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Recensione : Los Infierno – Salvaje

Los Infierno - Salvaje: Orsù cari lettori, vediamo che idea avete delle persone che provengono dalla meravigliosa terra di Emiliano Zapata, il g...

Los Infierno – Salvaje

Orsù cari lettori, vediamo che idea avete delle persone che provengono dalla meravigliosa terra di Emiliano Zapata, il glorioso Messico.

Li immaginate irsuti, con il sombrero perennemente calato sul viso, discinti e, perché no, grandi bevitori di tequila dalla dubbia provenienza.
O mio dio che scarsa fantasia, pensate e immaginate per stereotipi che si trascinano stancamente da chissà quanti anni a questa parte.
Guardate ad esempio questi Los Infierno, sono personaggi raccomandabilissimi, dei tipi pulitini che, se non fosse per quell’aria così ingenua che hanno perennemente dipinta sul volto, si potrebbero persino etichettare come manageriali; ed infatti da figuri così ordinari non si può immaginare niente di più di quanto sono soliti suonare, uno scialbo indie-rock insipido quanto risaputo.
Ora che avete letto questa mia presentazione e sapete esattamente cosa aspettarvi da questi disco, toglietelo dalla copertina appoggiatelo con delicatezza sul giradischi, fate calare la puntina e, come direbbero i Ramones, let’s go!
L’iniziale “Infierno” non è che il manifesto programmatico del cammino che state per intraprendere, seguono due proiettili garage al vetriolo del calibro di “Cavernicola” e “Salvaje” (la prima delle quali è una cover degli Avengers!), ci si imbatte poi in quello che il mio pezzo preferito del lotto, “No sirve de nada”, un brano di sixties-beat che tutto travolge.
Ne volete ancora di sciatto indie-rock?
Ok si risale sulla giostra: “Todos estos anos” è qualcosa che si avvicina alla psichedelia, anche se in fondo si potrebbe “solo” trattare di un puro disturbo mentale di chi l’ha composta, “Nada que perder” è quello che avrebbero suonato gli Stones se fossero nati in Messico e non fossero diventati dei ricchi borghesotti del cazzo.
Come dite? La giostra gira troppo veloce e state per vomitare? Troppo tardi, comincia un nuovo giro.
“El entierro de los gatos” è una cover dei Los Saicos, fantastici sixties punkers peruviani (recuperare la raccolta “Demolicion” edita alcuni anni orsono dalla Munster Records è un vostro preciso diritto morale), “Vas a llorar” è il pezzo che più si avvicina al punk settantasettino pur conservando un taglio genuinamente garage, mentre “Es tarde ya” si inoltra nuovamente negli impervi sentieri della psichedelia ed è
di una lentezza drogata da lasciare stupefatti.
Bene, fratelli, potete scendere; la testa gira e il mondo vi sembra sottosopra, che ci volete fare questo è l’effetto del rock’n’roll, se sino a ieri avete ascoltato i Verdena ora non potete che essere sbalestrati.
Ma dai, siamo seri, un gruppo con una ragione sociale così e con membri che provengono da bands con nomi meravigliosi come Los Explosivos e Lost Acapulco (a proposito cercatevi anche questi gruppi, ora con i vostri computerini non dovrebbe essere così arduo trovarli) poteva davvero suonare indie-rock?
Non vi facevo così ingenui, proprio no.
Venghino signori venghino, nuovo giro nuovo regalo, la giostra dei Los Inferno sta per ripartire, la puntina cala nuovamente sul vinile ora però siete avvisati.
Ah, dimenticavo, produce il tutto Wild Evel degli austriaci (?!?) Incredible Staggers, che non starò qui ad incensare perché se non li conoscete siete veramente dei casi umani irrecuperabili, a ulteriore dimostrazione che l’internazionale dei reietti è viva e lotta insieme a noi!

Los Infierno

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