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Recensione : La via del ritorno di Erich Maria Remarque

Questo libro, pubblicato per la prima volta in volume nel 1931, fa parte – insieme a “Niente di nuovo sul fronte occidentale” e “Tre camerati” – della trilogia di Erich Maria Remarque dedicata alla Grande Guerra

La via del ritorno di Erich Maria Remarque, edito da Neri Pozza

Questo libro, pubblicato per la prima volta in volume nel 1931, fa parte – insieme a “Niente di nuovo sul fronte occidentale” e “Tre camerati” – della trilogia di Erich Maria Remarque dedicata alla Grande Guerra; messa al bando dai nazisti, quest’opera coniuga perfettamente la potenza delle immagini e delle parole con la storia di un giovane reduce.

La prosa dell’autore restituisce al lettore l’anima di un personaggio che è il simbolo di un’intera generazione, una generazione che ha creduto di tornare a casa e dimenticare l’inferno delle trincee, e che invece ne è rimasta sopraffatta.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • Piovono le schegge. Uno di noi è stato certamente colpito, poiché nella nostra buca, proprio accanto alla testa di Bethke, entra di schianto una mano strappata dal corpo, insieme a una scheggia rovente.
  • Molti di noi sono sepolti qui (…) loro nelle fosse, noi nelle trincee, separati soltanto da qualche manciata di terra. Ci avevano soltanto preceduti di un po’, poiché giorno dopo giorno noi diventavamo di meno e loro di più… e molte volte non sapevamo se anche noi ne facevamo già parte. Talvolta però le granate ce li riportavano su, ed erano ossa che ricadevano dopo essere state scaraventate in aria, brandelli di divise, teste putrefatte, umide, ormai un tutt’uno con la terra, che nel tambureggiare dei bombardamenti dai loro rifugi crollati e sepolti ritornavano ancora una volta in battaglia. Non ci sembrava nulla di spaventoso; eravamo troppo vicini a loro.
  • Braccia, gambe e teste trovate senza il resto del corpo le raccoglievamo in un telo a parte.
  • La parte superiore di Schroder non era più riconoscibile. Era piatto come una sogliola. Il viso era schiacciato come un’asse, nella quale un buco nero e obliquo con una corona di denti indicava la bocca.
  • Arriva, zoppicante, Hans Walldorf (…). Gli hanno tolto il femore, e ora ha una gamba artificiale a cerniera, sulla quale punta con rumore a ogni passo. Vediamo poi Kurt Leipold (..). Ha il braccio destro artificiale. Poi ecco giungere un altro, al portone, con la voce strozzata: “Non mi riconoscete più, vero?” Non vedo la faccia, se si può ancora chiamare faccia. La fronte è attraversata da una larga cicatrice rossa che gli arriva fino all’occhio sinistro. La carne vi è cresciuta sopra, sicché l’occhio appare piccolo e affondato. Ma c’è. A destra invece l’occhio è fisso, di vetro. Il naso è scomparso e una benda nera copre quella parte della faccia. La cicatrice che comincia lì sotto taglia in due punti la bocca che è gonfia e tutta storta, quindi le parole escono quasi incomprensibili. I denti sono finti, si intravede una grappa. Lo guardo senza raccapezzarmi.
  • Volete sapere com’è morto il piccolo Hoyer? Per tutta la giornata è rimasto attaccato al reticolato, urlando, e le budella gli uscivano dalla pancia come maccheroni. Poi una scheggia gli ha portato via le dita e due ore dopo un brandello di gamba, ed era ancora vivo e cercava, con l’altra mano, di insaccarsi gl’intestini, finché alla sera era finita. Quando, di notte, si poté andargli vicino, era sforacchiato come una grattugia. Andate un po’ a raccontare a sua madre com’è morto, se ne avete il fegato!
  • Cento giovani soldati, diciotto sottotenenti, trenta sergenti e sottufficiali sono qui e vogliono cominciare a vivere. Ciascuno di loro sa guidare una compagnia su terreno difficile, con perdite minime attraverso il fuoco, nessuno di loro esiterebbe un attimo se di notte si lanciasse nel suo ricovero l’urlo “Vengono!”, ciascuno di loro è stato fucilato in giornate senza numero, inesorabili, ciascuno di loro è un soldato perfetto, né più né meno. Ma per la pace? Siamo adatti per la pace? Siamo, in genere, adatti a qualcos’altro che non sia la vita del soldato?
  • Chino gli occhi dalle sue mani alle mie. Con queste ho trafitto un francese nel maggio del 1917. Il sangue mi scorreva ripugnante e caldo sulle dita, mentre continuavo a menare colpi con terrore e furore insensato. Poi vomitai e per tutta quella notte piansi. Solo al mattino Adolf Bethke riuscì a consolarmi; allora avevo esattamente diciotto anni, ed ero al mio primo assalto. Lentamente giro le mani e mi guardo i palmi. Con queste, nella grande offensiva al principio di luglio, ne uccisi tre. Per tutto il giorno rimasero attaccati ai reticolati. Le loro braccia abbandonate dondolavano nella pressione delle raffiche d’artiglieria, e a momenti pareva che minacciassero, a momenti invece che implorassero aiuto. Un’altra volta lanciai a venti metri di distanza una bomba a mano che spazzò via le gambe a un capitano inglese. Emise un urlo terribile, la testa eretta con la bocca spalancata, puntato sulle braccia, il tronco sollevato, come una foca; e poi si dissanguò rapidamente.
  • (…) ci hanno ingannati, ingannati come forse non sospettiamo nemmeno. Perché si è orribilmente abusato di noi! Ci dissero patria e intendevano i progetti di occupazione di un’industria famelica; ci dissero onore e intendevano i litigi e i desideri di potenza di un pugno di diplomatici ambiziosi e di principi; ci dissero nazione e intendevano il bisogno di attività di alcuni generali disoccupati! (…) Nella parola patriottismo hanno pigiato tutte le loro frasi, la loro ambizione, la loro avidità di potenza, il loro romanticismo bugiardo, la loro stupidità, il loro affarismo, e ce l’hanno presentato poi come un ideale radioso.
  • Credete forse che si possano cancellare dal cervello quattro anni di carneficina con l’insulsa parola “pace”, come con una spugna bagnata?
  • (…) laggiù abbiamo perduto tutte le misure e nessuno ci è venuto in aiuto! Patriottismo, dovere, patria: tutto ciò ce lo siamo ripetuto anche noi continuamente per resistere e giustificarci. Ma erano soltanto concetti, c’era troppo sangue laggiù e questo li spazzò via!

 

La via del ritorno di Erich Maria Remarque

Cos’altro dire?

Prima d’essere pubblicato, questo romanzo comparve a puntate sul quotidiano democratico tedesco Vossische Zeitung tra il dicembre del ‘30 e il gennaio dell’anno seguente.

 

Marco Sommariva

marco.sommariva1@tin.it

 

 

Date un’occhiata alla rubrica RILEGGIAMOLI, tante soprese vi aspettano !

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