Traffic Lights Orchestra – Verdeyellowrouge

Traffic Lights Orchestra - Verdeyellowrouge: Giovincelle e giovanotti ecco a voi il gracchiante e ribollente esordio dei Traffic Lights Orchestra: “VerdeYellowRouge”...

Traffic Lights Orchestra – Verdeyellowrouge

Giovincelle e giovanotti ecco a voi il gracchiante e ribollente esordio dei Traffic Lights Orchestra: “VerdeYellowRouge”, quando il fracasso strizza l’occhio al cantautorato; in questa promettente opera prima “c’è dentro tutta la provincia Granda”, undici tracce al sapor di sottobosco, ma con gli occhi ben puntati verso l’altrove (con i suoi splendori e con i suoi orrori) … come dicevano quelli? “Think locally, fuck globally”, mmh… mi sembra calzi a pennello!

“The medium is the message”, poffarbacco, zio McLuhan colpisce nel segno! Difatti se andiamo un po’ a sbirciare cosa hanno strimpellato questi (bravi) ragazzi insieme agli strumentelli “soliti” leggiamo: cerchioni d’auto, padelle, flicorno, cisterne, rubinetti, congas, vibrafono… una ridda infernale, un chiarivari incazzatissimo, un baccano ben mattacchione, insomma un disco che fa bene!

Apre sto “popò” d’album “Two times”, ottima proposta d’intenti: da subito siamo messi in guardia, sembra dirci “ guarda che siam belli matti, facciam sul serio…”, e intanto si mescola blues, preghiera rock, coretti niente male e botte su percussioni più o meno convenzionali. “Come se la pioggia portasse ispirazione”: chitarrona incisiva su tamburi eloquenti per una fanfara malinconica e martellante, “Devil” suggestioni da “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” di Saramago; che si nasconda l’aspro grugno di Tom Waits dietro a questo diavolaccio chiassoso?
“Le tue scarpe”: cronaca di guerra tra Storia e Balcani, ninnenanne horror, suite chitarrose e monologo finale un poco strappalacrime, “Argalà” si apre con un bel pianoforte saltellante, un pezzo disteso, sereno a modo loro, cantato in occitano, “… e tu ricerchi là le tue radici, se vuoi capire l’anima che hai…” cantava il Guccio, i TLO lo seguono a ruota.
“Cigarette” è una cavalcata noir, il piano regala piccole gioie guizzanti tra le grandi ondate di buon rumoraccio, “Gazza ladra” è un po’ troppo filastroccosa, cerca un po’ la strada di Capossela ma si perde, “Last season”, invece, imbrocca il bivio giustissimo e trova la formula perfetta, noise pop da lacrime e apre a una tripletta fulminante: “Italy dogs” sentita ballata di denuncia a memento degli orrori di Rosarno, in un franco-inglese che funziona alla grande, “First coffee” si avvicina all’indie pop da occhiolini, carico, propositivo, fresco e giovincello; dai, la speranza è qui con noi!
Chiude con stile “Le dictateur”, una trilogia efficace in onore al popolo cileno libero finalmente dai fantasmi del Golpe e dell’autoritarismo nazionalista di Pinochet, annientato e sepolto dai rimorsi, ed anche qui il piano è orgasmico (Oh yeah!).

Urka urka! Quanta bontà! Ok, non è ancora il disco della maturità, qualcosina è un attimo da registrare e calibrare meglio, per esempio tirar fuori un tantino di “pacca” in più sarebbe una gran mossa, giacché il groove un pochetto ne soffre (teniamo presente che non c’è né basso, né grancassa) e anche la scrittura a volte suona un po’ faticosa, di maniera, alla Mannarino, però le idee ci sono (eccome se ci sono!!), la follia c’è e a tratti si fa contagiosa, la poesia un po’ qua, un po’ la butta i germogli, le radici sono robuste e forti, la verve è travolgente; Dio bono, ragazzi fate in fretta a sparar fuori il prossimo!

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