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Recensione : Nano – I Racconti Dell’amore Malvagio

Nano - I Racconti Dell'amore Malvagio: Arriva quest'anno il secondo capitolo della storia musicale di N.A.N.O., "I racconti dell'amore malvagio", dopo l'esordi...

Nano – I Racconti Dell’amore Malvagio

Arriva quest’anno il secondo capitolo della storia musicale di N.A.N.O., “I racconti dell’amore malvagio”, dopo l’esordio nel 2007 con “Mondo/Madre”. Dietro a questo acronimo si nasconde un veterano della musica italiana, Emanuele Lapiana, autore di altri tre dischi composti insieme all’ormai estinto gruppo C|O|D, attivo da metà anni ’90. In questo disco Lapiana non si limita ad essere solo un cantautore ma, come lui stesso puntualizzò sul proprio blog qualche anno fa, «N.A.N.O. non è una una persona, né una band.

È la piccola cosa dentro (me)». Il disco infatti, malgrado nomilmente creatura di un unico uomo, è in realtà l’espressione e la fusione di tante personalità, strumenti e stili diversi. Lapiana è solo l’orchestratore, il demiurgo che modella suoni e voci per creare trame musicali complesse ma ben strutturate. “I racconti dell’amore malvagio” è un disco che può essere definito ‘corale’, nell’accezione del termine che indica collettività: non meno importanti di Lapiana stesso sono infatti le comparsate del disco, strumentali e umane.

Sono molte e, alcune, non possono passare indifferenti a chiunque abbia seguito la scena musicale italiana degli ultimi anni: si ritrova il cantautore Pacifico già presente nell’album precedente, Sara Mazo (ex Scisma) che presta la sua voce in molte tracce, l’ipnotico cadenzare di Max Collini degli Offlaga Disco Pax e l’energia di Federico Fiumani dei Diaframma. Anche gli strumenti e i suoni presenti sono tantissimi: dall’oboe al corno al mandolino, fino ai rumori di fondo di una strada e beatboxing. L’effetto generale è quello di un disco che, seppur di non facile approccio, invita l’ascoltatore a perdersi dentro una fitta selva di sfumature musicali ottimamente composte e tratteggiate. Nel complesso, però, le tinte sono per lo più fosche, su questo Lapiana ha voluto essere ben chiaro fin da subito, anche con il packaging del disco stesso: i toni prevalenti sono quelli del nero e del grigio con pochi tocchi di colore, per lo più rossi e bianchi.

“Y”, la traccia iniziale, mostra l’anima più cantautorale del disco: non a caso compare Pacifico (nel booklet ironicamente indicato come responsabile dello ‘stupendume’). Dopo un crescendo finale, segue “Il buio”, in cui a voce e strumenti convenzionali si alternano beatboxing e sussurri vari. Alla fine della traccia, il brano fantasma “Testacoda” in cui compare per la prima volta l’inconfondibile voce di Max Collini. Senza interruzione, parte subito “Cuoricino”, una traccia romantica sul limite del lezioso, che fonde (non senza ironia) cantautorato ‘neomelodico’ a sonorità elettroniche. Un cambio di registro nel finale, con un quasi-rap alla Uochi Toki, dà l’occasione per una pungente stoccata («Mentre l’Italia/ mentre l’Italia intera/ consacra i Baustelle»). Segue “Cohen”: gli strumenti suonati sono molti, è una sorta di preghiera musicata da cui prende spunto un tripudio d’amore, con tanto di strumenti a fiato in sottofondo. Quindi una delle tracce più coinvolgenti del disco, “Lo Squalozecca”: vengono abbandonate le melodie eteree dei brani precedenti in favore di una pompante elettronica di sottofondo. Un Federico Fiumani esagitato urla «sei lo sponsor ufficiale del peggio di me». “Io accuso” poi trasforma il ‘J’accuse’ di Emile Zola da una critica alla Francia paranoicamente xenofoba di fine ottocento a una condanna totale di tutta la generazione sessantottina («Il nostro paese è in queste condizioni/ ed è colpa vostra/ il nostro paese è in queste condizioni/ ed è ora di togliervelo dalle mani»). Seguono “Brainstormo”, una traccia tra le più tormentate ed esasperate, e “E.M.I.”, più tranquilla e distesa, in sottofondo un pianoforte ad accompagnare una voce quasi sussurrata. Giusto un tocco di chitarra nel finale e si passa a “Il nuovo me”, in cui si ritrova Max Collini. Senza soluzione di continuità segue “Close”, più romantica e languida, e dunque “54G”, storia di un amore così totalizzante da portare al suicidio («54 grammi di eparina/ per me/ fluidificare tutto il sangue umano/ e non chiedersi perché»). A concludere l’album, “La città”, una traccia intimistica in cui Lapiana mette in campo tutti i propri sentimenti.

“I racconti dell’amore malvagio” dunque è un disco complesso e concettoso ma irrimediabilmente affascinante. La ricchezza dei sentimenti e la complessità delle trame sonore rendono l’ascolto impegnativo e necessariamente sempre integrale (quasi fosse un concept album, sono poche le tracce che sopravviverebbero se decontestualizzate dalla tracklist del disco). Malgrado questo, non capita spesso di trovare un lavoro così meditato ed elaborato: vale sicuramente la pena di superare una certa difficoltà di ascolto iniziale per essere poi accolti pienamente nel mondo di Lapiana.

01 Y
02 Il Buio (+Testacoda)
03 Cuoricino
04 Cohen
05 Lo Squalozecca
06 Io Accuso
07 Brainstormo
08 E.M.I.
09 Il Nuvo Me
10 Close
11 54G
12 La Città

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