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Recensione : Ma L’amore Mio Non Muore. Garage Punk.

Breve elegia del garage-punk negli anni novanta. Garage Punk !

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Ma L’amore Mio Non Muore. Garage Punk.

Breve elegia del garage punk negli anni novanta

Gli anni ottanta volgono al termine e ci svegliamo consci che, come disse Pintor in uno dei titoli più ricordati de Il Manifesto, non moriremo democristiani.

Da lì a poco arriverà Berlusconi a farci scivolare in un incubo ben peggiore anche se il suo tentativo, più culturale che politico, di trasformare la società italiana in un baratro di qualunquismo reaganiano/tatcheriano riuscirà soltanto in parte.

Ma bando alle tristezze perché qui in fondo si parla di musica e ok usare uno spaccato dell’attualità dell’epoca come incipit ma è bene tornare subito a focalizzarsi sul nocciolo della questione vale a dire la scena garage dei ninety.

Occorre però una piccola premessa prima di parlare dell’argomento in questione.

All’inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso molte band dedite al recupero di sonorità sixties avevano intrappreso un altro cammino indurendo il loro sound verso coordinate di derivazione Stooges/MC5/Radio Birdman, ne siano ad esempio prime movers della grandezza di Miracle Workers e Sick Rose. Con ciò non voglio assolutamente dire che i dischi da loro prodotti non fossero strabelli (tutt’altro), erano solo diversi. Inoltre in quegli anni si assisterà all’esplosione del grunge che toglierà al garage lo scettro di musica “trendy” del tempo.

Anch’io, sono sincero, mi interesserò e seguirò quella scena – mai stato (per fortuna) un pasdaran di un determinato filone – che sfornerà molti ottimi dischi; cio non toglie che la mia band preferita di quel fenomeno saranno gli assai poco allineati Mudhoney, non per niente i più garagisti del lotto. A tenere accesa la fiamma della musica più entusiasmante della storia ci penseranno gli organizzatori del festival beat la cui prima edizione è datata giugno 1993 e che da quei giorni si ripeterà fino ai giorni nostri ingrandendosi sempre più e proponendo cartelloni con nomi davvero altisonanti. Ma il merito del festival sarà molto di più della qualità intrinseca dei gruppi che vi parteciperanno quanto quello di diventare un punto di aggregazione degli appassionati, non solo italiani, del garage e dei suoi derivati.

Un’altra fonte alla quale abbeverarsi i caveman italici lo troveranno nei dodici numeri di Bassa Fedeltà che dal 1997, con cadenza bimestrale, si potrà trovare in (quasi) tutte le edicole dello stivale e che ogni appassionato di garage dovrebbe possedere o procurarsi per la propria importanza storica.

Ma veniamo ai dischi da segnalare precisando che contrariamente al pezzo sugli eighties in queste righe allargheremo lo spettro delle proposte al lo-fi, al punk-blues ed ad altri sottogeneri. Come al solito, per comodità, divideremo le band per provenienza geografica.

Stati Uniti d’America
Dalla terra di Abramo Lincoln e di Fonzie (tanto per estremizzare il concetto) verrano dati alle stampe tantissimi album di grandissimo pregio. Facendo qualche doloroso taglio partiremo con gli inimitabili Mummies e con il loro stratosferico Play Their Own Records uscito nel 1992 su Estrus.

Di grande impatto già dal punto di vista dell’immagine il combo californiano sarà il portabandiera più credibile del garage più scalcinato sulla piazza, il loro suono sporco, catacombale quanto spledidamente elettrizzante non potrà che scaldarvi il cuore, provare per credere.

Un prime mover della scena l’ex Tell-Tale Hearts Mike Stax formerà nel 1991 i fantastici Hoods il cui album Gangsters & Morticians ammalierà con il suo suono alla Pretty Things; dentro ci troverete uno dei brani più belli del periodo vale a dire Standback un pezzo che non può mancare in nessuno dei miei dj set.

Altra band di statura clamorosa saranno i Makers di Spokane Wa, furiosi al limite del parosissismo saranno, almeno all’inizio della loro carriera, dei veri e propri fuoriclasse.

Per quanto mi riguarda il mio disco preferito fra quelli da loro editi sarà il secondo All Night Riot delle 1995 ma almeno fino a Psychopathica Sexualis i loro dischi sarebbero da ascoltare e possedere tutti. Un altro gruppo mesmerizzante saranno i Blues Explosion di Jon Spencer.

I loro ellepì, tutti di altissima qualità, dovrebbero far parte degli ascolti obbligatori di ogni garage fan dai 7 ai 97 anni. I nostri prenderanno il blues della loro ragione sociale rivoltandolo come un calzino, Robert Johnson, ne sono certo, sarebbe fiero di loro. Altro giro altro regalo, si resta sul suono delle radici violentato dal passaggio del punk con i Gories di I Know You Fine, But How You Doin’ del 1990.

Il sound del terzetto di Detroit sarà contraddistinto da un mood tanto primitivo e tribale quanto ricco di un feeling terribilmente carnale, se avete avuto la buona sorte di vederli dal vivo sono certo che capirete in pieno ciò che voglio dire. Ma se la vostra situazione finanziaria è a dir poco deficitaria ed avete i soldi contati per un solo disco buttatevi su Popular Favorities degli Oblivians il 33 giri americano di punk-blues- lo-fi- and roll più grande di tutti i tempi.

Dentro ci troverete sedici canzoni tutte magnifiche una delle quali Bad Man è una fra le dieci più meravigliose fra quelle scritte negli ultimi trent’anni. Geniale pure la copertina che mostra un gruppo di freakettoni bruciati dalle droghe mentre mostrano una maglietta con su scritto “Kill a punk for rock’n’roll”.

Assolutamente fondamentale.

Ultima citazione per i Witchdoctors di Witchdoctors a Go-Go un mix di sporco garage e malata psychedelia per menti contorte.

Gran Bretagna
Come nel precedente decennio è ancora la figura di Billy Childish a tenere alto il vessillo del sixties sound nel paese dell’immortale regina Elisabetta; lo fa come produttore per il folk–punk in bassissima fedeltà dei Mystreated di 10 Boss Cuts ed in prima persona con gli immarcescibili Headcoats di Headcotitude il cui titolo ben sintetizza il contenuto dell’album.

Un altro disco inglese degno di nota è Mexican R’n’B degli Stairs caratterizzato da un sound torrido e sensualissimo che ne fa dimenticare l’orrida copertina.

Italia
Come già negli anni ottanta anche nei novanta la scena della nostra troppo spesso bistrattata penisola darà segni di grande vivacità proponendo gruppi e dischi di spessore internazionale. Fra questi spiccano i 99th Floor (nei quali militerà l’ex Sick Rose Luca Re) di Teen Trash #9 (collana della teutonica Music Maniac) un disco di grandissimo garage/folk-punk, gli Head And The Hares ed il loro 33 giri omonimo, i Flies di On The Other Side Of The Tracks, il beat degli Sciacalli di Yeeeeeh! ed i migliori del lotto gli Others di Everything’s There.

Resto del mondo
Al di fuori dei due pesi massimi U.S.A e Gran Bretagna e della sempre vitalissima scena italiana devono essere citati anche i dischi degli Strollers Falling Right Down nel quale è contenuta la splendida Bad Situation, dei loro connazionali i sempiterni Nomads con Powestrip e degli elvetici Monsters del nostro Reverendo Beat-Man con il loro garage sporcato di rockabilly lanciato come un treno in corsa e contenuto nell’ ellepì The Hunch.
Ok spero di essere stato abbastanza esauriente e di aver stimolato la curiosità di chi – per ragioni anagrafiche e non solo – si è perso il periodo del quale ho parlato e di essere stato altresì una buona lettura anche per i più eruditi in materia. A tutti quanti consiglio di mettere sul piatto un disco di garage-punk e di alzare il volume al massimo del volume consentito perché, come ebbe a dire qualcuno LF (cito solo le iniziali) recensendo Let It Bloom dei Black Lips, questo tipo di suoni sono gli unici che dal 1966 non sono mai invecchiati e, ci aggiungo di mio, non invecchiaranno mai.

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