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Recensione : Tempo di vivere, tempo di morire di Erich Maria Remarque

Il soldato Graeber, protagonista di questo romanzo, per certi aspetti ricorda i protagonisti di Niente di nuovo sul fronte occidentale con i quali ha in comune la coscienza dell’orrore della guerra; vive la sua disperata avventura nella tragica desolazione delle pianure russe dov’è stato gettato a combattere, e tra le macerie della Germania nazista.

Tempo di vivere, tempo di morire di Erich Maria Remarque, edito da Mondadori

Tempo di vivere, tempo di morire di Erich Maria Remarque

Il soldato Graeber, protagonista di questo romanzo, per certi aspetti ricorda i protagonisti di Niente di nuovo sul fronte occidentale con i quali ha in comune la coscienza dell’orrore della guerra; vive la sua disperata avventura nella tragica desolazione delle pianure russe dov’è stato gettato a combattere, e tra le macerie della Germania nazista.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • Da principio, quando era costretto a partecipare a un’esecuzione aveva sparato in aria, ma ora non lo faceva più. Non era un vantaggio per quelli che dovevano essere fucilati. Anche altri avevano pensato come lui ed era capitato che quasi tutti sparassero apposta fuori bersaglio, sicché si era dovuto ripetere la fucilazione e i prigionieri erano stati, per così dire, suppliziati due volte. Una volta una donna non colpita si era buttata in ginocchio e con le lacrime agli occhi aveva ringraziato per i due minuti di vita che in quel modo le erano rimasti. A quella donna però egli non ripensava volentieri. Ma erano cose che non avvenivano più.
  • (…) la diffidenza era il sentimento più diffuso nel Terzo Reich.
  • Uno dei soldati non era stato identificato: aveva la faccia smangiata ed era senza piastrino. Anche il ventre era squarciato e vi mancava il fegato. Volpi probabilmente, o topi.
  • Chi sa se in quella terra gelata i vermi erano sopravvissuti? Forse sì se si erano cacciati abbastanza in fondo. Ma potevano vivere a più metri di profondità? E che alimenti ci trovavano? (…) Avevano trovato parecchio in quegli ultimi anni. Dovunque siamo stati hanno avuto da mangiare a dovizia. Per i vermi d’Europa, dell’Asia e dell’Africa abbiamo rappresentato l’età dell’oro. Abbiamo offerto loro eserciti di cadaveri, e non solo carne di militari, ma anche carne di donne, di bambini e quella dei vecchi frollita dalle bombe. Più che sufficiente. Nelle leggende dei vermi saremo per più generazioni gli dèi benefici dell’abbondanza.
  • Non puoi figurarti fin dove si possa tirar fuori un occhio prima che si strappi.
  • I pidocchi degli abiti non invadono la testa, è una legge ben nota. I pidocchi rispettano il territorio altrui, non si fanno la guerra.
  • (…) forse ci sarebbero meno guerre se ognuno non volesse sempre persuadere gli altri della propria verità.
  • Il culto dei dittatori diventa facilmente religione.
  • Fino a qual punto divento complice quando so che la guerra non solo è perduta ma che dobbiamo perderla perché cessino la schiavitù e la strage, i campi di concentramento, le SS e il Servizio di Sicurezza, le uccisioni in massa e la mancanza di umanità; quando so tutte queste cose e fra due settimane ritorno a combattere in favore di esse?
  • In guerra l’idea della felicità era sempre accoppiata al mangiare.
  • Gli amputati stavano al primo piano (del policlinico). Al pianterreno erano i casi gravi e gli operati di fresco costretti a letto: così era più facile trasportarli nei sotterranei in caso di incursioni aeree. Gli amputati non erano considerati impotenti e perciò stavano più in alto. In caso di allarme potevano aiutarsi a vicenda. Il mutilato delle gambe poteva, in caso di bisogno, aggrapparsi al collo di due mutilati delle braccia e raggiungere così il rifugio, mentre il personale portava in salvo i casi più gravi.
  • (…) quattro persone erano state giustiziate perché non avevano più creduto nella vittoria della Germania. Erano state decapitate con la scure. La ghigliottina era abolita da molto tempo. Era troppo umana.
  • Da una parte c’era un nido di bambini morti alla rinfusa, colpiti in un rifugio non abbastanza solido. Mani staccate, piedi, teste schiacciate, con un po’ di capelli, gambe contorte, una cartella di scuola, un panierino con un gatto morto, un fanciullo pallidissimo, bianco come un albino, senza ferite apparenti, quasi fosse svenuto e aspettasse di riprendere i sensi e davanti a lui un cadavere tutto nero e bruciato uniformemente, salvo un piede rosso e coperto di vesciche. Non si poteva distinguere se fosse uomo o donna perché il sesso e il petto erano bruciati. Un anello d’oro luccicava a un dito nero e rattrappito.
  • Nello sfondo del ricovero vide sporgere dal soffitto di pietra alcuni pesanti anelli di ferro e ricordò che quella cantina, prima di accogliere le botti, era stata una camera di tortura per le streghe e gli eretici. Questi erano sollevati per le braccia con un peso legato ai piedi e pizzicati con tenaglie roventi finché confessavano. Poi venivano giustiziati in nome di Dio e della carità cristiana. Non si può dire che la situazione sia cambiata molto, pensò. Gli aguzzini dei campi di concentramento hanno avuto predecessori eccellenti e il figlio del legnaiolo di Nazaret ha strani successori.
  • La Chiesa è l’unica dittatura che abbia vinto i secoli.
  • Una granata era scoppiata là vicino. Una delle reclute aveva il ventre squarciato nel quale cadeva la pioggia. Non c’era alcuna possibilità di fasciarlo e del resto sarebbe stato inutile. Più presto moriva, tanto meglio. L’altra recluta aveva una gamba rotta ed era caduta in una buca. Non si capiva come in quella fanghiglia avesse potuto rompersi una gamba. Nel carro armato distrutto dal fuoco si vedevano ancora gli scheletri anneriti dell’equipaggio. Uno degli uomini penzolava fuori col busto, aveva il viso mezzo bruciato, l’altra metà gonfia, paonazza e scoppiata. I denti erano bianchissimi come calce spenta.

 

Cos’altro dire?

Come gli altri libri di Remarque, anche questo contiene l’impeto di quell’amara protesta contro le discriminazioni, la violenza e la morte, che è il motivo fondamentale di tutta la sua opera.

 

Marco Sommariva

marco.sommariva1@tin.it

 

 

 

 

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