iye-logo-light-1-250x250
Webzine dal 1999
Cerca
Close this search box.

GAZA SURF CHRONICLES E1

GAZA SURF CHRONICLES E1

GAZA SURF CHRONICLES E1

Avete mai provato a chiedere ad un surfista di qualsiasi parte del mondo che cosa rappresenta il surf per lei o per lui? Sono certa al 100% che tutti vi daranno la stessa risposta: Libertà. Perché nulla al mondo dona quella sensazione come scivolare su un’onda, come remare verso il largo, circondati dal rosso del cielo e dal caldo del sole che tramonta. Pensateci bene, che cos’è la libertà? Per davvero intendo.

È una condizione in cui possiamo agire senza costrizioni o impedimenti, in cui decidiamo noi, secondo una scelta autonoma garantita da una precisa volontà e coscienza. Nel surf ci sono regole e norme da seguire, ma in un contesto di indipendenza.

E se scivolare su un’onda, fosse l’unico momento di libertà?

In questi ultimi 9 mesi mi sono catapultata in una dimensione distorta e opposta alla libertà. Da molto prima del 7 ottobre quel fazzoletto di terra tra il fiume e il mare aveva già catturato la mia attenzione. Ma da quella data, tutto il mondo è cambiato, e anche il mio.
In questi mesi stiamo assistendo ad un evento difficile da descrivere girandoci intorno. Le cose vanno chiamate con il proprio nome, e quello a cui è sottoposto il popolo palestinese, dalla Striscia di Gaza alle terre occupate di West Bank, è, a tutti gli effetti, una pulizia etnica, un genocidio.

Quante volte abbiamo sentito questi termini dando per scontato una certa distanza tra noi e i soggetti in questione. Come se ci fosse non solo una distanza fisica, ma anche e soprattutto morale. E invece non è più così, è il genocidio 2.0 . È quel mondo nel quale attraverso un Social riesci ad avere le informazioni reali in tempo reale, e attraverso il quale puoi metterti in diretta comunicazione con i soggetti in questione. È proprio quello che è capitato a me, e per fortuna, a milioni di persone nel mondo. È proprio così che ho conosciuto una gran parte delle ragazze e dei ragazzi che praticano surf a Gaza e fanno parte del Gaza Surf Club.

Avete capito bene, in quella che nel mondo è conosciuta come la più grande prigione a cielo aperto, si fa surf ed esiste un club dedicato al Surf. Il Gaza Surf Club è stato fondato nel 2008 grazie all’ausilio di Explore Corps, un’ organizzazione no-profit che realizza progetti nel campo dell’educazione all’aria aperta, delle attività ricreative e delle arti, funzionando da risorsa educativa e di sviluppo comunitario per i surfisti palestinesi nella Striscia di Gaza.

Quanti si staranno chiedendo, “ ma se addirittura fanno surf, come possono dire di vivere in una prigione?”
Sistematicamente a Gaza mancano acqua ed elettricità, sono gli israeliani a decidere quando concederle. Il 96% delle abitazioni riceve acqua corrente inadatta ad essere consumata. L’acqua che esce dal rubinetto è acqua imbevibile, salata, a causa di guasti nella falda acquifera.

La fornitura elettrica, gestita sempre da Israele, è di appena quattro ore al giorno. Per questo molti edifici pubblici e privati sono attrezzati con generatori di emergenza, che però sono poco affidabili e spesso non funzionano. Gli ospedali sono i primi a soffrire di questi tagli. La corrente elettrica spesso è interrotta a causa dei blackout, costringendo le strutture a ricorrere a generatori.

Si tratta di un sistema sanitario che deve rispondere alla necessità di 2.226.544 persone. Inoltre, sempre a causa dell’assedio gli ospedali non sono forniti di tutte le medicine e di tutti gli apparecchi utili a curare i malati. Si possono fare delle richieste al governo israeliano, sia per ricevere medicine sia per i trattamenti, ma spesso arrivano troppo tardi o non arrivano affatto.

È quello che è successo a Rawand Abu Ghanem, una delle prime surfiste della Striscia e la prima persona del Gaza Surf Club con la quale ho parlato. Un anno fa è morta la sua seconda figlia Yara, aveva 12 mesi. È nata con un problema cardiaco, e proprio a causa dell’assedio, le cure di cui aveva bisogno non sono arrivate in tempo.

Il fatto che siano riusciti a rendere abitabile, perfino bella, una terra di 365 km2, lunga 40 km e larga, nel punto più lungo, 12 km, non vuol dire vivere in libertà. Vuol dire lottare ogni giorno, trovare la forza per farlo, nonostante tutto, in una parola, vuol dire RESISTERE.

Qui trovi il link del fondo di soccorso per i surfisti gestito da Explore Corps: https://gazasurfclub.com/support#a2dcc7e5-1831-4b54-992b-b528b546d171

Qui trovi i link delle raccolte fondi create dai surfisti di Gaza: https://linktr.ee/summerkahlo

 

LEGGI I PRECEDENTI EPISODI

 

Share:

Facebook
Twitter
Pinterest
LinkedIn
Get The Latest Updates

Subscribe To Our Weekly Newsletter

No spam, notifications only about new products, updates.
2 Comments
  • Avatar
    Nicoletta Ghini
    Posted at 20:50h, 06 Luglio Rispondi

    Cara Valentina,
    Con ritardo ho saputo del Gaza Surf Club, e mi dispiace perché avrei voluto conoscerlo subito, ma proprio subito, appena entrata a far parte dei milioni di volontari che si occupano della Palestina. La Palestina che non c’è, che i media ignorano, che non è uno Stato, che vive in un embargo durissimo ma chissà in quanti poi lo sapranno.
    Entrare e vedere, leggere, parlare con loro, è stato un salto nel vuoto. Perdi certezze, perdi rapporti, perdi fiducia, c’è da ricostruire te stessa prima di un mondo intero. Perché la rovina peggiore è là fuori, fra chi non vuole sapere e chi con ogni mezzo nasconde.
    Ecco. Avere saputo del club dei surfisti mi avrebbe rischiarato qualcuno degli angoli bui che ho trovato da subito. In alcuni, mi ci sono ficcata da sola: chissà, forse un cilicio, una colpa da espiare, una vergogna che ancora sento.
    Ora posso vederli remare verso il largo, in un tramonto che a Gaza è più bello che altrove. Seduti aspettano l’onda, con un piccolo ma difficile salto salgono sulla tavola, e volano. Le onde come praterie, sconfinate mentre sei sopra.
    Un simbolo di libertà, la tavola, un talismano e una speranza. L’immagine della forza e della resistenza di questo popolo che si ama profondamente, che si ammira come si ammira il surfista in un equilibrio leggero e un po’ magico.

    Grazie Valentina. Sappiamo entrambe che i razionamenti sono cosa superata, e gli ospedali non hanno più difficoltà perché sono terra e pietra ora, bombardati come le case, come le strade, come tutto. Ma ora so anche del surf, e questo mi dà nuova energia, proprio mentre la sto – un po’ ogni giorno – perdendo.

    Come scrivi bene, Vale. ‍♂️

    • Valentina Sala
      Valentina Sala
      Posted at 22:40h, 06 Luglio Rispondi

      Sono amici, sono famiglia e la loro lotta deve essere anche la nostra, di tutti.. Libera la Palestina, Libero il mondo intero! Grazie per queste belle parole Nicoletta..

Post A Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE

The Zeros - Don't Push Me Around

The Zeros – Don’t Push Me Around

The Zeros – Don’t Push Me Around: definiti come i Ramones californiani se non addirittura messicani (il leader Javier Escovedo è figlio di emigranti, tutti musicisti).

Monos

Monos – “Road to Perversion” e quattro chiacchiere

Monos : la realtà vuole però che la band nasca da una folgorazione (probabilmente non di origine divina) avuta da Mr. Bonobo e Mr. Gorilla rispettivamente alla chitarra e alla batteria. La loro prima uscita è datata 2019 mentre il nuovo album è alle porte.

Uzeda, arriva nei cinema il docufilm “Do it yourself”

“Uzeda – Do it yourself” è un docufilm, realizzato dalla regista Maria Arena (e prodotto da DNA audiovisivi e dalla casa di produzione indipendente Point Nemo) che racconta la storia degli Uzeda, fondamentale alternative/math/noise rock band italiana, formatasi nel 1987, che ha tracciato il proprio