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Recensione : Thee Jones Bones

Dotati di un impianto ritmico espressamente rockblues, i 3 di Darfo Boario Terme (BS) mettono a punto un motore musicale di stampo Southern che suona una meraviglia, come quelle macchine da rally che fanno mangiare la polvere su strada agli avversari, tanto è stato preciso e onesto il lavoro infuso che aspetta solo di vincere e ritirare il trofeo, in questo caso di rocksmen dalla verace costituzione soul.

Thee Jones Bones

Rock’n’Roll: c’è chi lo dava per spacciato, per disperso, sbrindellato dal passare del tempo e dai soliti formalismi che ripresenta da decadi, comprensivi di tutte le contaminazioni di cui si è fatto carico lungo la sua esistenza, ed intanto la musica va avanti; il panorama giovanile degli appassionati strombazza però che il rock è “out”, mentre ad essere “in”, per la stessa categoria, sono altri generi, altri idoli che rispecchiano il loro sentire… Tiziano Ferro, Samuel, la Pausini, D’Alessio, il rap nostrano, i grandi autori usciti dai vari concorsi televisivi tipo x files (?)… e molti altri, tra cui qualche ‘pacco’ sanremese.
La moda è un segnale positivo quando nasce dal basso, ma quando è dall’alto che si vuol lanciare il segnale si cade inevitabilmente nella trappola della plastica cancerogena che deturpa il povero fruitore a cui bisogna sempre dire che
cosa cazzo fare, perché lui addosso avverte solo la pigra noia di un mondo kafkiano, spazio, poco, da riempire secondo l’altrui volontà, disagio per ciò che a malincuore accetterà, immedesimandosi nel marketing globale, sorvolando sulla propria vera identità grazie ai falsi fragili entusiasmi della dolce età, e che lo trasformerà in un original cool trendy dude, cioè, basilarmente giovane en vogue.
E’ il vecchio discorso del bastone e della carota, tanto peggio però, perché i teenager andrebbero protetti dagli odierni e subdoli mass-media
il cui unico scopo è di plagiare menti e muscoli della gioventù per spacciar loro nefandezze piatte e lobotomizzanti, già, come se gli ascoltatori fossero galline che beccano mangime a comando, stazionando negli accecanti di luce pollai chirurgici delle grandi industrie aviarie.
Fortunatamente non sono tutti dei polli ed una nutrita minoranza senza panza
evitando il rimando alla dicotomia espressa dai Negazione del loro outstanding “Maggioranza/Minoranza” recrimina la propria autonomia decisionale liberandosi di ogni cliché autoritario per gettarsi a capofitto nella ricerca di musiche non commerciali, non mainstream, dandosi alla gioiosa scoperta del bel mondo della libertà musicale. E va beh, per carità, la musica ha un origine virale per gli appassionati e al cuor non si comanda. La musica è una specie di morbo che inoculato sul popò, come la freccia scoccata dal Dio Cupido, crea amore folle per un genere, la virale iniezione inoculare è ‘a prima vista’ e può durare tutta la vita, giacché essa stessa è vita, giurando fedeltà ad un unico genere, ‘casa è sempre casa’… e se ti becca sei fritto, come il pollo del Kentucky.
E’ evidente che questi ragazzacci, THEE JONES BONES, sono stati punti dal cupido rocker e non possono fare a meno di sviscerare il loro appassionato amore per il proprio tesoro, di cui qui raccogliamo le prove che lo testimoniano: THIS IS LOVE, diremmo
(che è l’azzeccatissimo titolo del disco)!
Quindi, se ancora oggi esce un disco come questo non dobbiamo dispiacerci e girare la faccia in modo sprezzante dall’altro lato, piuttosto dobbiamo gioire per i clamori irreprensibili che il messaggio, posto nella bottiglia di Southern Comfort piena, contiene e ubriacarci di vitalità e spirito altamente FREE! Perché rock è sinonimo di libertà e libertà è una parola da vivere,
pur rimanedo la stessa parola pronunciata da millenni.
Libertà da cosa? Lo scopriremo uiskettando con i nostri prodi
from Brescia, che da circa tre lustri sono in corsa con questo sanguigno progetto.

“A season… “ registra un’apertura che sfioretta fischi e slide, metallicamente spaziale, cullando la venuta di un astro nascente in Terra; dona un tocco sfrenato la chitarra unita al basso, scappa al controllo della band – dove andranno a parare questi skeletons? – . Non mollando i fili del sound corposo, anzi, alimentandolo a suon di riffs, il singer spara, con piena raucedine dirty, la carta di credito della band presso gli abitanti del villaggio globale, direttamente nella loro bocca attonita da cotanta selvaggia grezzezza galvanizzante. Il cantato recita “Welcome to the show to everybody!” e il credito è acceso istantaneamente verso questi personaggi ossuti provenienti da un altro mondo.

“Like a sunshine in the morning” recupera la chiassosità rock del sud USA, southern rock di roboante presa cementizia con tanto di high spirits gospel in ispirato coro; il cantante scalcia e trova il feeling genuino, sicuro che la corazzata espressa dalla sezione ritmica fiammeggi a ruota libera, ruote di Mustang debordante, trottando imbizzarriti in groppa ad un cavallo di razza ribelle; è la giostra aspra della quotidianità per chi monta simili ruvidezze: una sorsata di ‘tequila, sale e limone’ sa di buon auspicio prima di affrontare la luce del mattino… bbbrrrr! Via, a briglie sciolte.

“Will not change” arpeggia agreste, il tono sommesso riflessivo tinge un malinconico pomeriggio all’ombra di un covone di fieno nella fattoria del fantasma di Jones, giusto una siesta!

Al risveglio ci attende in gran rispolvero “Mother’s heart”, il tempo di sgranchirsi, di misurare le ritrovate forze e ricominciare a piegare al proprio volere la forza di esserci in quegli stivali ricoperti da pelle di alligatore-cop, squartato per abuso di potere.
Fa spicco l’incrocio realizzato: Joe Cocker che si porta dietro qualche fiato dai Mad Dog & Englishmen conducendo gli Aerosmith a superare se stessi sino a sposare un hit che è il sogno dello spirito brado, assaporare il soul della Madre Terra!

Sul calar della sera appare una “Little moon” nel cielo, pregio della chitarra e delle percussioni satellitarie, si adagia sulla luce anodina del crepuscolo imminente; i Floyd di Grantchester Meadows suggeriscono un’amabile delizia country.

Che Johnny Cool abbia ispirato l’indomita track in questione è un bel mistero che solo THEE JONES BONES possono chiarire! Hanno comunque scoperchiato i tappi dell’adrenalina e vorticosamente si fanno esplodere nell’aria calda della notte con stupendi assoli e una ritmica cazzuta, trascinandoci nel cuore d’essa, giovane e spumeggiante. Stride ed urla la splendida guitar sormontata dalla sbattente batteria, poi stop & go ed un avviso fino alla scivolata finale: hey, Johnny Cool, stai vigile che ti fanno la pelle!

“La La La”. Qui sembra di rockeggiare in stile soul con Cocker & Rondstadt… Un segno indelebile si tatua sul nostro cuore di irriducibili passionali, ciò accade quando la musica lascia affiorare il brivido d’oca e la pelle si drizza flirtando coi piaceri dell’amore. Fiati, rock, soul, vocals liquorose, l’eredità di un’epoca viene rivitalizzata come se il tempo non fosse mai passato e Lynyrd Skynyrd, Delaney & Bonnie, l’Allman Brothers, i Wet Willies, Otis Redding, Black Crowes and Co. tributassero insieme onori alla torcia olimpica del rock!

Drop a line on the clouds and “Take it Easy”, Bro’!

Vi aspettiamo in tutte le città italiane per sciogliere i nostri cuori impaludati, non ci dimenticate, veraci THEE JONES BONES!!!

TRACKLIST
1. A Season In Your Soul In The Shadows Of The Sun
2. Welcome To The Show
3. Like A Sunshine In The Morning
4. Will Never Change
5. Mother’s Heart
6. Little Moon
7. Hey Man (a song for Johnny Cool)
8. La La La
9. Every Cloud Is A Silver Lining
10. Take It Easy

LINE-UP
Luca Ducoli – Chitarra, voce
Paolo Gheza – Basso, cori
Sergio Alberti – Batteria
plus many others friends….

VOTO
7,80

URL Facebook
https://www.facebook.com/theejonesbones/

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp
http://www.tjbrocks.com/

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