iye-logo-light-1-250x250
Webzine dal 1999
Cerca
Close this search box.

Recensione : SolNegre – The Spiral Labyrinth

L'album d'esordio dei SolNegre si snoda lungo otto tracce alquanto corpose che, complessivamente, portano a superare l'ora di durata senza che ciò comporti passaggi a vuoto o eccessive ridondanze, facendosi ricordare invece per intensità, fluidità e perizia compositiva e strumentale.

SolNegre – The Spiral Labyrinth

Benché si tratti di un full length d’esordio, anticipato da due singoli, questo “The Spiral Labyrinth” non è certamente frutto di una band di neofiti se è vero che i SolNegre sono nati su iniziativa Gebre e Rigel, musicisti piuttosto conosciuti per aver fatto parte degli Helevorn, band di cui il secondo è stato anche membro fondatore prima di uscirne per unirsi brevemente agli storici Golgotha, dove tuttora è impegnato il batterista Tomeu Crespí; a completare la line-up troviamo il vocalist Miguel Serra, dal curriculum meno importante ma ugualmente autore di una prova alquanto convincente sia con il growl che con le clean vocals.

Il death doom dei SolNegre appartiene a quella frangia melodica in cui la Spagna può annoverare diverse realtà di alto livello (oltre agli stessi Helevorn e Golgotha, non si possono dimenticare Autumnal, Shattered Sigh, Sun of the Dying, The Holeum e, soprattutto, Evadne) ma questo nuovo combo cerca parzialmente di differenziarsi dalle opere dei connazionali oscillando tra brani impreziositi da magnifici soli chitarristici e altri più ruvidi ma non meno intensi e malinconici. Come ben spiegato nella pagina Facebook della band, i SolNegre divengono per i musicisti il pretesto ideale per provare a venire a patti con i propri fantasmi psichici ed esistenziali, un qualcosa che si rinviene con una certa frequenza nell’operato di molti tra coloro che sono dediti al funeral death doom o al depressive black, senza trascurare il fatto che una sensibilità oltre la norma, quando viene riversata sul lato artistico, fornisce sovente risultati pregevoli, e questo è appunto il caso di “The Spiral Labyrinth”.

L’opera si snoda lungo otto tracce alquanto corpose che, complessivamente, portano a superare l’ora di durata senza che ciò comporti passaggi a vuoto o eccessive ridondanze, facendosi ricordare invece per intensità, fluidità e perizia compositiva e strumentale.

Anche se in sede in sede di presentazione vengono suggeriti riferimenti al gothic death doom old school di My Dying Bride e Anathema o alle più recenti atmosfere di Shape of Despair, Ahab o Doom:Vs., in concreto il sound dei SolNegre appare piuttosto personale, pur nei limiti consentiti dal contesto stilistico, sicché certi paragoni rischiano di creare aspettative poi disattese dai contenuti. A partire da “Vessel Part I: The Night Within”, traccia contraddistinta da uno struggente lavoro chitarristico, fino alla conclusiva “Ethereal / A Song for Nel”, malinconico commiato arricchito dalla bella voce di Gadea es Ineseta, una dei diversi ospiti che coadiuvano il quartetto, ci troviamo al cospetto di un’opera impeccabile quanto genuina, capace di trasmettere all’ascoltatore il vortice di sensazioni che i SolNegre hanno voluto veicolare attraverso la loro musica.

2023 – Meuse Music Records & Tragedy Productions

SolNegre – The Spiral Labyrinth | MMR038 by Meuse Music Records

SolNegre – The Spiral Labyrinth

Get The Latest Updates

Subscribe To Our Weekly Newsletter

No spam, notifications only about new products, updates.
No Comments

Post A Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE

My Dying Bride – A Mortal Binding

A Mortal Binding è un lavoro tutt’altro che scontato e superfluo e testimonia quanto una band come i My Dying Bride che, piaccia o meno, ha fatto la storia, abbia tutto il diritto di continuare a riproporre con grande dignità, competenza e coerenza quel sound peculiare che, parafrasando la copertina di un noto periodico italiano, “vanta innumerevoli tentativi di imitazione”.

Eventide – Waterline

Gli Eventide offrono una versione dell’ambient drone intrisa da corpose sfumature jazz e sempre in grado di attrarre l’attenzione rifuggendo ogni stucchevolezza.

Faal – Fin

Fin merita d’essere ascoltato e apprezzato quale prova delle capacità di una band la cui fine lascia più di un rimpianto, non solo per l’irreparabile perdita umana ma anche perché, per il potenziale espresso, avrebbe meritato maggiore attenzione rispetto a quella ottenuta lungo una quindicina d’anni di attività.

Hamferð – Men Guðs hond er sterk

Il sound della band di Tórshavn è talmente peculiare da sfuggire ad ogni tentativo di sommaria classificazione: il tutto avviene senza il ricorso a chissà quali soluzioni cervellotiche in quanto gli Hamferð mettono il loro smisurato talento al servizio di un lirismo che, oggi, è appannaggio solo di pochi eletti.