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Recensione : Lettere Dal Pianeta Tricolore – 2. Incursione (cieli, Acque E Terra)

Lettere Dal Pianeta Tricolore - 2. Incursione (cieli, Acque E Terra): Lettere dal pianeta tricolore – 2. Incursione (Cieli, acque e terra) Racconto di Daggo Roschi   Il modulo d’...

Lettere Dal Pianeta Tricolore – 2. Incursione (cieli, Acque E Terra)

Lettere dal pianeta tricolore – 2. Incursione (Cieli, acque e terra)
Racconto di Daggo Roschi

 

Il modulo d’incursione che attraversa l’atmosfera ha tinto le nuvole di luce.

Per alcuni ipti, in qualche luogo, la sabbia e il mare si sono fusi al cielo.

L’ammaraggio, questa la modalità di cattura prescelta per la sonda, è avvenuto in prossimità di un estuario, a una latitudine quasi equatoriale: le acque basse sono sovente brulicanti di vita e, una volta esploratele, la vicinanza alla costa permette di dirottare parte degli strumenti verso la superficie.

Il pianeta, oltre che con l’idrografia, c’è stato amico con i suoi parametri dinamici: la velocità di rotazione è sufficientemente bassa da permetterci di mantenere una traiettoria sincrona rispetto al punto di discesa, ovvero tale per cui, orbitandolo, ci ritroviamo sempre sospesi sopra lo stesso lembo di suolo. La quota che ne risultà è sufficientemente bassa da consentire un ritardo di segnale tra noi e le sonde di soli ճ- ipti, sufficientemente a permetterci di utilizzare efficacemente il telecontrollo per l’esplorazione in remoto.

Ovviamente né io né gli altri abbiamo la malaugurata intenzione di sostituirci alle intelligenze artificiali nelle esplorazioni a largo spettro, gli automi sono assai più idonei allo svolgimento del proprio lavoro di quanto noi non possiamo essere, ma il telecontrollo è una sorta di premio.

L’incursione atmosferica non è stata in ogni caso perfetta: il riflettore di plasma ha avuto un anomalia e questo ha fatto sì che una parte dell’energia cinetica rubata al potenziale gravitazionale, anziché essere dispersa ionizzando il gas e poi deflettendo magneticamente i cationi, abbia dovuto essere compensata direttamente con l’utilizzo del propellente chimico.

Questo inconveniente ha ridotto a zero il carico recuperabile dal pianeta e ci costringe tutti, compresi voi, ad accontentarci delle misure e dei rilevamenti fatti dagli automi esplorativi.

Vi confesso che vorrei con tutto me stesso tentare una seconda penetrazione, ma le intelligenze artificiali di bordo me lo impediscono in tutti i modi.

La loro programmazione, per quanto flessibile e adattabile, ha vincoli di fondo che non possono essere superati. L’obbiettivo di missione è allargare la cartina dei sistemi abitabili e non studiarli nel dettaglio. Ogni pianeta interessante può vedersi assegnata una e una sola sonda, la cosa è indipendente dalla straordinarietà delle condizioni rilevate.

Evidentemente qualche progettista zelante voleva evitare che, presi dall’emotività, noi esploratori dilapidassimo risorse preziose e insostituibili.

Lo ammetto: per quanto capisca la situazione, ho fortemente disprezzato la tecnologia delle menti sintetiche.

Mi consolo solo sapendo che ci sono cose su cui neanche io posso soprassedere. Chiedere alle intelligenze di crociera di inviare un altra sonda probabilmente è un po’ come chiedere a me di uccidermi volontariamente; se percepissi come naturale il sistema di valori che guida le loro decisioni, neanche mi irriterei per la questione.

Fatto salvo l’ingresso in atmosfera e l’impossibilità di recuperare campioni a bordo, l’incursione è stata comunque un successo. Il modulo, anche dopo un ammaraggio brusco, si è gonfiato correttamente e la sua funzionalità residua non è stata praticamente compromessa dai problemi d’ingresso.

Subito dopo l’ammaraggio, irritato dall’inconveniente, ho lasciato che gli esploratori operassero in automatico per alcuni teid, tempo che ho trascorso in stasi. Ridestatomi, quel che ho consultato della diagnostica preliminare non ha per niente soddisfatto le mie aspettative.

In tutto il tempo trascorso le sonde figlie non avevano riconosciuto niente che fossero state addestrate a classificare come vivo.

L’angoscia, e non la rabbia, fu ciò che in quel momento mi assalì.

Cercate di comprendermi: la vita comincia quasi sempre in ambienti liquidi e, nei pianeti dove il liquido predominante è l’acqua, è al suo interno che si sviluppano le prime macchine cellulari. In tutta la cronaca esobiologia non c’è mai stato un pianeta dove ci fossero sia vita che acqua liquida ma dove la prima non si svolgesse all’interno della seconda. In tutti i mondi di cui si hanno notizie (e che spero in mia assenza si siano moltiplicati) questa associazione è una costante: se c’è vita e c’è acqua liquida la vita si trova nell’acqua. L’acqua liquida non implica la vita, come dimostrano i mondi abisso, e la vita non implica l’acqua, come dimostrano gli organismi nei mari di metano, ma la contemporaneità dei due fenomeni crea un binomio indissolubile.

Anxu però si fa scherno di tutto ciò. Il pianeta ignora tutto quel che abbiamo misurato e dedotto fino a oggi. Le sue basse coste sono un deserto abiotico.

Tuttavia, ed erano proprio simili pensieri quelli che mi angosciavano, se la vita non c’è, come spiegare la sua atmosfera così lontana dall’equilibrio chimico?

Come giustificare le strane strutture bianche riprese dagli orbitatori?

Le immagini del satellite erano forse artefatte o peggio ancora, i sistemi di acquisizione non funzionavano come dovevano?

Disperato, in quei primi momenti di esplorazione , ricontrollai più volte le misure e le acquisizioni: tutti i dati sembrarono estremamente normali.

A quel punto fui molto confuso circa la loro interpretazione: i dati che mi arrivavano non sembravano inattendibili. Semplicemente, con mia somma gioia e contemporanea disperazione, non risultavano coerentemente inquadrabili in quella che è l’ortodossia della xenobiologia.

Se Anxu aveva della vita, e presto l’avrei vista, questa doveva avere qualcosa di strano.

 

-Fine spazio codifica

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