Max, partiamo con una domanda “leggera”. Pare che l’unico modo di avere ancora regioni rosse in questo paese sia una pandemia. Come ti spieghi il guardare sempre più a destra delle masse popolari, in Italia e non?
Quello che in Italia chiamiamo “sinistra” è una specie di ircocervo post democristiano (di post comunista resta poco o nulla mi pare) che pretende di rappresentare una società indistinta, non individua un blocco sociale e anche se lo individuasse poi non saprebbe esserne voce. A sinistra di questa “sinistra” ci sono tanti sussurri, sostanzialmente il rumore di fondo di troppi zero virgola. Quando in campo non ci sono molte idee si viaggia a vista, si ragiona sull’esistente e su come mantenerlo ed è per questo che sogno la tabula rasa elettrificata di questa classe dirigente. Nel frattempo speriamo che l’orrore sovranista che potrebbe aspettarci dopo la pandemia si neutralizzi da solo, come da strategia zingarettiana: fingersi morti. Sempre che il virus non ci ammazzi sul serio.
Nelle liriche dei tuoi primi lavori con gli Offlaga il senso di fine di un’epoca e di un’ideologia è già in parte presente. Avevi previsto il delinearsi di un contesto politico e sociale dove non ci sarebbe stato più spazio per le idee socialiste?
No, sinceramente no, ma siccome il bello della complessità contemporanea è che in molti si stanno accorgendo che il cosiddetto “mondo libero” di un tempo sta implodendo, le idee socialiste stanno ritornando di moda, perfino in un paese allergico come gli USA. Per ora mi accontento di avere visto, per la seconda volta, un presidente del consiglio italiano di formazione marxista dopo i governi D’Alema. Incredibile a dirsi, Gentiloni da ragazzo era maoista e poi si avvicinò al Pdup e infine al PCI. La Margherita di Rutelli infine lo andò a ripescare da non si sa dove, ma è stato solo un incidente di percorso. Lo so, vi è sempre sembrato un democristiano di terza fila miracolato da Renzi e invece l’attuale uomo forte e signore dell’Europa viene da tutt’altra parrocchia. Sembra impossibile, ma è andata proprio così. Potete solo immaginare la rosicata memorabile del genio di Rignano.
Uno dei tuoi testi a mio avviso più toccanti è quello di “Sensibile” tratto dal secondo album degli Offlaga, “Bachelite”, nel quale si narrano le vicende dell’eversione fascista degli anni ’70 ed in particolare di Giusva Fioravanti e della sua compagna Francesca Mambro. Trovi che il risultato sia sempre due a zero per loro o abbiano dilagato nel punteggio?
La loro partita alla fine l’hanno vinta: con quattordici ergastoli complessivi passati in giudicato hanno scontato meno di vent’anni a testa e sono liberi ormai da anni. Senza pentirsi, senza fare un solo nome che non fosse già noto, senza rispondere ai mille interrogativi che le nuove indagini sulla strage di Bologna stanno per rimettere sul piatto della storia a quarant’anni dagli eventi. Si porteranno nella tomba orrori indicibili, come un Provenzano qualsiasi. Per quanto mi riguarda sono, semplicemente, due mostri.
Cosa puoi dirci a proposito del clima politico ed artistico che si respirava nella Reggio degli anni ’80? Chi erano e cosa si proponevano i Mumble?
All’epoca la città viveva un grande fermento culturale, anche grazie a una amministrazione che in quel campo metteva risorse e spazi che oggi non sarebbero più ipotizzabili. Da quella vivacità nacquero anche i Mumble di Arturo Bertoldi e altri pazzi come lui. Erano un’esperienza di teatro/canzone di matrice situazionista, in cui la musica era solo un espediente per dire anche altro. Hanno fatto una réunion di recente e li ho trovati ancora in grandissima forma. La classe non è acqua insomma.
La forma espressiva dello spoken word, da te prediletta, è frutto di una fascinazione per qualche artista in particolare o di una tua singolare urgenza?
Ho fatto di necessità virtù, non sapendo né cantare né suonare. Mi piace scrivere e raccontare delle storie e sono solo quelle le uniche possibilità espressive che mi sono state concesse. Cercherò di farmela bastare.
E’ stato ingombrante per la tua vita artistica post Offlaga l’aver fatto parte di una band così generazionale dal punto di vista letterario e così singolare dal punto di vista sonoro?
In qualche modo è grazie a quello che ho fatto con gli Offlaga se oggi posso continuare a proporre cose diverse e magari non sempre allineate all’esperienza precedente. Ero io in quel frangente allora, sono sempre io, anche se un poco imbolsito, nei frangenti attuali. E’ andata così e sono fiero di quello che ho fatto, sperando di esserlo altrettanto in futuro con ciò che riuscirò a realizzare.
Cosa ti porti a casa dell’esperienza a “Propaganda”? Trovi anche tu che si tratti dell’ultima trasmissione televisiva, trattante l’attualità politica, scevra da condizionamenti editoriali pressanti?
E’ stata una grande gratificazione personale, artistica e umana. Scoprire che Diego “Zoro” Bianchi conosceva le cose che ho fatto in passato è stato già di per sé una bella soddisfazione. Trovare però collocazione in uno dei pochi spazi liberi rimasti nel campo dell’informazione e intrattenimento televisivo era una cosa che non avrei potuto prevedere, non mi sono confrontato spesso infatti con il mezzo televisivo, mezzo che non ho quasi mai praticato. Alla fine mi ha aiutato il fatto che il teatro dove si gira la trasmissione è un po’ simile agli spazi in cui mi esibisco di solito: è bastato non pensare che mi stavano inquadrando in diretta nazionale circa dieci telecamere e che Makkox, Zoro, Damilano e compagnia mi stessero giudicando. Sono d’accordo con te: è una trasmissione che non dipende nei suoi contenuti da condizionamenti esterni e lo si vede anche dagli ospiti musicali, che quasi mai sono quelli che ci toccano normalmente altrove. Tra le vette più alte direi la presenza di Pennacchi: per me è di una bravura assoluta.
Secondo te ha senso parlare di indie italiano, o trovi piuttosto si tratti di un’etichetta elusiva del fatto che questi artisti suonino care e vecchie pop songs?
In Italia chiamiamo indie quello che tutti, nel resto del mondo, chiamano pop. C’è un motivo, in realtà, ed è perché praticamente tutti i nuovi artisti di quella nuova generazione provengono da piccolissime etichette, non hanno frequentato i talent, non hanno avuto rapporti con le grandi strutture dell’industria musicale. Di fatto in poco tempo sono diventati ugualmente un pezzo importante del mainstream, che sta facendo di tutto per inglobarli. Chi se lo sarebbe mai aspettato solo cinque o sei anni fa che Sony, Universal, Sugar e compagnia imperante avrebbero fatto carte false per poter scritturare Coez, Calcutta, Brunori, Gazzelle, Willie Peyote, Motta, i Cani, Coma_Cose e Lo Stato Sociale? Me lo avessero raccontato non ci avrei mai creduto.
E ora una domanda di attualità! Non troppo tempo fa Manuel Agnelli ha detto che le chitarre e il rock stanno tornando in cima alle classifiche e saranno il nuovo trend. Sei d’accordo? Se sì, il socialismo tornerà mai in cima alle classifiche?
Non sono aggiornatissimo sulle ultime tendenze, ma ammetto che le chitarre mi sono sempre piaciute, a partire da quelle non certo omologate dei CCCP, oltre a quelle dei Cure e degli U2 primigeni.
Per concludere ti chiedo gentilmente di segnalare ai lettori di Iyezine qualche lettura, ascolto o visione che ti abbia particolarmente rapito in tempi recenti.
Sto seguendo con interesse il percorso musicale di Lucio Corsi e ho trovato strepitoso il film di Sorkin “The Trial of the Chicago 7” che ho visto su Netflix. Le mie serie preferite degli ultimi tempi sono state Mindhunter, The New Pope, Il giovane Wallander e, devo ammetterlo, La regina degli scacchi. Segnalo infine il saggio Mad in Italy, manuale del trash italiano 1980-2020 di Gabriele Ferraresi, un affresco quanto mai necessario che delinea impietosamente le derive a cui è stato esposto questo paese negli ultimi quattro decenni. Tutto quanto viene descritto è realmente accaduto, anche quando sembra inverosimile, e ha davvero inciso nella mente di milioni di persone e nella loro formazione culturale. Purtroppo.
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