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Recensione : The Queen Is Dead Volume 166 – The Black Veils, Shame, Odessa

The Black Veils, Shame, Odessa

Oggi la Regina offre darkwave, uno dei migliori gruppi inglesi degli ultimi tempi, e per finire qualcosa di totalmente differente dal sottobosco italiano.

THE BLACK VEILS 

“Have you seen Bunny Lake ?”, è il singolo dei The Black Veils in previsione del nuovo disco “Gaslight!”che uscirà questo autunno per la francese Icy Cold Records. Il suono del gruppo francese è una darkwave molto melodica e fortemente influenzata dalla versione più melodica della new wave e del post-punk. Ciò che distingue il gruppo dagli altri è un cantato in inglese molto melodico e che si integra perfettamente con il suono del gruppo. Il gruppo prende spesso ispirazione dal cinema del passato e lo fa anche questa volta,la canzone si riferisce chiaramente al capolavoro di Otto Preminger del 1965 “Bunny Lake Is Missing”, che a sua volta era basato sul romanzo di Merriam Model. Un’altra storia di gaslighting in cui Ann, una madre single, riferisce che la sua giovane figlia Bunny è scomparsa. Ma non sembra esserci alcuna prova che Bunny sia mai esistita e la gente inizia a mettere in dubbio senza pietà la sua sanità mentale. Una storia che veste perfettamente il post-punk darkwave del gruppo. Un’ottima anticipazione in attesa del nuovo disco.

SHAME

“Cutthroat” su Dead Oceans è il nuovo lavoro degli inglesi Shame, una delle realtà musicali inglesi più interessanti degli ultimi anni. Il gruppo formato da cinque amici di lingua data ha sempre prodotto musica molto interessante nell’alveo del post-punk e di un certo tipo di noise caustico tipicamente britannico, e ha fatto della sincerità e della brutalità il suo marchio di fabbrica. Nelle intenzioni del gruppo questo disco uvole essere un disco fastidioso e senza possibilità di redenzione e di glorificazione, e rende perfettamente l’idea di cosa siano gli Shame e quale sia la loro visione della società attuale, e non è un bel vedere ma è un gran sentire. Gli Shame hanno un inconfondibile marchio sonoro e uno stile proprio e subito riconoscibile, spaziano dal post-punk al rock, dallo shoegaze al noise il tutto rimanendo sempre fortemente Shame. Ci sono canzoni per tutti i gusti in questo disco, che è sicuramente il disco più diretto e cattivo della loro produzione, quello dove non c’è bisogno di mostrare nulla, c’è solo da raccontare. E i racconti li fanno benissimo, basti ascoltare una traccia come “Quiet life” per capire lo stato di forma dei cinque inglesi. Questo disco è in una certa misura una sorta di resa dei conti con tutti gli stronzi e i codardi che incontriamo nelle nostre vite e se ne parla in “Cowards around” o la vita al di sopra delle possibilità come in “Nothing better”. Gli Shame ci mettono davanti al fatto che ci sembra di nuotare in acque cristalline e pulite, mentre in realtà sguazziamo nella merda peggio dei maiali. Il suono è sempre abrasivo, imemdiato e senza resa, con ottime soluzioni melodiche, tutto è curato molto bene dalla produzione di  John Congleton, ed è un disco che entusiasma dall’inizio alla fine. Gli Shame sono un gruppo che rientra alla perfezione in quella corrente inglese di gruppi come Sleaford Mods e Bob Vylan, inglesi che raccontano l’Inghilterra ed oltre in maniera realistica, cruda e veritiera. Rispetto ai gruppi precedentemente citati gli Shame possiedono un’espressione musicale più complessa e maggiormente post-punk, riprendono elementi musicali britannici per reinterpretarli alla loro maniera riuscendovi perfettamente, producendo un disco organico e strutturato molto bene, un decadente piacere da ascoltare e da ragionare. Gli Shame con questo lavoro si confermano in pieno e portano il loro percorso musicale ad un livello più alto e soprattutto fanno un disco che ci sbatte la faccia la realtà e lo fa in quella maniera disincantata e musicalmente molto incisiva che solo gli inglesi sanno fare, e gli Shame in particolare. Uno dei migliori gruppi inglesi degli ultimi anni.

ODESSA 

Nuovo lavoro intitolato “Nessun atto da celebrare” uscito per Shove e Vina Records per il gruppo Odessa, un’entità musicale fra le più interessanti degli ultimi anni in Italia. La loro storia comincia dall’incontro di musicisti provenienti da varie realtà musicali come Concrete, La Crisi, Infarto, Marnero, Angelica Mariner, Council of rats, Gezora e già vi viene in mente cosa possa essere Odessa. E invece no. Gli Odessa fanno, e lo fanno molto bene, un emo hardcore e post hardcore che viene direttamente dagli anni novanta e duemila con un cantato italiano clamoroso. Gli Odessa fanno rumore con parole ricercate e potentissime, la loro musica ci riporta ai tempo della Discord Records, Ebullition e Gravity, con l’aggiunta di una maggiore consapevolezza musicale e non, sapendo bene che viviamo tempi difficili e ci servono bussole per orientarci e questo disco è una di queste. Le soluzioni musicali degli Odessa sono molteplici, si passa da momenti concitati e sporchi a passi molto più puliti e cinici, momenti di assoluta perfezione e crudezza come “La mano sinistra di Fleming”, che spiega meglio di qualsiasi parola cosa siano gli Odessa, uno scontro dolce contro la durezza dell’asfalto, quel momento di assoluta consapevolezza che hai quando hai preso il colpo ma il dolore fisico non è ancora arrivato al cervello e capisci tante cose in un istante. Gli Odessa cantano di noi e degli spettri che ci accompagnano ogni giorno al lavoro, del sangue che ci macchia le scarpe e nemmeno ce ne accorgiamo, della nostra poca conoscenza di tutto e anche del coraggio di vivere sapendo molto poco. Queste cinque tracce sono fatte per cantare, gridare, sanguinare, correre e rotolarsi, come anche per ascoltarle in silenzio guardando il nulla, o ancora meglio chiudendo gli occhi e lasciandoci trasportare dalle emozioni e dalla forza di questo disco, che ha una fisicità imponente, come una spiritualità importante, e in cinque canzoni ci fanno vivere una miriade di emozioni e di stati d’animo. Gli Odessa sono come dei chirurghi della nostra anima, tagliano e cuciono per salvare, portano a galla il dolore ma non lo fanno a caso, ma solo per renderci più vivi. Un disco che si incasella nella tradizione italiana di fare dischi clamorosi con gruppi che hanno una ricchezza musicale incredibile, una botta di comprensione. Molto bella la copertina e la grafica che potrebbero riportare ad un gruppo prog, ma poi tutt’altro. Si può dire commovente e fortissimo ? 

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