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Recensione : Profetus – As All Seasons Die

Un disco splendido che se, da una parte, può soffrire del confronto con un nome pesante come quello degli Skepticism, dall'altra si dimostra ben più di un semplice lenitivo per il lungo protrarsi del silenzio discografico di questi maestri della scena funeral.

Per una serie di circostanze ti ritrovi, a sera inoltrata, a rimirare un nero specchio d’acqua, avendo dinnanzi le luci di lontane cittadine turistiche, alle spalle I i rumori cacofonici dello pseudo-divertimento, e avvolto dall’umore di chi, a tratti, dubita di riuscire a sistemare un solo tassello della propria intricata esistenza, il tutto con in cuffia l’ultimo disco dei Profetus.

Chi non conosce o sottovaluta l’enorme potenza del doom, penserà istintivamente che questa combinazione di fattori sfavorevoli sarebbe potuta risultare decisiva per annullare quel metro e mezzo di distanza dall’acqua lasciando che l’oblio giungesse provvidenzialmente a risolvere ogni problema.
Al contrario, l’effetto catartico del funeral, quando viene espresso in maniera alta come nel caso dei Profetus, è in grado di fornire impulsi diametralmente opposti in chi tende a lasciarsi andare all’autocommiserazione, alla faccia di chi considera questo genere noioso o, ancor peggio, il parto di menti depresse per individui che si trovano in analoghe condizioni.
As All Seasons Die è il terzo album per i finlandesi, per i quali inevitabilmente il primo termine di paragone che viene in mente sono i connazionali Skepticism, non fosse altro che per l’uso frequente dell’organo, anche se il suono qui appare ancor più dilatato e minimale, con variazioni spesso impercettibili che portano ugualmente verso un lento ed avvolgente e crescendo emotivo; di fatto, lo stile dei nostri si colloca a metà strada tra la seminale band di Riihimäki ed i meno noti Tyranny (nei quali non a caso una delle menti musicali è il qui presente Matti Mäkelä), autori di un solo monumentale disco, “Tides Of Awakening”, e ciò si avverte proprio in questa esasperata dilatazione e nella ripetitività talvolta ossessiva dei temi.
Peraltro i Profetus escono abilmente da questi schemi compositivi regalandoci un brano, Dead Are Our Leaves of Autumn, nel quale la chitarra solista prende per una volta in mano le redini delle operazioni tessendo melodie evocative poggiate sulla consueta base ritmica bradicardica.
Probabile mattonata sui denti per chi non apprezza il genere (lecito, per carità, ma io per onestà intellettuale non scriverei mai una riga di commento a proposito un disco di street metal o aor, generi che non sono nelle mie corde, proprio perché nutro il massimo rispetto per chi li suona e per chi li ascolta), As All Seasons Die è in realtà un vero godimento per chi di queste sonorità si nutre e non ne ha mai abbastanza.
Un disco splendido, in definitiva, che se, da una parte, può soffrire del confronto con un nome pesante come quello degli Skepticism, dall’altra si dimostra ben più di un semplice lenitivo per il lungo protrarsi del silenzio discografico di questi maestri della scena funeral.

Tracklist:
1. The Rebirth of Sorrow
2. A Reverie (Midsummer’s Dying)
3. Dead Are Our Leaves of Autumn
4. The Dire Womb of Winter

Line-up:
V. Kujansuu – Drums
A. Mäkinen – Guitars, Vocals (lead)
M. Nieminen – Keyboards
D. Lowndes – Guitars
M. Mäkelä – Guitars, Vocals (backing)

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