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Recensione : Danny Kuttner – Lilly

Nel salotto della nonna, Danny Kuttner raccoglie i ricordi e li trasforma in un disco incorporeo, strumento più suo che nostro per guarire il dolore della scomparsa.

Danny Kuttner - Lilly

Mi immagino la casa piena di oggetti di una nonna, e in un angolo la tipica credenza con la preziosa cristalleria, quella che i nipoti non hanno mai potuto sfiorare per paura che si potesse rompere. Nella vetrinetta c’è un vinile, e una bambina che si arrampica goffa su una sedia traballante per aprire l’anta e estrarre l’oggetto del desiderio. Invece di rimproverarla, la nonna poggia la puntina del giradischi e lascia che la musica faccia da sottofondo alle chiacchiere, le confessioni e i consigli tra lei e la nipote. In breve, questo è “Lilly” di Danny Kuttner.

Nata ad Amsterdam, Danny Kuttner viaggia in giro per il mondo fino ai vent’anni, costruendo tra influenze musicali di ogni tipo un mondo sonoro unico, basato sulla riconnessione con la natura e la guarigione, attraverso pop, indie folk e jazz alternativo. L’EP “Purple”, del 2023, è uno stratificarsi di suoni eterei, synth e soul anticonvenzionale, eretto su un turbinio di melodie ultraterrene. Due anni dopo ecco l’album di debutto “Lilly”, pubblicato su Mudita Records e distribuito da Kartel Music Group, che racconta sin dal titolo (il nome della nonna) un legame non solo come tema, ma come strumento per la cantante per guardarsi dentro e indagare cosa rimane di quel rapporto. Non si può spiegare a parole e forse nemmeno in musica il dolore per la perdita di un parente, in special modo se qualcuno che ci ha insegnato a vedere il mondo in modo diverso, a trovare un po’ l’amore ovunque. Danny lo sa bene, ma ci prova grazie a un travolgente mix di elettronica, soul anni ‘90 e ECM jazz, prodotto da lei e dal produttore Gal Oved. Le ispirazioni sono Cleo Sol, Hiatus Kaiyote, Saya Gray, ma anche il sound psichedelico di Norah Jones e il folk alternativo di Kadhja Bonet. È musica che si trasforma in medicina, in bende che ricompongono un cuore spezzato, in una cicatrice sulla pelle a ricordarci chi abbiamo amato, anche se a volte fa ancora male.

Sedute nel salotto della nonna, Lilly e Danny si confidano come due amiche. “Seeds” denuncia l’odio tra le persone, “the seeds of hate are growing trees”, accompagnata da una chitarra acustica sognante e voci distorte. “Friendzone” è il primo allegro singolo dell’album, un piccolo segreto sui primi amori raccontato a Lilly, mentre “Growing Apart” ricorda una versione sedata di una hit di Carly Rae Jepsen. L’influenza jazz dell’album si fa sentire in “Big Mouth”, tra percussioni stroboscopiche e chitarre da sirtaki, in un gioiellino quasi gotico ma lontano dalle atmosfere tetre del genere.

In “Plans”, la piccola Danny fa una domanda fondamentale alla nonna: “do you have any plans for years ahead?”, sai già cosa farai? Domanda inconsciamente pericolosa da fare a una persona anziana, la nonna risponde insegnando che la vita è da vivere giorno per giorno, senza avere paura di crescere troppo in fretta. “Got You Here” è di una bellezza disarmante, un indie folk reso mainstream da Phoebe Bridgers e riproposto in una chiave talmente intima da sentirsi di troppo tra la voce angelica dell’artista e la chitarra. Sono ginocchia tremolanti quelle di “Knees”, pronte a scappare di fronte all’ennesima difficoltà, mentre sono rosse le guance di “Red”, in preda a una vergogna ingiustificata verso quello per cui si lotta. I riverberi della voce e le percussioni giocano a rincorrersi su un filo sottilissimo che collega pop, indie e elettronica, con la solita fidata chitarra classica a fare da condottiera.

Inutile girarci intorno, “Lilly”, la title track, una lacrima la fa scendere. Una dedica alla nonna scomparsa, a tutti i momenti passati insieme, all’amore che la morte non può portare via, nonché la migliore canzone dell’album. Quel “where did you go?” vellutato si carica di una potenza incorporea, come se Danny stesse facendo di tutto per raggiungere la nonna senza riuscirci. E allora non può far altro che ricordare, ricordare e ancora ricordare. Perché è così che chi non c’è più può vivere ancora, attraverso la memoria di una vita insieme, di tante chiacchiere che dal vivo diventano impossibili ma nei sogni sono il contrario. Il dolore di “Videogame” è difficile da mandare giù, eppure tra gli archi e la batteria a scandire il ritmo, il brano ha una vena di speranza che lascia trasparire una rinascita più vicina di quanto si immagini.

Il disco sembra un circolo vizioso: finisce con la metafora di un videogioco al quale non si vuole prendere parte in “Videogame”, e inizia cantando “I hope it’s not reality” in “Seeds”. Nel mezzo ci sono i cimeli della nonna tradotti in note, i suoi averi e suggerimenti più cari trasformati in spartiti su cui si destreggia la voce paradisiaca della nipote. “Lilly” è un progetto struggente, triste ma anche colmo di positività nel vedere nella morte un momento per fermarsi e mettere in ordine tutto quello che una persona ci ha dato. Alla fine Danny ripone da sola il disco nella vetrinetta, senza più nessuna sedia a farle da scala. Ormai è adulta, e ha il permesso di aprire i ricordi quando vuole, scrivendo musica che fa bene all’anima, con il potere più unico che raro di guarire.

 

Danny Kuttner – Lilly

Danny Kuttner – Lilly tracklist

  1. Seeds 02:55
  2. Friendzone 02:48
  3. Growing Apart 02:08
  4. Big Mouth 03:38
  5. Lilly 02:57
  6. Plans 02:42
  7. Got You Here 02:37
  8. Your Secrets 03:07
  9. Knees 02:59
  10. Red 03:41
  11. Videogame 03:27

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