione e sconfinamento proiettandoli nel cloud dei loro pensieri d’intrattenimento mentale fini a sé stessi e niente di più. Proprio come fumare una cicca, quell’attimo di sospensione.

Benché il rock fosse – e lo è ancora? – una specie di circo a partire dalle élite delle rockstar sino a giungere alle estremizzazioni di gruppi esterni al music-biz, tutto l’aspetto iconografico è sparito al suo interno, compresi i riti e le leggende. Non fa tendenza e non influenza nessuno.

Tutto cambia, ovvio, anche se il rock si suona ancora. Ma in realtà è completamente scomparso, poiché non si intravede più nei segnali quotidiani – zero codici di scambio e comunicativi.
Nessun elemento distintivo appare tra i fans, in strada nessuno ci tiene a mostrare il benché minimo interesse al rock; non templi, non record shop (in via di estinzione), né centri culturali radicali. Invero, una minutaglia di locali spaziali sopravvive nel microcosmo sociale… ma sono gli ultimi fortini pieni di vita contro-culturale, sebbene anch’essi in via di cambiamento, in attesa d’essere rasi al suolo come il Leoncavallo o di riaffermarsi (speriamo) come il Nuovo Cinema Palazzo, a cui fa seguito una moria di piccoli club lungo tutta la penisola. E la colpa non è di nessuno. È il mondo che gira così… e allora non resta che cambiare tutto, forse proprio perché in realtà nulla cambi, la veridica citazione di Tomasi Di Lampedusa.

Però deve cambiare realmente tutto, anche se questo sarà forse impossibile.

Il sogno che vogliono venderci con la tecnologia è proprio questo. Che tutto cambi. E non lo sai se sotto sotto alberga una fregatura. Cambia la forma e mai la sostanza, e a questo noi italiani siamo abituati.

Quando arriverà l’antidoto, invece? Deve pur nascere da qualche parte operosa l’oltraggioso antidoto al cloud virtuale dei pensieri e delle azioni, quando emetterà il primo vagito? “Datemi qualcosa da bere” nell’attesa “prima che io muoia!”. (Cit. Qualcuno volò sul nido del cuculo, film ita).
Probabilmente già serpeggia fra di noi, solo che nessuno l’ha ancora veramente riconosciuto e così in mancanza di una tonica attrattiva che scardini il mondo dalle sue implementazioni, ci si attacca alle fatue cose dettate dal capitalismo e dall’amarcord. Ma gli intercettatori di nuovi modi dirompenti di comunicazione ancora devono nascere, così come i centri di una nuova scena si devono ancora condensare dentro un misterioso quartier generale.

E per quanto sviluppo smart si produca nella nostra civiltà, traducibile in benessere (o facilitazioni), bisogna ancora arrivare a toccare gli effetti controproducenti tangibili che questo cut-up epocale avrà sulle persone, sui sistemi sociali, frutto della manipolazione della realtà, roba che né il virus corrente, né le nuove direttive tecnologiche future-oriented, che ci appaiono tuttora positiviste (innovazione, sostenibilità, competenze, start up e infrastrutture), fanno intravedere.

Stiamo assorbendo in pieno le trasformazioni grazie al covid, imputato d’esserne il catalizzatore, l’acceleratore inoculato nel mondo apposta per servire questa mutazione tutta ingegneria e zero sballo; e allora ciucciamo dal seno virtuale di madre tecnologia fino a ubriacarci il cervello guardando dei monitor, fino a che non si cristallizzino le retine – e sta lì il punto dolente.

La porta è stata chiusa definitivamente col passato – “If the doors of perception…” e lo si sapeva già nei tardi anni sessanta che ciò sarebbe accaduto. C’è il futuro che aspetta d’essere scritto, ma per adesso godiamoci l’ebbrezza, prima dell’assuefazione, sperando di non ammalarci di dipendenza cronica.

Sarà così intelligente l’AI nell’evitare di rovinarci la vita?

Fra 15, – quanti in realtà? – 10, 5 anni lo sapremo.

P.S. Selezione musicale ispiratrice, Francesco Fantozzi.

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