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Recensione : Mentre morivo di William Faulkner

Edito per la prima volta nel 1930, “Mentre morivo” è il quinto romanzo di Faulkner; lo scrive in sei settimane, mentre lavora di notte come operaio in una centrale elettrica. Il libro racconta di un viaggio folle, su un carretto sgangherato, ..

“Mentre morivo” di William Faulkner, edito da Adelphi

Edito per la prima volta nel 1930, “Mentre morivo” è il quinto romanzo di Faulkner; lo scrive in sei settimane, mentre lavora di notte come operaio in una centrale elettrica. Il libro racconta di un viaggio folle, su un carretto sgangherato, tra inondazioni, fienili in fiamme e il volteggiare di avvoltoi che accompagnano speranzosi il bizzarro funerale di Addie Bundren; sul carro malconcio, insieme alla bara, il marito e i cinque figli.

In questo libro, Faulkner mette insieme più voci monologanti, che ci permettono di conoscere un’America primordiale, mai ascoltata prima.

Potrete leggere passaggi come questi:

• (…) chiunque può fare uno sbaglio, ma non è che tutti riescano a uscirne senza danni.
• Mi ricordo la mia mamma è vissuta passati i settanta. Lavorato tutti i giorni, pioggia o sole; mai un giorno a letto da che aveva messo al mondo l’ultimo, e poi un giorno va e tira fuori dalla cassapanca quella camicia da notte con la trina che era quarantacinque anni che non se la metteva, s’infila nel letto, si tira su le coperte e chiude gli occhi. “Bisognerà che stiate dietro a Pa’ il meglio che potete” disse. “Sono stanca”.
• (…) la strada scompare sotto il carro come fosse un nastro e l’asse anteriore un rocchetto.
• La ragione perché non lo vuoi dire è che quando lo dici, anche a te stessa, dopo saprai che è vero.
• È come se con gli occhi mi stesse spingendo via. L’ho vista altre volte, nelle donne. Le ho viste cacciare dalla stanza quelli che portano compassione e partecipazione, che portano un vero aiuto, e aggrapparsi a qualche animale buono a nulla per il quale non sono mai state altro che un cavallo da soma. È questo che intendono per l’amore che sorpassa ogni intelligenza: l’orgoglio, il desiderio di nascondere quell’abietta nudità che ci portiamo dietro, qui, ce la portiamo dietro nelle sale operatorie, ce la portiamo dietro ancora una volta, testardamente, furiosamente, sottoterra.
• Ogni tanto uno si mette a pensare. A tutta la sofferenza e le afflizioni di questo mondo; come possono colpire da qualsiasi parte, come il fulmine.
• (…) penso che se l’unica cosa che può esser d’aiuto a un uomo è l’esser sposato, allora accidenti se non è un caso disperato.
• (…) uno lascia andare le cose come vanno tutta la vita, e poi s’intestardisce per qualcosa che complica l’esistenza a tutti quanti in giro.
• Non c’è un posto in questo mondo peccaminoso dove un uomo onesto e lavoratore riesca a guadagnare un po’.
• Ho notato che è tipico di uno pigro, di uno che detesta muoversi, intestardirsi a muoversi una volta che si è messo in moto, uguale a quando si intestardiva a restar fermo, come se non sia tanto il muoversi quello che detesta quanto il mettersi in moto o fermarsi.
• E chi le capisce. Io ho vissuto con la stessa quindici anni, e mi pigli un accidente se le capisco. (…) loro si rendono la vita difficile a non prenderla come viene, come fa un uomo.
• Chi le capisce è bravo. Appena decidi che sono convinte di una cosa, mi pigli un accidente se non solo devi esser pronto a cambiare idea, ma il più delle volte ti tocca anche prenderti una risciacquata per aver pensato che ne erano convinte.
• (…) in un mondo dove c’è l’inganno, nient’altro può essere tanto brutto o tanto grave, nemmeno la miseria.
• Mi ricordavo di mio padre che diceva sempre che la ragione per cui si viveva era per prepararsi a restare morti tanto tempo.
• Fu allora che capii che le parole non servono a nulla; che le parole non corrispondono mai neanche a quello che tentano di dire.
• (…) pensavo a come le parole vanno su diritte in una linea sottile, rapida e innocua, e a come sia terribile che il fare proceda lungo la terra, rimanendoci aggrappato, così che dopo un po’ le due linee sono troppo distanti perché la stessa persona possa passare da una all’altra (…).
• (…) la gente per cui il peccato è solo una questione di parole, per loro anche la salvezza non è altro che parole.
• (…) mi venga un accidente se non c’è qualcosa in quel maledetto disgraziato di Anse che sembra ti costringa a dargli una mano, anche se sai benissimo che di lì a un momento ti prenderesti a calci da solo.
• Certe volte non sono tanto sicuro di chi ha il diritto di dire quando uno è pazzo e quando no. Certe volte penso che nessuno di noi è del tutto pazzo e nessuno è del tutto normale finché il resto della gente lo convince a andare in un senso o nell’altro. È come se non fosse tanto quello che uno fa, ma com’è che lo guarda la maggioranza di noi quando lo fa.
• È una cosa che fa bene, la musica.

 

Cos’altro aggiungere? Due cose: Faulkner dichiarò che il titolo originale – “As I ay Dying” – allude a un verso dell’ “Odissea”, che si trova nel libro della discesa di Ulisse agli inferi; è Fernanda Pivano ad aver scritto che l’autore si dedicò alla stesura del romanzo mentre lavorava di notte in una centrale elettrica, precisando che vi si dedicava “… nelle ore di minor lavoro, tra la mezzanotte e le quattro del mattino, usando come tavolino una carriola capovolta”.

 

 

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