iye-logo-light-1-250x250
Webzine dal 1999
Cerca
Close this search box.

Recensione : Helleborus – The Carnal Sabbath

Gli Helleborus propongono una versione del black metal melodico sufficientemente personale e robusta, sciorinando una decina di brani di grande impatto.

Helleborus – The Carnal Sabbath

Ci eravamo già imbattuti nei fratelli Houseman in occasione del loro ultimo lavoro targato Akhenaten, progetto dedito ad un death/black intriso di una forte componente etnica rivolta a sonorità egizie ancor più di quanto non avessero mai fatto gli stessi Nile, precursori di questo particolare tipo di contaminazione.

La riuscita di quell’opera aveva portato alla luce una coppia di musicisti di talento (specialmente Jerred, che si occupa in toto della strumentazione, lasciando a Wyatt il compito di condire il tutto con la sua aspra interpretazione vocale), per cui questa nuova uscita a nome Helleborus (l’elleboro, o rosa di Natale, è un fiore molto bello ma altrettanto tossico, dal quale vanno tenuti doverosamente alla larga bambini ed animali) incuriosiva non poco, preannunciando i nostri alle prese con un teorico symphonic black.
Detto che il genere citato si presta a frequenti scivoloni, che si concretizzano per lo più con una sovrabbondanza di tastiere che va a snaturare la matrice estrema del sound, gli Helleborus, con il loro primo full length The Carnal Sabbath, si tengono alla larga da questo rischio, proponendo una versione sufficientemente personale e robusta, sciorinando una decina di brani di grande impatto, tra i quali troviamo i tre singoli pubblicati in precedenza (Coils, Colored Spoes of Yuggoth e The Carnal Sabbath, tutti davvero notevoli).
In effetti, più che rifarsi a Dimmu Borgir e compagnia, gli Helleborus optano per una forma di black/death melodico non dissimile dallo stile dei primi Catamenia, per intenderci, e non a caso l’uso delle tastiere è misurato costituendo, alla fine, un mero accompagnamento all’incisivo lavoro della chitarra di Jerred ed al growl di Wyatt.
Non resta che citare altri due brani come la ficcante Edge of Black Waters e la splendida Temple of Seventh Death, nella quale una chitarra lontana dagli stilemi del black si prende meritatamente la scena, prima di consigliare questo ottimo album a chi voglia fare la conoscenza degli Houseman bros., andando magari a recuperare anche quanto fatto l’anno scorso come Akhenaten.

Tracklist:
1. Helleborus Black
2. Coils
3. Edge of Black Waters
4. Colored Spoes of Yuggoth
5. Draconian Discipline
6. The Poison of Sleep
7. Temple of Seventh Death
8. A Gift of Renewal
9. The Carnal Sabbath

Line-up:
Jerred Houseman – All instruments
Wyatt Houseman – Vocals

HELLEBORUS – Facebook

Get The Latest Updates

Subscribe To Our Weekly Newsletter

No spam, notifications only about new products, updates.
No Comments

Post A Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE

Amarok – Resilience

La cifra compositiva degli Amarok è piuttosto personale in quanto, rispetto al più canonico sludge doom, la band californiana non teme di rallentare i ritmi fino a sfiorare un’asfissia scongiurata dal mood atmosferico e melodico che pervade buona parte di un lavoro riuscito come Resilience.

Abysskvlt – mDzod Rum

Gli Abysskvlt, con mDzod Rum, propongono un’opera di grande spessore, sia dal punto di vista spirituale che strettamente musicale, ma non si può nascondere che tali sonorità siano principalmente rivolte a chi possiede un’indole incline alla meditazione.

Silent Vigil – Hope and Despair

Se in passato il sound traeva principalmente linfa dall’insegnamento dei Daylight Dies, tutto sommato Hope and Despair è un album che si muove in continuità con quello stile, che qui viene ulteriormente ribadito dando alla fine l’auspicato seguito, sia pure con il nuovo moniker Silent Vigil, alla brusca archiviazione degli Woccon avvenuta dieci anni fa.