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I 5 Dischi Per Il Weekend Di Iyezine

I 5 Dischi Per Il Weekend Di Iyezine: Yves Tumor – Safe in the hands of love Al  primo disco su Warp dopo l'esordio con Serpent Music<...

I 5 Dischi Per Il Weekend Di Iyezine

Yves Tumor – Safe in the hands of love

Al  primo disco su Warp dopo l’esordio con Serpent Music e i due mixtape il misterioso producer, poli-strumentista e performer cresciuto in Tennesse ma forse ora residente a Torino ci offre il suo lavoro più personale e intimo.

Anticipato dai singoli Noid, per chi scrive uno dei brani dell’anno in cui l’artista ci parla della sua paura per la polizia “have you looked outside? I’m scared for my life“/ “911/911/911 can’t trust them” (fresca di memificazione lo spot Nike col volto del giocatore NFL Colin Kaepernick) e Licking an Orchid, dove ci offre la sua idea di r’n’b duetto torbido e suadente con James Kay oltre a una coda noise che si dissolve nel manifesto “There’s a pain deep inside, but I’m trying not to lose my only baby girl to a toxic world I crawled back in our mother’s womb to find a piece of you”.

In Safe in the hands of Love c’è anche spazio per momenti più sperimentali come Hope in Suffering (Escaping Oblivion & Overcoming Powerlessness) o la clamorosa chiusura con la sfrenata, ossessiva e liberatoria Let the Lioness in You Flow Freely, quando ammiriamo la voce di Yves Tumor spingersi e strozzarsi dove mai aveva osato prima.

Link album: https://open.spotify.com/album/1IpYZkYoYCjXTYMDEW8Ksk

Anna Calvi – Hunter

Al suo terzo disco, il primo dopo cinque anni, la chitarrista e cantautrice britannica si lancia in un deciso inno alla scoperta del piacere con un corpo al centro dell’indagine, quello femminile che si fa predatore (da qui il titolo) superando ogni ostacolo di genere, tema che vede come illustri esploratori St. Vincent ma soprattutto Perfume Genius: “If i was a man in all but my body
Oh would I now understand you completely”.

C’è tanto delle recenti vicende sentimentali relative ad Anna, che si muove come una cacciatrice in un’estatica ricerca del piacere incarnato nel corpo dell’altro, “Crawl down, down on my knees, crawling through the trees like an animal I taste taste taste of the dirt taste the dirt of us canta in Indies or Paradise, brano che strizza l’occhio alla PJ Harvey più erotica, per poi placare le chitarre e farsi più eterea nei vocalizzi più esasperati di Swimming Pool.
Con Hunter Anna Calvi sa cosa vuole dirci e come farlo: “I want us in the air in Paradise” e “I’ll be the boy you be the girl I’ll be the girl you be the boy I’ll be the girl (come up to feel it)” consacra Chain tra i migliori momenti dell’album.

Link album: https://open.spotify.com/album/4i2XIJtswPyQE6G46wpKpH

Idles – Joy as an act of Resistence

Con la doverosa premessa che entro l’anno finirò per tatuarmi da qualche parte il titolo del disco, eccoci giunti agli IDLES.
A distanza di un anno dal precedente e acclamato Brutalism, lo scatenato collettivo post-punk di Bristol (UK) capitanato da Joe Talbot torna con un nuovo disco che ha gli stessi pregi (tanti) e difetti (pochi) del precedente.
Anticipato dai singoli che sono anche forse i migliori episodi del disco, la martellante ed esplosiva Colossus e Danny Nedelko destinata a diventare un memorabile inno punk-rock, gli IDLES si propongono senza presunzione alcuna come band di riferimento per l’Inghilterra di questi confusi anni pre-Brexit ( di cui si parla in Great) e di profonda crisi delle ideologie, e lo fanno essendo coerenti con loro stessi fino in fondo: politici senza risultare retorici, chiari senza essere banali, furiosi senza mai collimare in un caos indefinibile. C’è anche spazio per June, commiato straziante che Talbot sente di prendersi per parlarci del dolore legato a sua figlia, nata morta.
Che siano il nuovo riferimento in musica della working class o meno, c’è bisogno degli IDLES, oggi più che mai.

Fear leads to panic, panic leads to pain
Pain leads to anger, anger leads to hate

Yeah, yeah, yeah, yeah
Yeah, yeah, yeah, yeah
Yeah, yeah, yeah, yeah
Yeah, yeah,
Danny Nedelko

<iframe width=”560″ height=”315″ src=”https://www.youtube.com/embed/QkF_G-RF66M” frameborder=”0″ allow=”autoplay; encrypted-media” allowfullscreen></iframe>

Link album: https://open.spotify.com/album/27NYgZQHcapoSAs5bWAxRI

Big Red Machine – S/t

La collaborazione tra Justin Vernon (Bon Iver) e Aaron Dessner (The National) era nell’aria già da dieci anni, quando assieme pubblicarono il brano dal titolo Big Red Machine. In concomitanza con il lancio della nuova piattoforma di streaming digitale senza pubblicità o limiti dal nome PEOPLE, precedentemente anche un festival berlinese con tantissimi artisti rinchiusi per una settimana nella Funkhaus (nell’estate appena trascorsa si è tenuta la seconda edizione), i due hanno pensato bene di regalarci un intero disco a nome Big Red Machine, dieci tracce in cui le chitarre di Dessner e l’art pop sempre più immerso nell’anima folktronica di Vernon dialogano con naturalezza e spontaneità in dieci brani sognanti e godibilissimi.

Link album: https://open.spotify.com/album/3LBRCisCaxgQjb5nwSMPgU

Spiritualized – And nothing hurt

Ladies and gentlemen we’re floating in tears: in verità c’è molto altro rispetto alle sole lacrime in questo nuovo (e forse ultimo) episodio della tribolata e un po’ miracolata vita musicale di Jason Pierce, ormai da quasi trent’anni cosmonauta alla guida del progetto Spiritualized.

Cosa aggiunge dunque il nuovo capitolo all’epopea psych-rock-pop-rhytm’n’blues-soul-gospel del fu Spacemen 3?
Tre quarti d’ora di catarsi pura cullati dalle inconfondibili melodie e intarsi sonori di uno dei più sottovalutati e importanti songwriter di fin de siècle, che si fa carne e decide di farci vibrare con il suo psych-rock sinfonico in cui non sa metterci null’altro che tutto sè stesso, il suo universo così tormentato che è anche terra di dolcezza straziante ma reale, tangibile.
See you space cowboy

Link album: https://open.spotify.com/album/4Qq2llaaOvid9feCwN0u0X

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