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Recensione : Epi E Ferlinghetti: 98 Anni

Epi E Ferlinghetti: 98 Anni: Iye: Ferlinghetti ha compiuto 97 anni Leo: Grande!!! Si va di Ferlinghetti? Leo: Ci credo! Pe...

Epi E Ferlinghetti: 98 Anni

Iye: Ferlinghetti ha compiuto 97 anni

Leo: Grande!!! Si va di Ferlinghetti?

Leo: Ci credo! Pensi a una conversazione beat?

Epi : Quando ha visto gli orrori della guerra ha smesso di fare la guerra e si e’ dedicato alla poesia, a cantare la pace e l’armonia fra le nazioni e i popoli.
Ha vissuto l’esperienza della violenza, dell’odio, del “male”, sulla sua pelle e con le proprie mani sino a toccare il fondo del dolore.
Per trovare la luce, la sua luce, la sua strada. E da allora si e’ fatto cantore della parola.

Negli anni 60 oltre alle lotte sindacali c’era la guerra in Vietnam e noi accaniti sognatori non ci limitavamo a fare scioperi, picchetti e sit in ma tappezzavamo i muri e le catene di produzione nelle fabbriche di poesie contro la guerra e contro lo sfruttamento.

Sentivamo parlare della “beat generation” che toccava il cuore dei giovani americani ma le cose erano diverse, molto diverse in Italia e in Europa.
Il vecchio mondo era scosso da scioperi che coinvolgevano studenti e operai mentre in America solo manifestazioni giovanili.

Eravamo frustrati dalla apatia dei lavoratori USA verso la guerra e le discriminazioni. E stupiti dalla fuga di tanti ragazzi americani verso il mondo “beat”. Credavamo, forse ingenuamente, che bisognava impegnarsi nella societa’.
In un confronto con sindacalisti metalmeccanici americani mi ero permesso di fare presente loro che bastava lo sciopero degli operai addetti alla costruzione di armi per far cessare la guerra in Vietnam.

Per risposta mi hanno detto che non si poteva ridurre la paga dei lavoratori e che le armi garantivano la sicurezza e il prestigio della nazione.
Con la coda fra le gambe ho ripreso il mio illusorio cammino di sognatore ed ho riflettuto ( forse in mala fede ed erroneamente ) sulle origini della cosidetta “beat generation” e sul perche’ non attecchisse in Europa.

Noi in Europa, credavamo di volere liberta’ e benessere.

Gli americani erano convinti di possedere gia’ queste cose e di volere addirittura esportarle ed insegnarle agli altri.
Percorsi umani diverse, dicotomie culturali ed evolutive incomunicabili.
Potevamo anche noi fare i beats o almeno scimmiottarli, l’importante era riprodurre il loro modello e nella lingua inglese.
Poi la guerra e’ finita, il nostro 68 si e’ spento per stanchezza, i beat boys sono diventati manager boys e siamo anche noi diventati uguali a loro.
La Storia ha svolto il suo filo, le divergenze son divenute convergenze.
La beat generation si e’ dissolta col maggio francese e col muro di Berlino.
Sono diventati miti da appendere in poster al muro o sulle magliette.
Ma la parola non si e’ spenta: fra le contorte e misteriose vie dei linguaggi delle poesie, dell’arte, della pubblicita’, dei libri, e dei Ferlinghetti il mito antico dell’uomo nuovo, dell’uomo cosciente continua il suo operare con nuove ” beat generation, lost generation, drug generation, kinder generation, ecc.. ecc..”.

Iye: Noi poveri sognatori italiani illuminati dalle loro.parole dai loro sogni. Eravamo estasiati…. come vedere una possibilità di una vita diversa fosse possibile..  O forse no

Epi : Il mito dell’America e di tutto cio’ che era americano e’ nato con la fine della guerra. Quei soldati vincitori e sorridenti, con i loro ricchi equipaggiamenti e le loro musiche ( il jazz, Glen Miller, Luis Armstrong ) , e i loro regali.
Come nel finale del film di Benigni, La Vita e’ Bella, anche io, bambino di 4 anni, sono stato preso da loro su un carro armato, al loro arrivo in citta’.
Spesso mi portavano al luna park, e poi, all’inizio della scuola ci facevano trovare sui banchi tavolette di cioccolato e chewing gum color rosa buonissimo. E poi la loro lingua arrotata e un po’ buffa.
E poi il loro piano di aiuti ERP.
Li vedavamo come supereroi che ci avrebbero liberati dalla poverta’ e dalla nostra inferiorita’.
E questo senso di inferiorita’ e dipendenza, di riconoscenza e imitazione ci ha accompagnato da subito e ci accompagna ancora: nella musica e nella letteratura, nella cultura e nella ricerca, nell’industria e nella economia, nella politica e nella ideologia, ma soprattutto nei sogni e negli ideali.
In noi pure risuona sul piano ideale il loro motto :” go west young man ! ”
E tutto quello che da loro si agita come battito d’ali di farfalla (come dice Leo ) da noi viene accolto come un must, un mito da emulare.
Questa stessa frenesia imitativa e’ la stessa che contagiava tutti i popoli che venivano liberati, conquistati o dominati dall’antica Roma.

Questa voglia di immedesimarsi, di accomunarsi, di essere fagocitati dal potente e’ latente nella nostra natura: ci pare di divenire un po’ anche noi potenti e divi sul palcoscenico del mondo.
Ma bisogna ammetterlo: l’America ci ha fatto riscoprire la voglia di sognare.

Dopo la immane devastazione della guerra, dopo il fascismo e il nazismo, dopo il franchismo e il salazarismo, dopo il gollismo e il comunismo, dopo i muri e le laceranti divisioni in Europa.

Ora il mito America vacilla, e sembra strano, vacillano tutti i castelli ideali che attorno ad esso si erano formati.
I nostri miti, i nostri ideali, i nostri sogni vacillano anch’essi.
Nuovi miti barbari si affacciano e si affollano gia’ attorno a noi.
Dobbiamo farci fagocitare da nuovi sogni altrui o finalmente guardare ben in fondo a noi stessi per scoprire il nostro sogno piu’ profondo e vivere per esso.?

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