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Recensione : Motel Transylvania – Omonimo

Impossibile dare voti, solo appoggio incondizionato a chi ha attitudine da vendere

Motel Transylvania – Omonimo

Momento amarcord: da sempre sono particolarmente fiero di appartenere ad una minoranza di persone.

Sostengo un’idea di società splendidamente utopistica, faccio il tifo per una squadra magnificamente perdente e uso quel poco che la natura mi ha concesso a livello kulturale per supportare la scena musicale alla quale appartengo dall’età della ragione, quella più ostinatamente libera e underground. Insomma citando gli Heartbreakers sono un Born to Loose e ne vado particolarmente fiero. Questo mio schierarmi in modo netto dalla parte di chi fa qualcosa – sia esso suonare, scrivere, dipingere o qualsiasi altra forma d’arte – per puro gusto di farlo mi ha consentito di conoscere da vicino le realtà più pulsanti e propositive di un sottosuolo che, sia pur destinato a pochi, offre momenti di creatività sconosciuti a chi non ha occhi abbastanza limpidi per comprendere e apprezzare.

Alcune di queste realtà sono geograficamente lontane da me, ed ho la possibilità di supportarle senza poterle conoscere direttamente, mentre nel caso dei Motel Transylvania mi accingo a parlare di un gruppo di ragazzi per me giovanissimi – potrebbero essere miei figli – con i quali mi rapporto quasi quotidianamente ed ho quindi avuto la fortuna ed il privilegio di aver vissuto la gestazione di questo loro disco partecipando alla loro prove nella quali – bontà loro – chiedevano il parere di chi ha sempre suonato da cani come il sottoscritto. Penso che questa lunga e spero non tediosa premessa possa aver fatto capire quanto sarà per me estremamente difficile esprimere un giudizio critico distaccato su quanto è inciso nei solchi di questo album.

Insomma è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo e quindi via ad una descrizione assolutamente scevra dall’affetto e dalla stima che provo per loro (ma chi ci crede?!?). A dire il via alle danze ci pensa Called un intro che sa tanto di b-movie horror da drive-in americano anni ’50, ed io amo incondizionatamente quel tipo di atmosfere, segue Destination – che con Drowning – è il brano che più richiama le atmosfere psychobilly che stanno nel dna della band mentre Motel Transylvania è un pezzo di punk’n’roll anthemico che mostra il malcelato amore del gruppo per la migliore Oi! music. Piccola pausa e si ricomincia l’ascolto con The night of the living dead, una della canzoni migliori del lotto, immaginate, se potete, Gene Vincent proiettato nel 1977 e sotto l’effetto di speed segue 4 con le sue atmosfere lynchiane nel tentativo (riuscito) di rivedere con lo sguardo nel presente un gruppo del passato come i Coasters per poi passare all’altra summa del disco vale a dire Beyond the lights lunga e sofferta discesa agli inferi sviluppata su di un tappeto di caldo e assai poco rassicurante suono western nel quale Tom Waits incontra i Cramps ma cantato con il cuore ed il sentimento toccante di un Chris Isaak.

Ci avviamo verso la chiusura ascoltando A place to end dove un intro gitano alla Kusturica lascia spazio al rock’n’roll vitaminico dei Meteors per poi passare ad un suono punk rock malinconico alla Bad Religion (ed accade tutto nella stessa canzone!), è poi la volta di Dead n’proud il classico pezzo che richiama tutti sotto il palco in un pogo rovente mentre la successiva Stomp! (nella quale fanno la comparsa quei romanacci dei Coachroachers) dura meno di due minuti e mantiene esattamente quello che promette il titolo, il compito di chiudere il tutto spetta a I wanna be your ghoul un classicissimo della band già proposto nel loro precedente They dig after midnight e sono brividi che corrono lungo la schiena, nessuna descrizione ascoltatela e solo così potrete capire, di canzoni così ne scrivono davvero in pochi. Come spero di aver fatto capire in queste mie righe scritte con l’impeto di chi ama senza condizioni più un’idea che una band i miei fratellini Motel Transylvania (magari lo fossero davvero, sarei molto più giovane e forte) se ne fottono di essere incasellati in recinti troppo stretti per la loro attitudine di esseri liberi e per quanto gli riguarda seguono anche loro, come me, la filosofia hardcore dei Minor Threat dell’essere sempre e comunque pecore nere che stanno al di fuori del gregge.

Le recensioni di Inyoureyes prevedono che ad ogni disco venga dato un voto da 0 a 10 ma in questo caso, mi è successo soltanto con un gruppo che reputo davvero carne della mia carne e nervi dei miei nervi come le Wide Hips 69, è compito troppo arduo assegnare un giudizio che sia anche lontanamente freddo e distaccato, certe persone non meritano voti ma solo appoggio e stima incondizionati.

ETICHETTA: Undead Artists Records

TRACKLIST
1) Called,
2) Destination,
3) Motel Transylvania,
4) Her Last Boogie,
5) Drowning,
6) The Night of the Living Dead,
7) 4,
8) Beyond the Lights,
9) It’s not so bad,
10) A Place to end,
11) Dead n’proud,
12) Stomp!,
13) I Wanna be your Ghoul

LINE-UP
Toxi Ghoul – Stand up drums & vocals,
Taison Gore – Guitars & Back up vocals,
Fish the Scarecrow – Double bass & back up vocals

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