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Recensione : New Kind Of Kicks – Il ritorno

New Kind Of Kicks - Il ritorno presenta : Tab_Ularasa, Totale!, ¡Pura Vida!, Mentalitè 81.

New Kind Of Kicks – Il ritorno

Son stato assente. Assente un po’ da tante cose e principalmente da questa rubrica. Per motivi seri, per motivi meno seri, per motivi e basta; alla fine comunque mi è mancata parecchia motivazione e, più che altro, mi è mancata per scrivere di musica (di ascoltarla quello no, ci mancherebbe altro); poi della gente, amici, conoscenti o semplici personalità affini, ha comunque inviato a me il suo materiale, si è fidata di me ed io non potevo in nessun modo tradire la loro fiducia. Non potevo smettere. I dischi, in aggiunta a tutto questo, erano pure belli e non scriverne sarebbe stato un errore, per, per loro e per voi.


A questo giro i dischi son pochini ma le recensioni son più lunghe; New Kind Of Kicks potrebbe diventare un appuntamento più frequente e per niente influenzato da scadenze, date, lo scorrere del tempo e l’ordine alfabetico. Sto già preparando il prossimo articolo (non vi ho esclusi, sto solo cercando di dare abbastanza ascolto per dare un senso compiuto a quello che scrivo) e non escludo che la prossima settimana io possa inviare un nuovo New Kind Of Kicks.

Per adesso, con l’intento di farmi perdonare, voglio partire da un disco bello, unico, eccezionale:


Tab_Ularasa “Guardare Sanremo “, 2023-Bubca Records

Un disco che è un viaggio, un viaggio intrapreso con un nervo ottico che è diverso. Tutto ciò che passa attraverso la retina del viaggiatore è opportunamente filtrato dal pensiero, dall’impressione, da una capacità straordinaria di intrappolare in un suono anche il vento invernale che incombe su una mattinata a Livorno.

E Livorno diventa la Venezia di “Venezia, un dicembre rosso shocking”, film del 1973 di Nicholas Roeg, un luogo sinistro, fatto di angoli e vicoli bui, dove l’inquietudine regna e soffoca il viaggiatore che però non si da per vinto e continua a buttar giù ironiche e satiriche disamine sociali con un piglio cinico e disincantato “Guardare Sanremo” “c’è un cane nuovo nel palazzo” “se metti like a me…” “Sono un robot” sono costatazioni dal basso di una vita reale, linguaggio semplice che, come la musica, risulta risicato fino all’osso per diventare accessibile a chiunque: può apparire naif solo a chi è naif, può risultare complesso solo a chi, come Tab_Ularasa, guarda al mondo con occhi sinceri, senza illusioni o sovrastrutture a coprire l’insensatezza di tutto ciò che è struttura, forma, gerarchia, vertice, disciplina.

È l’occhio del bambino, è l’occhio che non sa mentire e che continua guardare curioso nonostante gli si imponga il divieto a farlo. È l’occhio che, se non se ne dispone, sarebbe meglio recuperare, pena il ritrovarsi un giorno a ripetersi “è tutto andato storto e non come volevo, meglio non pensarci e guardare Sanremo”


C’è spazio anche per ottime suite strumentali, come la già annunciata “Livorno d’inverno”, il brillante Post Punk, squisitamente di nicchia e perciò da riscoprire nei suoi riferimenti e ispirazioni, di “Volterra è meglio dell’Inghilterra” e le variazioni di ocarina su di una chitarra ai limiti dell’ostinato di “Scale nel vuoto” : un continuo girovagare tra melodia e dissonanza, un pezzo che gira di pura ispirazione istantanea, l’intuizione, il delirio, il rigore, la forma che, nel suo insieme, stupisce e crea dipendenza.
Per uno che ha retto due lutti e ha pensato a se stesso per un terzo, nulla può fare meglio di un pezzo stupendo come “e poi tornerai cenere”, un pezzo genuino, nell’ispirazione come nel concetto, che da un resoconto definitivo sull’unica verità plausibile di questo mondo: la morte. Già che siamo qui, vediamo come andrà a finire anche se sappiamo già come andrà a finire: la vita è un girotondo, si finisce come si è partiti e, per certi versi, è giusto che sia così.
Giusto compendio, per quanto potrebbe vivere tranquillamente di vita propria, è il nuovo EP dei Totale!, progetto dove il nostro Tab_Ularasa è coinvolto in prima persona.


Totale! “Ciao amore”, 2023


Se già, poco meno di due anni fa, i Totale! ci avevano regalato un disco stupendo sulla stupenda, nonché svizzera, EEEE, oggi ci regalano ancora roba stupenda ma, per fortuna, parecchio diversa: Totale! è un progetto di insieme, dove l’istante conta più del progetto, dell’idea che una cosa si mette in piedi per arrivare sempre a qualcos’altro; fondandosi sul principio di “istante” i Totale! si muovono in base alle opportunità, alle possibilità, al caso e, per fortuna, non vanno da nessuna parte.

L’ affermazione “andare da nessuna parte” potrebbe apparire come foriera di mediocrità sonore e altri disastri assortiti, ebbene: se è vero che, nella vita, si cerca sempre di prendere una direzione ostinata e decisa illudendosi che, qualsiasi questa sia, il punto d’arrivo sarà sempre l’andarsene affanculo, allora pare più giusto seguire chi, come i Totale!, fa come gli pare e, nel suo percorso, fugge di continuo la linearità, ma evolve ed involve a seconda di come gli gira.

Se nel primo omonimo, ci deliziavano con squisiti rimandi ’60’s e atmosfere tra il romantico ed il fatalista, oggi, con questo EP, ci propongono la musica ideale per chi, non avendo una direzione, decide di mandare tutto a farsi fottere: Punk Rock, Garage Punk, un tocco di Noise che, oggi come oggi, mai guasta. Il formato è perfetto, la musica, volendo apparire imperfetta, è completamente spontanea, selvaggia e, ripartendo dalle composizioni soliste di Tab_Ularasa, si impossessa dello spirito “vino al vino” del cantautore
-mi fa un po’ specie chiamarlo cantautore, un po’ troppo riduttivo, facciamo che ci rinuncio e lo nomino cantaviaggiatore, no così pare un hippie, facciamo cantadisagio, no così pare un po’ troppo macchietta…facciamo che lo chiamo Tab_Ularasa che è come ha scelto di chiamarsi lui stesso: una tavola intonsa dove lui solo o lui insieme ad altri, architettano costruzioni e geroglifici a seconda delle disposizioni disordinate del Caso e dei mezzi disponibili-
Un altro dischetto che, però, proprio dischetto non è poiché è uscito solo in digitale, è questo

“¡Pura Vida!” dei Chow

di Bologna

Anche loro ci deliziarono a suo tempo con un disco fenomenale. Parliamo del Marzo 2020, pieno lockdown, giorni che trascorrevano grigi e sempre uguali, la paranoia, la solitudine e lo sconforto; in molti si sarebbero suicidati se i Chow non fossero usciti con Ancient Gentle Tower: un disco che, rimanendo semplice disco, fornì un metodo di lettura del presente in quei giorni statici e insipidi.

Qui i Chow ci fanno un regalo enorme: mettono sotto i nostri occhi le figure scarne, le strutture scheletriche alle quali, mano mano, si aggiungono o si tolgono lembi di pelle al fine di formare una figura definita; la genesi ed il percorso che conducono alla composizione di un disco che, nell’intento di riscoprire un dato periodo tra storia e musica, crea un’estetica differente e, cosa non meno importante, futuribile.

I Chow sono un gruppo unico, con un’inspirazione che arriva da più punti, sia artistici che storici che geografici, e si spinge, poiché colma di un’ottima capacità di sintesi e di un tanto buon gusto, fino a proporsi come un’estetica a sé stante, intitolabile solo al gruppo in questione. Si potrebbe dire che riesumino lo spirito Grunge per rimetterlo in gioco nel presente, ma il termine Grunge per il gruppo pare più essere quella necessaria per quanto letale dose di sconforto che sta proprio in mezzo alle parole Garage e Punk, così come fu per Halo of Flies, Cows, U-Men, Green River e, infine, Mudhoney: riscoprire vecchi sentieri per solcarne di nuovi.


Qui li sentiamo nel loro lato più ferino ed immediato, senza l’intento di registrare ogni idea ed intuizione; versioni live, versioni demo, versioni dei Chow presi solamente dal loro bisogno di esporsi, ferirsi e fare male. Violenti ed ironici al tempo stesso, romantici e fatalisti come una banda di delinquenti senza causa né speranza. Qui non c’è il gruppo che vuole piacere a tutti ma che, senza volerlo espressamente, piace e basta.


Un giorno poi, con l’intento di farmi una cultura, faccio un ordine da Hellnation di Bologna (quando vuoi farti una cultura occorre passare da Hellnation gioco-forza) e, insieme ad un libro e ad una manciata di dischi, Robertò (non un semplice titolare ma una figura di riferimento per chi pratica l’underground) mi invia in regalo (grazie ancora, mille volte grazie) il 7” dei

Mentalitè 81


unità da assalto dei Syndrome 81, gruppo che di recente ha licenziato forse l’opera definitiva di quel movimento, prettamente francese, che, nel tentativo improbabile di unire Oi! e Post Punk, ci ha donato uno dei movimenti più interessanti da seguire negli ultimi anni. Il loro Prisone immaginaires è uno dei dischi Punk più apprezzati e condivisi dell’ultimo anno: Post Punk, un po’ Sound un po’ Chameleons, che si fonde perfettamente con l’Oi! intransigente di Business e 4Skins.

L’intreccio è complicato ma il risultato è esaltante; parrebbe quindi gioco facile, per gente capace di tanto, gettarsi in un altro progetto più di maniera, più vicino all’Hardcore che al Post Punk, ma niente di più sbagliato: menti e corpi oramai usi ad intrecci complicati (far convivere armonie malinconiche con un tiro ritmico serrato e rendere il tutto corretto tappeto sonoro per un cantato graffiante e aggressivo) potrebbero smarrire il gusto del semplice, dell’immediato, del palla al piede e pedalare.

Per fortuna questo non è il caso dei Mentalitè 81 che, in un solo lato di un 7”, rombano tre pezzi dritto, spietati, incalzanti e, cosa più importante di tutte, credibili.

Molti musicisti inseguono una forma ed una sostanza altra, nell’encomiabile intento di rinnovare un genere e, di rimando, adeguarlo a nuovi periodi storici, molti si perdono poi nel tentativo di tornare indietro, riesumare i propri trascorsi, risultando posticci e artefatti. I Mentalitè 81 no, sono skins, vengono dal cantiere e dalla lotta quotidiana, sia essa fisica o mentale, e non perdono di vista i loro inizi: per loro suonare Oi!Core o Post Punk intriso di strade e cori di cuore, fegato e polmoni è la stessa cosa.

Due modi diversi di usare lo stesso linguaggio.


Donuts “Donuts”, 2013-Flamingo Records


La riflessione che, prima di tutto, mi impegna, a fronte di un disco inciso da dei tredicenni è la seguente “perché, anziché sproloquiare a caso di bitch, crush e cash su di una base ridicola fatta con logic, un gruppo di quasi adolescenti si è messo a suonare Punk Rock?”
“Perché sono Punk” e il Punk è un sentire, uno stato mentale, una rappresentazione di un disagio, che non è subordinata al tempo, alle mode che in esso si alternano, all’età anagrafica: finché al mondo ci saranno persone che non si riconosceranno nel mondo che le circonda, ci sarà sempre qualcuno che suonerà punk; il vero e sempiterno germe di una società strutturata sul consumo e sull’immagine. Also sprach Zarathustra e vaffanculo.


Le canzoni, inutile dirlo, son belle perché son spontanee e, soprattutto, sono sincere e per niente supponenti: i vicoli di Genova, il ponte Morandi, l’inquinamento…i Donuts non vanno mai oltre quello che è il loro contesto, non si rifugiano sotto la comodità degli slogan e delle frasi fatte ma, con uno spirito squisitamente naif, ci parlano di loro e del loro modo di recepire, comprendere e raccontare. Hanno tredici anni e non se ne vergognano (Punk!!!!).


I pezzi sono Pop nell’armonia, piccole gemme di una semplicità disarmante (il giorno del diavolo è un inno stupendo e una composizione pressappoco perfetta) e di un’onestà commovente: non ci sono trucchi da studio a coprire gli errori o a enfatizzare precisi istanti per donare più Pathos all’insieme; sembrerebbe una presa diretta in pieno rispetto della tradizione: così sono e così suono. Niente di più e niente di meno.
In più c’è da aggiungere come un’intera comunità trasversale, la realtà Punk Rock genovese, si sia riunita intorno ai Donuts donandogli mezzi, supporto e canali di espressione: nessuna meritocrazia ma solo empatia perché, appunto, io e te siamo uguali nei propositi e nel sentire, in te mi riconosco, e quindi ti aiuto come posso; il mondo, quando avevo la tua età, era più chiuso di fronte a chi ascoltava e suonava Punk Rock ma tutto quello che ho fatto, ogni obbiettivo che ho raggiunto, l’ho fatto e l’ho raggiunto perché un giorno qualcuno come te, a soli tredici anni, potesse fare un disco, portarlo in giro e fare da megafono ad una comunità. Nessuna rivalità, solo mutuo appoggio.
Vi pare niente?

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