Da giovane, complici i pessimi insegnanti che ho avuto alle scuole superiori dei quali non conservo alcuna stima, credevo di detestare il mondo classico che mi appariva vecchio e stantio non avendo compreso, a causa dell’arroganza che caratterizza la gioventù, l’importanza di molti di quegli autori.
Tuttavia a livello inconscio qualcosa era già latente dentro di me e con l’età della ragione ho iniziato a cambiare punto di vista.
Una sorta di illuminazione interiore mi ha portato a comprendere che quel mondo non era diverso dal nostro – che ne è la naturale continuazione – e che gli antichi hanno scritto e afferrato molte più cose di ciò che potremmo immaginare, anche dal punto di vista della tecnologia per esempio. Ciò che noi sappiamo del passato si basa quasi esclusivamente su frammenti, come in un mosaico da ricostruire tocca analizzare ogni singolo aspetto se vogliamo arrivare a un minimo di comprensione, che evidentemente è più importante della conoscenza, la quale fondamentalmente è transitoria e ciò che pensiamo di aver capito ieri dobbiamo rimetterlo in discussione oggi alla luce di nuove scoperte e di nuovi dati acquisiti.
La storia non è qualcosa di immobile ma, al contrario, ogni giorno occorre ripensarla e rimettere tutto in discussione.
In questo periodo oscuro che stiamo vivendo leggere la parola degli antichi è necessario considerato che quasi tutto ciò che è inerente alla natura umana è stato già detto e scritto da loro, anche quello che erroneamente pensiamo di aver elaborato nella contemporaneità.
Non avrei mai pensato per attitudine formativa di “recensire” (parola che non mi esalta) un libro di provenienza accademica, in questo caso di Ivano Dionigi, latinista ed ex rettore dell’università di Bologna. Men che meno, considerata la mia formazione personale, una pubblicazione che è stata composta mettendo insieme i contenuti, riveduti e corretti, apparsi in una rubrica pubblicata in prima pagina su L’Avvenire (quotidiano notoriamente di stampo cattolico) nel trimestre gennaio, febbraio e marzo 2020.
Tuttavia durante il periodo della chiusura conseguente la pandemia, che ha duramente colpito le certezze che la nostra civiltà credeva di avere sollevando dubbi sulla possibilità di sopravvivenza in un pianeta fondamentalmente ostile (le cui terre emerse, ricordiamolo, per circa il 30% risultano inabitabili) mi sono dovuto ricredere.
Il titolo “Parole che allungano la vita” è già parecchio eloquente e meglio ancora il sottotitolo “Pensieri per il nostro tempo”. Si tratta di un libro piuttosto snello nel quale l’autore ci accompagna attraverso un percorso non esaustivo, per forza di cose, ma estremamente interessante ed evocativo analizzando brevemente alcune delle parole più importanti che la civiltà classica ci ha tramandato delle quali tocca fare tesoro. Il passato non va visto come un qualcosa di finito ma come specchio per comprendere chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando.
In questo percorso si va con discreta leggerezza dall’ analisi di alcuni vocaboli di origine greca a quelli di origine latina dei nostri progenitori romani, che hanno forgiato il mondo in cui viviamo traghettandolo verso la modernità, senza soluzione di continuità fino agli autori cristiani figli della concezione monoteistica.
Qui, per mia pecca, ho trovato i passaggi più ostici da leggere in relazione alla mia differente concezione “filosofica” tuttavia questo libro può e deve essere letto da quante più persone possibili anche per facilità con la quale si affrontano argomenti che solo in apparenza potrebbero apparire pesanti ma che, al contrario, in questo caso assumono una leggerezza alla portata di tutti visto che ogni pagina è dedicata alla breve disamina di un concetto che può essere fruito senza problemi da chi deve affrontare un esame ma anche per semplice svago, il che non è distinto dalla possibilità di comprensione di qualcosa di più grande.
Un salvagente necessario nella tempesta che stiamo affrontando navigando a vista.
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