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Il Segno Del Comando

Il Segno Del Comando

IL SEGNO DEL COMANDO

Sulle ali dell’entusiasmo per il tanto sospirato concerto de Il Segno del Comando dello scorso giugno sono tornato a riguardarmi i cinque episodi dello sceneggiato andato in onda nel lontano [purtroppo troppo lontano anagraficamente parlando] 1971 sulla RAI [al tempo eravamo in regime di assoluto monopolio, le “TV libere” erano ancora un qualcosa di inimmaginabile, giusto le radio si sarebbero emancipate da lì a pochi anni].

Rivisto con gli occhi di oggi i limiti sono evidenti, soprattutto da un punto di vista tecnologico e scenografico, ma nonostante tutto passando ancora in secondo [se non in terzo] piano, schiacciati dalla qualità globale del girato, dalla sceneggiatura, dalla capacità degli artisti di rendere credibili i propri personaggi.

Non so quanti di voi abbiano avuto modo di vedere le cinque puntate andate originariamente in onda tra il maggio ed il giugno di quell’infausto settantuno ora comodamente recuperabili sia in vhs che in DVD e addirittura disponibili in formato integrale su Youtube.

Il modo per rimediare a quella che secondo noi è una lacuna [pur se nongrave] quindi è più che mai alla vostra portata, il nostro è un consiglio spassionato, forse figlio di un momento di entusiasmo, ma visto che le vostre giornate continuano ad essere sostanzialmente prive di significato perché non provare a dare una possibilità allo sceneggiato di Daniele D’Anza?

Un antico medaglione raffigurante una civetta, una locanda di Trastevere che appare solo di notte e un diario scritto da Byron durante il soggiorno romano, questi gli ingredienti fondamentali dello sceneggiato. Le oscure avventure in cui viene a trovarsi il professore di letteratura inglese Edward Lancelot Forster sono un concentrato che mischia gotico, giallo e fantastico tra riferimenti pagani ed occultismo. Osannato dagli spettatori [ascolto medio 14.800.000…] e al tempo stesso snobbato dalla critica “Il Segno del Comando” resta tuttora un piccolo gioiello che affascina e coinvolge anche a distanza di quasi mezzo secolo.

Il bianco e nero in cui si specchiano i vicoli di una Roma deserta e barocca coma non mai accompagna le vicende di Forster [Ugo Pagliai] in cerca di quel pittore Tagliaferri [di cui lui si renderà conto di essere un sosia perfetto] che lo ha invitato a Roma per una conferenza che scoprirà essere morto ben 100 anni prima, fanno da sfondo ideale per una vicenda dai forti tratti esoterici in cui spicca la figura della sfuggente Lucia [una Carla Gravina bella oltre l’immaginabile] che contribuisce ad infittire i misteri, il tutto mentre la data della conferenza a cui deve partecipare il letterato inglese [che è la stessa della morte del pittore Tagliaferri, deceduto alla sua stessa età] si avvicina precipitosamente.

Non vogliamo andare oltre con la trama, non intendiamo rovinare la visione ai pochi volenterosi e coraggiosi che si imbarcheranno nell’impresa di sfidare le oltre sei ore che compongono lo sceneggiato. Ciò che ci piace sottolineare invece è come questo sia un prodotto che non permette distrazioni e divagazioni tra social network e telefonate, ogni parola ha un suo peso specifico di cui solo il tempo a venire sancirà l’importanza. Occorre tutta l’attenzione di cui siete capaci se pensate di guardarlo, non pensiate di trovarvi tra le mani un qualcosa di leggero e scorrevole da seguire a tempo perso. Non è questo il caso.

Rischierete di trovarvi in un vortice di confusione dal quale uscireste solo abbandonando la visione. I tempi sono in netto contrasto con la velocità del girato d’oggi, l’azione ha uno spazio limitato [e funzionale al contesto narrativo] i dialoghi su cui si regge quasi tutto il prodotto sono legati al contesto storico di quegli anni, non ci sono concessioni a volgarità anche solo velate o agli “slang” attuali e ai neologismi di cui ci cibiamo oggi.

C’è un alone aulico e melodrammatico che lega il tutto e si sposa ala perfezione con la magia [nera] di una città che sembra rinascere sotto altre spoglie riscrivendo nuovamente i suoi confini che vedrà magicamente scomparire al nascere del giorno, quando alla luce fioca dei lampioni si sostituisce il maestoso sorgere del sole che spazza via fantasmi e reincarnazioni, maledizioni e congiure, cui solo il manoscritto sopravvive.

Rileggendo le rassegne stampa del tempo ci ha colpito come non si tendesse a dare credito al programma tacciandolo di illogicità e di essere troppo irrazionale, anche se non mancano plausi soprattutto incentrati sulla capacità di tenere legati al video i non pochi spettatori che ogni domenica sera accendono i loro apparecchi televisivi.

Alcune [poche purtroppo] voci fuori dal coro sottolineano come “se l’avessero girato gli inglesi, che sono maestri nel genere, sarebbe un capolavoro” e puntano il dito sulla tensione sempre palpabile ed ininterrotta che costituisce la spina dorsale dello sceneggiato.

Tra le leggende legate allo sceneggiato ricordiamo e segnaliamo quella legata al finale, che il regista D’Anza dovette girare ben cinque volte perchè incapace di dare una completa quadratura del cerchio [e che ovviamente non riveliamo in questa sede].

Da ricordare anche che il soggetto originariamente era stato preparato ben tre anni prima, nel 1968 ma solo dopo trentasei mesi di ripensamenti mamma RAI decise di mandarlo in onda sulla principale delle sue due reti nazionali. Non a caso una delle cose inconcepibili per il tempo della messa in onda è la tematica “necromantica” della ricerca dell’immortalità con la morte e l’eterna ripetizione del ciclo della “dannazione” che fanno da contraltari. Nemmeno oggi si realizzano prodotti così specificatamente inquadrati all’interno del misticismo negromante di cui è pregno Il Segno del Comando.

Assuefatti come siamo a tette e culi, morti in tempo reale e voyeurismo da Pronto Soccorso non saremmo a nostro avviso in grado di calarci nei meandri orditi da D’Anza, troppo presi dai tempi scanditi dalle interruzioni pubblicitarie e dalle nostre socializzazioni virtuali iPhones alla mano.

Abbiamo bisogno di qualcosa di più facilmente accessibile, di rassicurante e che non ci faccia pensare troppo.

Tutto l’esatto contrario di quello che Il Segno del Comando significa e rappresenta.

IL SEGNO DEL COMANDO [RAI 1971] REGIA Daniele D’Anza, SCENGGIATURA Giuseppe D’Agata, Flaminio Bollini, Dante Guardamagna, Lucio Mandarà, FOTOGRAFIA Mario Scarpelli, MUSICHE Romolo Grano, SCENOGRAFIA Nicola Rubertelli, COSTUMI Giovanni La Placa, INTERPRETI Ugo Pagliai, Carla Gravina, Paola Tedesco, Massimo Girotti, Franco Volpi, Rossella Falk, Carlo Hintermann, ecc…

[BIANCO E NERO, SEI EPISODI DA 60′ CIASCUNO]

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