“La donna abitata” di Gioconda Belli, edito da e/o
“La donna abitata” è il romanzo della rivoluzione sandinista, scritto da chi ha partecipato attivamente alla lotta del Fronte sandinista contro la dittatura di Somoza, da colei che, oggi, è probabilmente la più nota scrittrice del Nicaragua. È la storia di due donne vissute in epoche diverse: un’india che combatte contro i conquistadores e una donna moderna che vive sotto una feroce dittatura centroamericana. Le loro vite s’incontrano magicamente nell’amore e nella guerriglia.
Di questo libro, Isabel Allende ha detto: “E’ un appassionante storia d’amore, di solidarietà e di morte, in cui la leggenda e la realtà si mescolano armonicamente. C’è tanta verità in questo libro che è impossibile per il lettore rimanere indifferente. Questa è una storia che doveva essere raccontata”.
Potrete leggere passaggi come questi:
• Ora che partecipava al trambusto, all’affannoso ritmo del ticchettio delle macchine da scrivere degli uffici, capiva perché la gente provava grandi soddisfazioni nell’essere presa dall’ansia dei tempi troppo stretti per la firma dei contratti, per la realizzazione dei progetti. Era un modo per sentirsi importanti, pensava, per trovare una ragione per uscire dal mondo-focolare ed entrare nel mondo-libro dei bilanci, dove esisteva il rischio, il pericolo delle sconfitte o delle vittorie. La vita si trasformava, così, in un affare interessante, una scommessa costante, e uno poteva presumere che il tempo non scivolasse via tra le dita, che si concludesse qualcosa in quelle ore che sembravano interminabili, quei giorni che implacabilmente si ripetevano uno dopo l’altro.
• La domenica sentiva che era di troppo nel mondo. Era un giorno difficile per le persone sole.
• Non ci si abitua mai alla morte.
• Questa era la dittatura, pensò, la paura; la donna che diceva di non sapere niente. Lei che diceva di non voler essere coinvolta. Non sapere niente era la cosa migliore, la cosa più sicura.
• Lo abbracciò da dietro, senza parlare, pensando a quanto povero fosse il linguaggio di fronte alla morte.
• È normale, tutti noi abbiamo paura. L’importante non è non provarla, ma superarla.
• Gli spagnoli dicevano che dovevano civilizzarci, farci abbandonare la barbarie. Ma loro ci dominarono con la barbarie, saccheggiarono. In pochi anni fecero più sacrifici umani di quelli fatti da noi nella storia intera delle nostre celebrazioni. Questo paese era il più popolato. E, invece, nei venticinque anni che mi toccò vivere, lo vidi rimanere senza uomini; li avevano mandati in grandi imbarcazioni a costruire una città lontana che chiamavano Lima. Li uccisero, i cani li sbranarono, li appesero agli alberi, gli tagliarono la testa, li fucilarono, li battezzarono, prostituirono le nostre donne. Ci portarono un Dio estraneo che non conosceva la nostra storia, le nostre origini e voleva che lo adorassimo come non sapevamo fare. E di tutto ciò, che cosa è rimasto di buono? mi chiedo. Gli uomini continuano a fuggire. Ci sono governanti sanguinari. Si continuano a straziare i corpi, si continuano a far guerre. Il suono dei nostri tamburi deve continuare a battere nel sangue delle attuali generazioni. È l’unica cosa che di noi è rimasta: la resistenza.
• Tanta gente cercava di ignorare la miseria, accettando le disuguaglianze come una legge della vita.
• Per quanto si eviti di vedere la violenza, la violenza viene a cercarti. Qui ne abbiamo tutti una dose assicurata per diritto di nazionalità. Uno o la subisce o la fa. O, comunque, se a te non fanno niente, la fanno ad altri, ed è lì che interviene la coscienza. Perché se uno permette che la facciano ad altri diventa, dichiaratamente o no, complice.
• Non so se piove o se sto piangendo.
• Credo che il puro fatto di esistere implichi una certa responsabilità verso il futuro, verso ciò che esisterà dopo di noi. Se siamo stati capaci di costruire aerei, sottomarini, satelliti spaziali, dovremmo essere capaci di trasformare il mondo che ci circonda, in modo che tutti possano vivere almeno dignitosamente. È quasi inconcepibile che in questa era della tecnologia ci sia gente che muore di fame, che non ha mai visto un medico…
• (…) pensò all’ingiustizia della nascita. La morte era molto più democratica. Nella morte tutti diventavano uguali; cripta o nuda terra, tutti si decomponevano.
• La cosa certa è che le donne insegnano ai loro figli a essere maschilisti.
• (…) si mise a discorrere sull’effetto narcotizzante della rassegnazione cristiana: era ingiusto che una persona, pur essendosi comportata molto male nella vita, potesse salvarsi per il semplice fatto di essersi a un certo punto pentita in un determinato momento. Lei rispettava la sua fede in Dio, le disse, ma le religioni erano state fatte dagli uomini. Non le sembrava ingiusto che la rassegnazione la raccomandassero sempre ai poveri?
• Il pentimento, a forza di ripetersi, diventa noioso.
• (…) la faceva adirare il comportamento prepotente e paternalista della società dei ricchi e potenti, indifferenti alla quotidiana ingiustizia che li circondava, mentre vivevano spensierati i loro privilegi.
Volete saperne qualcosa di più? Ha detto Gioconda Belli: “Crescendo mi sono resa conto che ci sono circostanze, situazioni, in cui la vita non vale la pena di essere vissuta. La vita in sé non è un valore. C’è bisogno di una qualità della vita. (…) Come scrittrice sento la necessità di generare e far crescere consapevolezza. Questo è il ruolo che assegno alla scrittura: quello di elaborare pensieri che permettano ad altri individui di capire meglio se stessi e quello che vogliono – un ruolo che è, se vogliamo, di responsabilità sociale”.
Marco Sommariva
No Comments