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Recensione : Aa Vv – Sinestesia – 2022, Zen Hex

Fascinazioni Ambient Noise iniziano un viaggio che dalla gabbia corporea si proietta in un altrove non ben definito e che speriamo di non essere mai in grado di definire (definire è così mediocremente umano…).

Aa Vv – Sinestesia – 2022, Zen Hex

Fascinazioni Ambient Noise iniziano un viaggio che dalla gabbia corporea si proietta in un altrove non ben definito e che speriamo di non essere mai in grado di definire (definire è così mediocremente umano…).

Il volume della musica, più che alzarsi, si ingrossa: è la paura di fronte all’ignoto, tutto quello che, appunto, non riusciamo a vivere.

L’atmosfera, il Mood di insieme, rimane tuttavia immutato: tetro, uno scenario da fabbrica dismessa;

ma è davvero una ex fabbrica quella che abbiamo di fronte, o è forse il definirla come una ex fabbrica un modo mediocremente umano per rassicurarsi di fronte a ciò che non si conosce?

Con questo interrogativo ci lascia RM, designato da Zen Hex per spalancare i portali di questa sinestesia:

esperienza musicale ed extrasensoriale.

Dimenticate l’apparato uditivo, qui non vi servirà a niente, quello che qui si cerca è il vostro sentire extra corporeo.

Ed è così, fuori dal corpo e senza protezioni, che RM ci consegna a Vera Spektor ed alle sue dissertazioni elettronico – tribali:

una vena più intimista ma non meno cupa e post-industriale rispetto al brano precedente, un esperimento ben riuscito nel tentativo di mescolare una crooner dannata ad atmosfere gelide e dove piccoli campionamenti sostituiscono il commento di un pianoforte.

Vera Spector quindi si dissolve, piano piano e dolcemente, e lascia spazio a Claudio Rocchetti, che  stende un suono a banda fissa screziato di piccoli ma decisi feedback:

una distesa di Scarafaggi Morti, come titolo suggerisce. Anche qui il suono subisce un’espansione di volume pur rimanendo paranoico e monocorde.

L’aumento di volume favorisce un’ipnosi che devasta l’udito ma proietta immagini nella mente: ciò che l’orecchio non sa distinguere qui diventa materia per la vista:

uno scenario tipo finale “L’aldilà-e tu vivrai nel terrore” di Lucio Fulci. Rassegnazione, feretri, penombra, un’inquietante quiete.

Everest Magma riprende da dove Vera Spector ha lasciato, con piccoli tribalismi simulati e una continua alternanza di rumori bianchi dosati con sapienza ed ampia capacità di arrangiamento…rumori bianchi ma ispirazione nera:

la traccia nel suo insieme fa pensare ad un King Tubby ridotto all’osso, con questa ritmica a bassa frequenza e ostinata.

Con Passed si rimane su di un’impronta ritmica, piccole percussioni campionate, processate con un delay, mandate all’infinito verso uno spazio ignoto fatto di synth Ambient che, in un’evoluzione armonica invidiabile, risveglia le migliori prove dei Tangerine Dream e dei Popol Vuh.

Con Rotadefero e il suo Bagnoturco, forse, si tocca il picco della raccolta: Gassman, trattato con un riverbero, recita con l’enfasi e il trasporto del grande attore che era il Dei Sepolcri di Ugo Foscolo; forse basterebbe solo questo per poter generare una volontà di esperienza extrasensoriale:

la voce dell’attore genovese resa spettrale e un testo, ancora più spettrale, di Foscolo;ma a Rotadefero questo non basta:

colgo quasi una volontà di rilettura dei canoni della musica solitamente nota come “Classica” prendendo nuove coordinate da sonorità aliene, strumenti elettronici rotti, vaghi stralci di transistor confusi per un overture da brivido.

Tutto poi si sparpaglia in forma definitiva intorno ad una composizione di pianoforte:

tragedia, sconforto, perdizione.

Sul finale tutto rinizia da capo, con un’eccezionale aggiunta di percussioni a singhiozzo. Un pezzo semplice, un pezzo complesso nella sua fragilità d’insieme, un pezzo geniale…

Black Lagoon riaffoga il percorso della raccolta in un’oasi etnica, ritmi tribali e suoni che simulano xilofoni, in questa sua Oscura Kalimba, brano che, nonostante la sua natura cupa e l’andamento ossessivo, culla dolcemente l’ascoltatore:

ma è davvero dolce il nostro esser cullati da queste trame sonore? O ci stiamo dunque assuefacendo a queste atmosfere grigie e malsane, il cui unico appiglio sono i tribalismi delle percussioni che ci riportano alle nostre origini africane?

Non lo so ma, fatto sta, che l’inquietante ninna nanna di Cassandra, una voce sussurrata su di un accompagnamento fatto di piccole esplosioni, oramai mi appare come una vera e propria ninna nanna nonostante il clima generale che odora di profondo scoramento;

la voce diventa quella di una strega e poi si distorce, urla, declamando frasi impronunciabili e maledette.

Un brano bellissimo, minimale ed efficace e che, a dirla tutta, fa pure male se si sa chi è la donna che si cela dietro Cassandra:

Claudia, vera e propria attivista culturale del sottosuolo capitolino, scomparsa purtroppo l’anno scorso…

Lēvo, subito di seguito, irrompe con un pezzo che, certo, rimane coerente con quanto ascoltato sino ad ora, con l’uso di percussioni ossessive e primitive, ma aggiunge una maggiore verve con una chitarra elettrica campionata e dei synth maestosi;

Waterfall è una brano breve ma che lascia tracce indelebili nel suo percorso.

Non so se vi è mai capitata la fortuna di incrociare Mai Mai Mai da Roma ad un qualche festivalino underground e di subirne il fascino dal vivo:
con un theremin, un campionatore, un loop e qualche effetto, riesce ad intrappolare l’attenzione e l’immaginazione degli astanti per minuti e minuti e minuti, fino alla fine dei tempi, sviluppando come una sorta di dipendenza al suono.

Una bravura che non si limita alla sola esperienza dal vivo ma che il capitolino riesce a riproporre anche in studio: gli accenni elettronici e le sonorità sfuggenti di questa “d’oro e d’argento” riescono a capitalizzare ogni centro ricettivo dei cinque sensi e a condurli verso un altrove, entro il quale è dolce il permanere.

Ktonia, quindi prorompe, portandoci a spintoni verso il finale: echi di colonne sonore di film d’azione anni ’80, un synth presente e carico di basse, una voce sussurrata che smorza l’impatto frontale dell’insieme.

Ktonia ci accompagna a spintoni e ci consegna al Noise marcissimo di Mmrk che, col suo Aperitivo sui Navigli con Marco Corbelli, ci riporta nel reale, un reale fatto di fastidio, ripetizioni di rituali inutili scambiati per puro svago (l’aperitivo…), ma ci mostra anche che, da questo viaggio extrasensoriale oramai al termine, abbiamo anche cambiato il nostro modo di percepire ciò che ci circonda:

il quotidiano ora ci appare per quello che è, la sua routine deleteria ed insulsa, la sua disciplina fondata su di un nulla fatto di cadenti istituzioni e marciscenti norme e consuetudini: una costruzione fittizia che adesso si sgretola di fronte ai nostri occhi…

Questa compilation, quindi, non è la solita compilation:

è un viaggio propedeutico, di maturazione interiore;
ennesima riprova, provvista di dodici dimostrazioni su base analitica, di quanto le nostre vite siano state incanalate sui binari sbagliati da un’assurda e monomaniacale ricerca dell’ordine e della sicurezza;

la risposta è al di là delle nostre capacità percettive di base (olfatto, vista, gusto, udito, tatto…);

la risposta è nella nostra capacità di immaginare, proiettarci verso l’infinito, figurare scenari futuri percorribili oltre la mediocrità del nostro presente… tutto quello che fa di noi degli esseri umani e non delle macchine da produzione e consumo in serie…


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