A me questa cosa del recensire singoli e cassette in un’unica mandata piace parecchio.
Ho cominciato per caso, con due 45 giri della Muster, e ora non mi riesce più fermarmi. La cassetta, il 7” e l’uscita solo su piattaforma digitale, sono come ho iniziato, ho continuato e imperterrito proseguo nella mia avventura punk:
una storia che mi entusiasmò a suo tempo, con tutto il suo spirito artigianale ed improvvisato, e che tutt’oggi continua a trainarmi sempre con grande motivazione.
Piccole autoproduzioni che, a conti fatti, son dei piccoli gioielli, dei favolosi documenti nati da volenterose cooperazioni tra gruppi ed etichette, necessità comunicativa, passione per la musica e scarsa, se non quando assente, propensione al profitto eccetto che per l’accumulare, in una cassa comune, delle sommette necessarie per la prossima autoproduzione: un cane che si morde la coda?
Assolutamente no, caso mai una grande storia collettiva ed orizzontale che sente la necessità di andare avanti a dispetto di crisi economiche, guerre e pandemie;
un meccanismo inarrestabile e che, nonostante la situazione generale conduca gli spiriti verso l’infelicità, mi pare di mese in mese migliori sempre più nella proposta!
Brundle “The” Demo, 2022-Loopy Scoop Tapes
Jeff oramai lo conoscete, ogni piè sospinto son sempre qui a parlarvene, un po’ perché mi esalta la sua vena creativa così incontenibile (quattro progetti ben avviati, e con questo siamo a cinque, coi quali ogni mese riversa materiale sonoro su materiale sonoro sempre di ottima qualità artigianale) e un po’ perché è veramente un ottimo portavoce di quella filosofia della quale, in apertura, ho tessuto le lodi.
Questo suo nuovo progetto solista, Brundle, si muove su coordinate più meccaniche, usufruendo di una drum machine che contribuisce, nell’insieme, a limitare la scrittura del nostro entro un certo spettro di genere:
molto più punk rock venato di ossessioni e monomania, testi fatti di due frasi e una tendenza allo scarnificare il pezzo al minimo necessario, chitarre asciutte e, come si diceva, drum machine dai beat minimali e ossessivi.
I pezzi girano sempre su due riff e su di un percussionismo continuo e senza cambi. Pur essendo batterista, qui, Jeff rinuncia al suo strumento principale e si lancia in un punk sintetico con composizioni che solo in un caso (la martellante e paranoica“Return”) non arrivano mai al minuto di durata.
Le canzoni godono di una scrittura piuttosto eterogenea a mezzo di avveduti arrangiamenti nelle armonie chitarristiche e nella voce che, pur continuando nel solito timbro, tono e rabbia di Djinn/Zhoop/Feed, interviene sempre a spezzare, giocare con la metrica e depistare, pur confermandosi marchio di fabbrica del vulcanico Punk di Hammond Indiana.
Un esperimento ben riuscito dove, a fronte di un nuovo metodo di approccio, si è riusciti comunque a mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore e la sua voglia di ascoltare e riascoltare questi otto episodi antemici e divertentissimi.
Cuir “EP”, 2022
Cuir è uno degli eroi del Punk europeo: una demo, poi ristampata in vinile, e un LP, entrambi stupendi resoconti di un synth punk ispirato al quale la lingua francese dona accenti comunardi e squisitamente libertari.
Anche qui, in questi tre pezzi (due originali e uno, rullo di tamburi, cover dei grandissimi Zeke, per l’occasione tradotti in francese).
Un’espressa volontà nel descrivere arrondissment come “Le Passage”, reso celebre dal Céline di “Morte a Credito”, dove la vita dei bassifondi si porta verso l’esterno riversando sui turisti tutta la sua volontà di vita e di riscatto, il tutto condito da ritmiche da assalto e un synth le cui armonie lasciano ferite indelebili e incurabili.
Un’ossessione che cavalca un’esistenza fatta di droghe, alcolici, disoccupazione e delirio ma che non ha vergogna di sé stessa; come in un’epopea Pasoliniana, da Ragazzi di Vita fino a Una Vita Violenta, il racconto non è denuncia né cronaca, ma semplice raccontarsi con orgoglio e senza pudori, per fare capire al mondo che si esiste così come si è e chi si tappa gli occhi, e le orecchie, è solo perché è schiacciato dalle sovrastrutture e non riesce a liberarsene, giudicando chi vive ai margini come reietto pur di non accettare che, in verità, l’unico reietto è lui solo. Reietto dalla vita.
Cuir parla e suona di questo, in tre pezzi che ne confermano la cifra stilistisca (alta) e la credibilità artistica. Un solista dalle ottime idee e dall’immaginario solido e, sapere che viene dal basso, fa solo ben predisporre.
Glueman “Glueman”, 2022
Autoproduzione, Punk ‘n’Roll e un debutto col botto. Nulla di nuovo sotto il sole, ma cos’è la novità se non la necessità borghese di sentirsi sempre stimolati all’acquisto e al consumo?
Scaffali su scaffali ricolmi di vecchie novità, prodotti pensati decenni fa, poi dismessi per altrettanti e quindi riproposti in tempi più recenti con nuove confezioni scintillanti per coglionare i soliti fessi!
Alla categoria dei fessi certo non appartengono questi Glueman da Denver, Colorado, formazione dedita ad un bel Punk Rock/Rock’n’Roll dai picchi ai limiti con una vecchia scuola da Hardcore Punk californiano anni ’80.
Non fanno poesia né prigionieri, dritti al punto e indici puntati sul ritornello; struttura rocciosa e suoni polverosi:
reagire alla novità ad ogni costo con la fermezza di chi parla al futuro forte di un passato solido e ben strutturato dove potersi appoggiare e gridare pezzi bellissimi come Dumb Fantasy (quando sul ritornello si risolve in un’armonia in minore viene quasi da piangere dalla gioia) o la conclusiva Glueman Anthem, forte di un attacco cadenzato e imperioso e di un proseguo sostenuto che si sfascia su di un ritornello bellissimo (canterete anche voi “Glueman!Glueman!” a squarciagola fino a sentirvi parte integrante dei Glueman).
Disco da ascoltare, da comprare su Bandcamp e, soprattutto, da vivere: certe sortite son pezzi di vita più che di musica e fanno parte di una comunità internazionale della quale, va sempre detto, fa sempre piacere registrare l’ottimo stato di salute e sentirsene anche parte integrante.
Thee Linquents Demo Tape 2022 Flamingo Records
Io era un po’ che ci sbavavo dietro a questi Thee Linquents: il nome mi sapeva di gruppo alla Billy Childish (per me un maestro) e poi, in formazione, conta persone appartenenti alla comunità underground italiana che stimo molto, sia come esseri umani che come artisti.
Non essendo di Genova o dintorni non ho mai potuto ascoltarli dal vivo e son sempre rimasto con la curiosità. E con la curiosità, un po’ in forma romantica, son voluto rimanere:
avrei potuto anche chiedere al loro bassista “Oi, ma coi Thee Linquents, che roba fate?” e sciogliere ogni mistero ma, sinceramente, ho preferito aspettare, concedermi il beneficio del dubbio e, magari, stupirmi (vivo di piccole soddisfazioni e attimi di vaga felicità, compatitemi).
Ieri (21/05/22) è uscito finalmente il primo demo dei Thee Linquents e, no, con Billy Childish non c’entrano niente, e, a conti fatti, meglio così:
un bel punk rock tirato, stradaioli, antemico, melodico ove opportuno e bello sincero, verace ed onesto. Prendete i mastonditici Swingin’ Utters e portateli a spasso per i vicoli di Genova, portateli a dei concerti organizzati da Adescite Crew e fategli comprare qualche bel disco da Flamingo:
otterrete come risultato questi Thee Linquents che, di queste atmosfere, di queste suggestioni, vivono il loro quotidiano.
Tiro Hardcore melodico anni ’90 in stile Fat Wreck ma venature decise di stampo Street Punk, come appunto gli Swingin’Utters ci hanno insegnato, cori fieri e un basso bello solido a fronte di una batteria decisa in un tupa tupa magistrale (mi viene da pensare anche a quel capolavoro dimenticato che “Something More Dangerous” dei favolosi Moral Cruz su Panic Button/Lookout!).
Pezzi memorabili ed immediati, senza un attimo di requie; tutto si muove su ritmi sostenuti e stacchi mozzafiato.
Un’opera prima notevole poiché tangibilmente spontanea e, proprio perché spontanea, irruenta e vitale.
Poi in fondo c’è anche una bella cover di “Hate the Police” dei Dicks: da via del pre’ direttamente nei vostri salotti senza pietà né riguardo!
Kat Haus “Flesh”, 2022
Personaggio che mi incuriosisce quest* Kat Haus: canadese, punk come pochi, intent* nel prodursi in deliranti cover con suoni da karaoke di Welcome to the Jungle su Instagram, e piuttosto attiv* sul fronte delle ultime innovazioni del punk (ne è testimone la presenza di Billiam, altro vulcano creativo del nuovo Punk, nell’intro di questo demo) qui ci regala un EP di punk rock sbilenco e obliquo, mid tempo, ai limiti tra il garage punk e l’hardcore.
Voce annoiata a fare da contraltare ad una scarsa propensione alla soluzione facile e melodica: qui si inventano nuove coordinate rielaborando il passato; una serie di nenie e filastrocche cantate su basi rocciose e ben calibrate e rimaneggiate su sonorità aspre, secche e ruvide.
Un senso come di angoscia divertita (quelle continue contraddizioni che generano sempre Punk Rock coerente e credibile) che si sublima in pezzi come Beef Regime (il giro principale di chitarra, un po’ Black Flag più paranoici e un po’ Post Punk americano anni ’80 ispirato ai Devo più chitarristici di Duty Now for the Future) o nella Dark Wave semi danzereccia di Who?, sono espressioni di una creatività piuttosto insofferente ai confini, ai limiti e alle costrizioni, siano queste artistiche, di genere o sociali.
Una transgender che, senza veli né timori, si racconta e sfida la comune morale imponendosi come figura cardine di un modo di intendere il Punk come punto di riferimento anche per le lotte di genere e dei racconti in tal senso.
Klint “Occupied”
Con Sven ho iniziato un rapporto epistolare su Instagram da quando ha comprato l’ultimo EP del mio gruppo. Mi aveva molto ispirato quando, allo scoppio della guerra in Ucraina, aveva licenziato il suo primo singolo digitale su Goodbye Boozy in supporto alle associazioni umanitarie impegnate nell’assistenza ai profughi di guerra e ne avevo scritto qui nell’ottavo capitolo di Sottoscala Pandemico…sapere che apprezzava il mio gruppo quanto io apprezzavo il suo mi ha spinto ad avviare una conversazione con lui ed approfondire la nostra conoscenza.
Mi ha subito detto che uno dei suoi dischi preferiti di sempre è “In nome del loro potere…” dei Wretched che, per la cronaca, e anche uno dei miei è proprio quell’approccio efferato, Lo-Fi e casereccio, quello che sento rivivere in queste due tracce di “Occupied” (dove, giustamente, in copertina si tira per il naso Putin in persona), perfetta trasposizione del verbo Chaos Non Musica che, a suo tempo, fu grido di battaglia di Wretched e compagnia dissonante.
Due canzoni gestite tra Synth rumoristi, registrazione povera e tensione emotiva.
Nulla a che vedere, quindi, a dispetto degli strumenti tirati in ballo, con rivisitazioni Synth Wave degli anni ’80 in chiave moderna ma Punk Rock rielaborato coi pochi mezzi a disposizione, quel poco che ci si trova a portata di mano mentre, in completa solitudine, si è presi dalla famosa urgenza creativa: un synth, un PC e tanto disprezzo verso gli stati-nazione, i confini e gli eserciti (se a casa vostra non si respira un’atmosfera del genere, sappiatelo, è solo colpa vostra…).
Due pezzi che sembrano coltellate a sangue freddo su di un tessuto fatto di quiete e pacificazione, un’analisi scientifica senza sentimentalismi o compassione che porta solo a enunciare una condanna sine qua non all’esistente tutto:
siamo arrivati a questo punto perché col nostro silenzio lo abbiamo permesso e, anche se solo involontariamente, lo abbiamo foraggiato: colpevoli gli stati, colpevoli noi, colpevoli tutti.
“Per colpa di bastardi noi viviamo per morire e tu sei come loro, incapace di pensare” (Wretched-Spero venga la Guerra- da “In nome del loro potere tutto è stato fatto” 1983, Chaos Produzioni)
Una risposta
thank you for the kind words, my heart is blessed and full, just like my tummy.
grazie per le belle parole, il mio cuore è benedetto e pieno, proprio come la mia pancia. Banana